Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8558 Avviamento commerciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nel 1991 la Casa Generalizia dell’Istituto Piccola Compagnia di Maria locò alla s.r.l. Villa Cherubini Prosperius un immobile in (OMISSIS) ad esclusivo uso di casa di cura, contestualmente cedendo alla conduttrice, con contratto coevo a quello di locazione, il complesso aziendale della casa di cura già esercitata nei locali concessi in locazione, composto di strutture, macchinari e personale.

Comunicata la. disdetta per la scadenza del secondo sessennio (31.8.2003), la locatrice Casa Generalizia intimò alla conduttrice lo sfratto per finita locazione, citandola innanzi al Tribunale di Firenze che, emessa ordinanza provvisoria di rilascio, con sentenza del 12.1.2005, dichiarò cessato il contratto alla data indicata dalla locatrice, disattese l’eccezione della convenuta volta alla qualificazione della natura alberghiera della locazione (come tale, di durata minima novennale) e ne accolse quella relativa all’accertamento della natura commerciale, con conseguente diritto della conduttrice alla corresponsione di 18 mensilità del canone.

Ritenne peraltro tardiva la domanda di restituzione della maggior somma (Euro 526.443,75, comprensiva di IVA, rispetto ad Euro 376.301,34, con esclusione dell’IVA) intanto corrisposta dalla locatrice Casa Generalizia a tìtolo di indennità per la perdita dell’avviamento.

2- La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 12, pubblicata il 14.7.2009, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della Casa Generalizia, rigettato quello della Prosperius s.r.l., ha negato che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale fosse dovuta. Tanto sul rilievo che l’organizzazione imprenditoriale della casa di cura privata non assumesse carattere decisivo ai fini dell’applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34 e che il diritto all’indennità d’avviamento debba escludersi quante volte sia prevalente l’attività professionale medicosanitaria svolta nell’immobile locato; attività che, nella specie, l’organizzazione imprenditoriale era volta a sostenere e senza la quale la struttura organizzativa non avrebbe avuto alcuna residuale funzione.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione la s.r.l. Villa Cherubini Prosperius, affidandoci a due motivi cui la Casa Generalizia resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo la ricorrente conduttrice deduce falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 27 per avere la corte d’appello escluso, ai fini della determinazione della durata minima del rapporto locativo (di 9 anni, anzichè di 6), che l’attività di una casa di cura privata integrasse un’attività alberghiera o fosse alla stessa assimilabile, o che comunque il terzo comma della citata disposizione dovesse essere applicato in via analogica.

1.1.- La censura è infondata.

Va anzitutto rilevato che non è pertinente il richiamo, operato dalla ricorrente, di Cass., sezione lavoro, 23.5.1969, n. 2469 la quale, a tutt’altri fini, ha affermato che gli sgravi contributivi previsti dal D.L. 30 agosto 1968, n. 918, art. 18 spettano anche alle case di cura, atteso che esse costituiscono vere e proprie imprese industriali, in quanto normalmente dotate di una complessa ed articolata organizzazione tecnica, e poichè svolgono, oltre all’attività sanitaria di cura e di assistenza degli ammalati, un’attività ricettizia inerente alla degenza e simile a quella alberghiera, in sostanza proponendosi un fine di lucro attraverso l’organizzazione di capitale e di lavoro.

L’assoluta diversità degli oggetti e dei fini dei due plessi normativi (sgravi fiscali e durata minima della locazione) non consente che in campo locativo, in virtù della somiglianzà a quella alberghiera dei servizi prestati da una casa di cura per il solo aspetto concernente il vitto e l’alloggio dei degenti, quella parziale analogia di alcuni dei servizi prestati faccia premio sulla considerazione che il turismo non è normalmente favorito (tale essendo l’inequivoco scopo della più lunga durata prevista per gli immobili adibiti ad attività alberghiere) dalla presenza di i case di cura sul territorio, e che la differenza ontologica tra una casa di cura ed un albergo è concettualmente la stessa di quella che corre tra un malato ed un turista.

Il che non autorizzerebbe il ricorso all’analogia quand’anche esistesse, in ipotesi, una lacuna normativa; che, invece, assolutamente difetta in relazione al carattere derogatorio di quella generale (di cui al primo comma, prescrivente la durata minima di sei anni del contratto di locazione per tutte le attività industriali, commerciali ed artigianali) della disciplina dettata dall’art. 27 cit., comma 3, che prevede la durata minima di nove anni per le sole attività alberghiere (e teatrali, L. n. 9 del 2007, ex art. 7) sulla base di una non irragionevole scelta discrezionale del legislatore volta a favorire quei due tipi di attività. 1.2.- Nè può conferirsi rilievo alla circostanza che il D.Lgs. n. 79 del 2011, art. 52 abbia modificato la L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 3, nel senso che anche per gli immobili urbani adibiti all’esercizio di imprese assimilate a quelle alberghiere ai sensi dell’art. 1786 c.c. (che si riferisce, tra gli altri, agli imprenditori di case di cura) la durata della locazione non può essere inferiore a nove anni.

La legge – che non è interpretativa come sostenuto dalla ricorrente in sede di discussione, ma innovativa – non è infatti applicabile ai contratti conclusi, come nella specie, in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, essendo la sua efficacia nel tempo regolata dalla regola generale di cui all’art. 11 disp. gen., comma 1. 2.- Col secondo motivo è denunciata violazione della L. n. 392 del 1978, art. 34 per avere la Corte d’appello, negato il diritto della conduttrice all’indennità per la perdita dell’avviamento, riformando sul punto la sentenza di primo grado che lo aveva invece riconosciuto in ragione dell’organizzazione imprenditoriale che era alla base dell’attività esercitata nell’immobile, tale da indurre a qualificare quell’attività come commerciale, piuttosto che professionale.

2.1.- La censura è fondata.

La Corte d’appello ha ritenuto che l’art. 35 – il quale prevede che "le disposizioni di cui alìarticolo precedente non si applicano…ad immobili… destinati alìesercizio di attività professionali…" – non fosse applicabile in ragione del fatto che l’attività esercitata nella clinica non poteva qualificarsi, quanto meno a livello prevalente, come attività di natura strettamente imprenditoriale commerciale, essendo invece prevalente quella professionale "per la qualità e quantità del personale impiegato e per il tipo di prestazioni eseguite", integranti un’attività di natura medica, "mancando la quale tutta la struttura organizzativa perderebbe la sua funzione".

A sostegno di tale conclusione sono citate Cass., nn. 8291/92, 12623/99 (cui adde n. 9491/2000) e 4505/2001.

Le massime ufficiali tratte dalle citate decisioni sono, nell’ordine, le seguenti:

a) "ove l’immobile locato sia destinato ad attività organizzata (nella specie, in forma societaria), la qualificazione dell’attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale, con la consequenziale spettanza del diritto di prelazione di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38 (in difetto del presupposto per la deroga all’applicazione di tale norma contemplata dagli artt. 35 e 41 della citata legge), esige il riscontro di un’organizzazione d’impresa che non si esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali, e, correlativamente, il riscontro di un’esorbitanza di tali prestazioni dall’opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all’offerta di un servizio autonomamente rilevante.

Pertanto, in relazione ad attività per loro natura riconducibili fra quelle proprie delle professioni sanitarie, come le attività di recupero psico-fisico di soggetti minorati, la suddetta qualificazione non può essere fondata sul solo rilievo della complessità delle apparecchiature utilizzate o degli interventi del personale impiegato, occorrendo il positivo accertamento della presenza delle indicate connotazioni, (v. C. Cost. n. 128/81)";

b) "ove l’immobile locato sia destinato ad attività organizzata, la qualificazione dell’attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale, con la conseguente spettanza del diritto di prelazione della L. n. 392 del 1978, art. 38, esige il riscontro di un’organizzazione d’impresa che non s’esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali e, correlativamente, il riscontro di un’esorbitanza di tali prestazioni dall’opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all’offerta di un servizio autonomamente rilevante (la S.C., sulla base dell’enunciato principio, ha escluso che avesse diritto alla prelazione in oggetto il titolare di un laboratorio di diagnostica ed analisi cliniche, coadiuvato da altri professionisti)";

c) "in tema di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, esclusa, a norma dell’art. 35 della stessa legge, in relazione ai contratti di locazione di immobili nei quali venga esercitata un’attività professionale (avente un contenuto fiduciario, che prescinde dalla ubicazione dei locali nei quali l’attività medesima si svolge), nel caso di gestione di una casa di cura per anziani la sussistenza del diritto alla predetta indennità postula la prevalenza di un’attività organizzativa di natura strettamente imprenditoriale commerciale. Qualora, invece, prevalga un’opera definibile come professionale per la qualità e la quantità del personale impiegato e per il tipo delle prestazioni eseguite, deve escludersi la configurabilità del diritto alla indennità in questione".

Con sentenza n. 28312 del 2011, è stato inoltre osservato che "anche il professionista intellettuale assume la qualità di imprenditore commerciale quando esercita la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma d’impresa, in quanto svolga una distinta e assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale per il diverso ruolo che riveste il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale – e per il differente apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente azione di organizzazione, ossia di coordinamento e di controllo dei fattori produttivi, che si affianca all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio. Tale esercizio in forma di impresa è configurabile nel caso del laboratorio di analisi cliniche, che si connota solitamente come struttura organizzativa di dimensioni più o meno rilevanti, dove il professionista titolare si avvale stabilmente di una pluralità di collaboratori e di dotazioni tecniche di guisa che l’attività professionale rappresenta una componente non predominante, per quanto indispensabile, del processo operativo" (sulla base dell’enunciato principio è stata cassata con rinvio la sentenza dei giudici di merito che avevano ritenuto non rientrante tra i conduttori aventi diritto all’indennità di avviamento commerciale la società conduttrice dell’immobile locato, in quanto esplicante un’attività incentrata esclusivamente su ricerche di carattere medico – analisi cliniche e centro antidiabetico – e, quindi, di natura professionale).

2.2- Il criterio cui va dunque improntata la soluzione del problema relativo alla qualificazione come commerciale o professionale dell’attività svolta in un immobile, da cui dipende la spettanza o no al conduttore dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34 (che l’art. 35 esclude per gli immobili destinati, tra l’altro, all’esercizio di attività professionali), è quello della prevalenza del tipo di attività esercitata. E ciò quand’anche quell’attività sia imprenditoriale e sia esercitata in forma societaria, com’ è stato chiarito con dovizia di argomenti da Cass., n. 8291/1992.

Ma il collegare il giudizio di prevalenza dell’attività medica su quella organizzativa al rilievo che, in una clinica privata, se non vi fosse esercizio di attività medica, l’organizzazione imprenditoriale perderebbe la sua funzione, è giuridicamente errato in quanto l’assunto è sempre vero ed è pertanto tale da impedire quella valutazione comparativa che la norma (intesa come risultato dell’interpretazione di una disposizione di legge) impone e che la Corte d’appello ha ritenuto di dover compiere.

Viene invece in rilievo la consistenza degli elementi di supporto che sono volta a volta apprestati in funzione dell’esercizio dell’attività medica, da quelli burocratici a quelli tecnici, che in una casa di cura privata appaiono solitamente prevalenti, anche in considerazione del fatto che la direzione della clinica è in grado di scegliere il personale medico e paramedico di cui avvalersi, sicchè tendenzialmente difetta quell’intuitus personae costituente la ratio della deroga posta dalla L. n. 392 del 1978, art. 35 per quanto concerne le attività professionali. L’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale non potrà essere dunque ordinariamente disconosciuta, a meno che non sia dato di ritenere che, per particolarissime ragioni, l’inserimento funzionale dell’immobile nell’attività di impresa non fosse in concreto suscettibile di influire sul volume degli affari realizzato.

3.- Da tale impostazione la sentenza impugnata s’è discostata.

Va dunque cassata con rinvio alla stessa Corte territoriale in diversa composizione, che deciderà sull’appello nel rispetto degli enunciati principi e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2012

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