Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8551

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata nel novembre 1994 i coniugi P. A. e A.R., proprietari di appartamento sito in (OMISSIS) danneggiato dal terremoto del 1984 e, quindi, inserito negli immobili da risanare a cura e spese dell’ente comunale, esponevano che, a seguito della mancata esecuzione dei lavori di riattazione dello stabile, affidata dal Comune alla ditta s.r.l. Bimed, con la direzione dei lavori da parte dell’ing. G.D., l’appartamento era soggetto a infiltrazioni di acqua e presentava lesioni varie; di conseguenza, convenivano innanzi al Tribunale di Cassino il Comune di S. Elia Fiumerapido, la curatela del Fallimento della s.r.l. Bimed e G.D., per sentirli dichiarare responsabili, a vario titolo, dei danni subiti, nonchè condannare al risarcimento dei danni derivati e derivanti a essi istanti, nella misura da determinarsi in corso di causa.

Si costituivano sia il Comune che G.D., contestando ogni responsabilità. Rimaneva contumace il Fallimento della s.r.l.

Bimed.

La causa, istruita con prova orale e documentale, nonchè con l’espletamento di due consulenze e relativi supplementi, era decisa con sentenza in data 25.10.2002, con la quale il Tribunale condannava tutti i convenuti a pagare, in favore degli attori, la somma di Euro 18.075,94 oltre interessi legali dal 15.11.1994, in parte a titolo risarcimento danni e in parte a titolo di somma occorrente per eliminare le cause della riscontrata umidità.

La decisione, gravata da impugnazione in via principale da G. D. e, in via incidentale, dal Comune, nonchè dai coniugi P. – A., era riformata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 4 settembre 2006 così provvedeva: in parziale accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale del Comune, condannava il suddetto Comune e il G. a pagare in solido tra loro, in favore di P.A. e di A. R., la somma di Euro 3.148,06 e gli interessi annui al saggio legale maturati dal 12.03.1993 all’11.03.1994 sul capitale al valore dell’epoca di Euro 2.248,40 e per gli anni successivi sino alla data della sentenza sul capitale rivalutato anno per anno secondo indici ISTAT; condannava il Comune di S. Elia Fiumerapido e G. D. a pagare ad P.A. e A.R. gli interessi legali maturandi dalla data della sentenza al saldo sul totale delle somme (per capitale e interessi) liquidati nel precedente capo; dichiarava improcedibile la domanda nei confronti del Fallimento della s.r.l. Bimed; condannava il Comune di S. Elia Fiumerapido e G.D. al rimborso in favore di P. A. e A.R. della metà delle spese di entrambi i gradi del giudizio; poneva le spese di c.t.u. per un quarto a carico degli originari attori e per tre quarti a carico del Comune e del G..

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P. A. e A.R., svolgendo cinque motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito il Comune di S.Elia Fiumerapido, depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

G.D. ha depositato memoria di costituzione e difensiva, senza provvedere a notificarla alle altre parti.

P.A. e A.R. hanno depositato controricorso avverso il ricorso incidentale del Comune.

Da parte ricorrente principale e incidentale sono state depositate, altresì, memorie.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte della Curatela della s.r.l. Bimed.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente vanno riuniti ex 335 cod. proc. civ., i ricorsi proposti in via principale dai coniugi P. – A. e, in via incidentale, dal Comune di S. Elia Fiumerapido avverso la stessa sentenza.

I suddetti ricorsi, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), sono soggetti, in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla disciplina di cui all’art. 360 c.p.c., e segg. come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006. Si applica, in particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., poichè la norma, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, resta applicabile, in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.

Sempre in via preliminare va dichiarata l’inammissibilità dell’atto definito "memoria di costituzione e difensiva" depositato dalla difesa di G.D., per difetto di notificazione alle controparti ex art. 370 cod. proc. civ..

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5). In particolare i ricorrenti, svolgendo il momento di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ., rilevano che l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui le diffuse umidità nell’abitazione di essi istanti sarebbero dovute a pessima aerazione e a mancanza di ordinaria manutenzione, è priva di effettiva motivazione e ciò vizia la decisione che, proprio su tale premessa, ha negato l’esclusiva responsabilità dei convenuti, limitandola arbitrariamente ad una percentuale di appena il 10%. 1.2. Il motivo, al limite dell’inammissibilità, va rigettato.

Innanzitutto – per quanto emerge dalla decisione impugnata anche il Tribunale aveva attribuito le cause della riscontrata umidità "a condensa e non ad infiltrazioni di acqua" (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata); inoltre, entrambi i c.t.u., nominati in prime cure, avevano concordato che i danni lamentati dagli originari attori erano "una conseguenza quasi esclusiva del fenomeno della condensa" (cfr. pag. 7) e che "la condensa r solo in piccola parte, dipende(va) dai lavori eseguiti dalla Bimed" (cfr. pag. 8); in particolare, solo in due punti dello stabile erano state riscontrate leggere infiltrazione di acqua e, precisamente, dal balconcino del vano salotto (a causa dell’erronea pendenza del pavimento, che non era stata, però, interessato dai lavori della s.r.l. Bimed) e dalla tettoietta del vano letto (quest’ultima oggetto, invece, dei lavori di riattazione), dalla quale – come risultava dai chiarimenti resi dal c.t.u.

R., in esito ai quali non esistevano "più contestazioni convincenti da parte dei CT di parte" – proveniva solo una leggera e poco significativa infiltrazione di acqua nel vano letto (cfr. ancora pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).

E poichè non risulta che parte ricorrente abbia contestato l’accertamento di fatto, contenuto nella sentenza di primo grado (essendosi limitata a impugnare la determinazione quantitativa della pretesa risarcitoria) e neppure che abbia posto in discussione in parte qua i risultati delle c.t.u., appare chiara, prima ancora che l’inconsistenza della denuncia di vizio motivazionale, l’inammissibilità del motivo: invero – pacifiche le circostanze fattuali, sopra richiamate, siccome non specificamente impugnate dagli odierni ricorrenti con l’atto di appello – costituisce corretta conseguenza in diritto l’affermazione della Corte di appello, secondo cui, quale delle due relazioni si ritenesse esatta (divergendo, come si vedrà di seguito, sul punto dell’inclusione o meno del rivestimento in quarzo plastico tra le concause del fenomeo di condensa), il Comune e il direttore dei lavori potevano essere condannati solo a titolo di concorso di colpa con gli stessi danneggiati.

In ogni caso – anche a prescindere dalle considerazioni che precedono – è assorbente il rilievo che la decisione impugnata fa preciso riferimento alle risultanze delle c.t.u., che la Corte territoriale mostra di avere attentamente esaminato anche alla luce delle contestazioni dei c.t.p.. Si rammenta che il giudice del merito, qualora condivida i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass., 22 febbraio 2006, n. 3881). Nel caso di specie, peraltro, la Corte di appello non si è limitata a richiamare acriticamente i risultati dell’una o dell’altra consulenza, ma le ha analizzate in maniera puntuale, ponendole a confronto e chiarendo con dovizia di particolari, non solo i punti di convergenza tra gli elaborati peritali, ma anche le ragioni dell’adesione all’una piuttosto che all’altra consulenza, laddove si discostavano;

derivando dal complessivo esame delle risultanze peritali, che lo stato di degrado, in cui si trovavano le pareti e i soffitti dell’abitazione, dipendeva soprattutto dalla pessima aerazione e dall’assenza di manutenzione.

La decisione è fondata su argomentazioni che si sottraggono al sindacato di legittimità essendo più che sufficienti (valutando esplicitamente od implicitamente tutte le problematiche rilevanti), logiche e non contraddittorie; per converso le deduzioni di parte ricorrente, al di là della formale deduzione del vizio motivazionale, postula una inammissibile rivalutazione di merito di risultanze processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla decisione impugnata.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Al riguardo parte ricorrente – svolgendo il necessario momento di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ. – deduce che, anche in riferimento agli elementi di prova acquisiti al giudizio, l’affermata imputabilità dei danni, in misura prevalente, alla condotta di essi ricorrenti risulta del tutto immotivata e in contraddizione con i dati emersi invece dalle prove.

2.1. Il motivo, a prescindere dall’inadeguatezza del punto di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ., si infrange, al pari del precedente, contro il rilievo della surrettizietà della denuncia del vizio motivazionale, risultando sostanzialmente finalizzato ad una non più consentita rivisitazione delle risultanze processuali.

Si rammenta che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436).

Nel caso all’esame la Corte territoriale ha chiarito, attraverso i puntuali richiami alle risultanze della c.t.u., che i vizi dell’opera commissionati dal Comune consistevano nel non avere approntato una copertura temporanea dell’edificio nel periodo compreso tra la demolizione del vecchio tetto e la costruzione (concausa iniziale, non più esistente, della condensa, per effetto dell’acqua piovana entrata durante i lavori, nel periodo in cui l’edificio era privo di copertura), nell’avere provocato una lievissima lesione in un punto di un arco interno di nessuna rilevanza statica, nel non avere sigillato bene il punto di attacco tra parete esterna della camera da letto e tettoietta (concausa minima e localizzata del fenomeno di condensa, derivandone leggere e non significative infiltrazioni nel vano letto) e nel non avere curato a regola d’arte il collegamento con le nuove grondaie (senza alcun danno accertato al momento della decisione). Dalla rilevata minimale incidenza di detti fattori causali è derivata l’affermazione di limitato concorso causale e della misura minima della colpa, individuata in ragione del 10% del totale a carico del direttore dei lavori e del Comune, che aveva commissionato i lavori stessi.

Il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta evidenti aporie di ragionamento che, sole, possono indurre a ritenere sussistente il vizio di assenza, contraddittorietà o illogicità di motivazione; nè le deduzioni dei ricorrenti rivelano alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il ragionamento seguito.

Il motivo, oltre ad essere carente sotto il profilo dell’autosufficienza, richiamando in maniera generica dati documentali e brani di deposizioni testimoniali, del tutto incontrollabili come tali in questa sede (anche perchè non risulta che le relative questioni siano state prospettate con l’atto di appello), è dunque manifestamente infondato, alla luce del principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, laddove censuri la ricostruzione e l’interpolazione del materiale istruttorio accolta dalla sentenza impugnata, deve evidenziare l’erroneità del risultato raggiunto dal giudice del merito attraverso l’allegazione e la dimostrazione dell’inesistenza o della assoluta inadeguatezza dei dati che egli ha tenuto presenti ai fini della decisione, o delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, non potendo limitarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (Cass. 25 febbraio 2005. n. 3994).

Il motivo va, dunque, rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un altro punto decisivo per il giudizio ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Al riguardo i ricorrenti – individuato "il fatto controverso" ex art. 366 bis cod. proc. civ., nell’aver escluso che l’utilizzo della pittura al quarzo costituisse causa dei danni subiti da essi istanti – deducono che la decisione sul punto non è sostenuta da alcuna valida motivazione essendo gli argomenti utilizzati, viepiù trattandosi di aspetti tecnici, del tutto insufficienti ed illogici, con la conseguenza che tale vizio inficerebbe la sentenza impugnata in quanto ha portato ad escludere la piena responsabilità dei convenuti per i danni lamentati.

3.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale la Corte di appello – discostandosi dalla decisione di primo grado – ha disatteso le conclusioni del c.t.u. D., laddove individuava un fattore di concausa della condensa nella pittura al quarzo plastico (correlativamente determinando in maniera molto più elevata i costi per l’eliminazione delle cause) e ha, invece, aderito alle diverse valutazioni del c.t.u. R. che circoscriveva la responsabilità degli originar convenuti ai fenomeni meteorici verificatisi durante i lavori e al non corretto collegamento della tettoia. In particolare la Corte di appello ha osservato che l’esame diretto dello stabile evidenziava che le pareti perimetrali dei vani di gran lunga più colpiti degli altri dalla condensa non erano rivestiti all’esterno dalla pittura a quarzo, traendone conferma delle conclusioni dell’ing. R. (pag. 10 della sentenza).

3.1. Il motivo si limita, in buona sostanza, ad affermare un convincimento alternativo, ma non esclusivo rispetto a quello espresso dal giudice di merito, senza fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio. Invero non sono prospettate incongruenze logiche o giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, limitandosi, in buona sostanza, la ^ ricorrente a sollecitare una diversa valutazione, da parte di questa Corte regolatrice, degli elementi in atti e quindi, un giudizio di merito di terzo grado precluso in questa sede.

Il motivo va rigettato.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, e, ancora una volta, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa motivazione.

4.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata che ha espresso le ragioni del dissenso dalle considerazioni svolte dal c.t.u. D., rilevando che esse facevano riferimento alla necessità di acquisire dati allo stato non noti ed evidenziando che l’incertezza circa la causa della condensa si ripercuotevano in danno del P. e della A., su cui gravava l’onere della prova.

4.2. Il motivo è inammissibile, perchè si conclude con un quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ. ("se viola l’art. 2691 c.c., la pronuncia secondo la quale, in presenza della eccezione sollevata da una parte circa la non condivisibilità della consulenza tecnica sull’accertamento delle cause dei danni, nonchè della risposta del consulente alla eccezione, debba essere la parte che ha dedotto la causa dei danni accertata dal c.t.u. e non quella che ha sollevato la eccezione a provare l’attendibilità della consulenza") in alcun modo riferibile alla fattispecie o comunque assolutamente generico (Cass. civ., Sez. Unite, 05/01/2007, n. 36), dovendosi assimilare il quesito inconferente alla mancanza del quesito.

Si rammenta che il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339).

Inoltre lo stesso motivo manca del momento di sintesi (c.d. quesito di fatto), necessario in relazione alla concorrente censura motivazionale. Invero la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi. Da ciò consegue che i motivi di ricorso fondati sulla violazione di leggi e quelli fondati su vizi di motivazione debbono essere sorretti da quesiti separati. In particolare le Sezioni Unite – pur ritenendo ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto – hanno precisato che a tali effetti occorre che il motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. civ., Sez. Unite, 31/03/2009, n. 7770). E ciò non è avvenuto nella specie.

4.3. Non appare superfluo aggiungere che, sotto il profilo della violazione di legge, le censure formulate con il motivo all’esame risultano anche manifestamente infondate, dal momento che la Corte di appello – alla luce delle contrapposte conclusioni in parte qua delle due consulenze – ha correttamente posto a carico della parte istante per il risarcimento del danno le conseguenze dell’incertezza sul punto dell’ascrivibilità del rivestimento esterno tra le concause dell’evento; mentre, sotto il profilo motivazionale neppure la complessiva lettura del motivo di ricorso – nella (denegata) ipotesi che essa possa supplire alla mancanza del quesito di fatto – consente di decifrare quali siano i fatti decisivi posto al fondo della censura di omessa motivazione.

5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, e, ancora una volta, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa motivazione su un punto decisivo.

5.1. Il motivo, che investe il punto della decisione che ha determinato nella misura del 10% la responsabilità degli originari appaltatori, è inammissibile per ragioni analoghe a quelle svolte nel precedente motivo, posto che si conclude con un quesito ("se possa affermarsi una corresponsabilità del danneggiato nella produzione del danno senza che tale corresponsabilità trovi fondamento, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., in elementi di prova eventualmente forniti dalle parti") assolutamente inadeguato, avuto riguardo ai criteri sopra precisati sub n. 4.2; manca, inoltre, il necessario "momento di sintesi" in relazione alla congiunta censura motivazionale.

Peraltro va ribadito che la valutazione del giudice di merito quanto al concorso di colpa dei danneggiati attiene, nella specie, a circostanze fattuali che, correttamente motivate, si sottraggono a qualsiasi censura in questa sede.

In definitiva il ricorso principale va rigettato.

6. Passando al ricorso incidentale del Comune si osserva che con il primo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Parte ricorrente incidentale si duole che sia stata affermata la sua concorrente responsabilità senza alcune motivazione, essendo l’ente territoriale solo il committente dei lavori affidati in appalto, con la conseguenza che – come tale – avrebbe potuto essere ritenuto responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dei lavori solo in caso di violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. ovvero per culpa in eligendo.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto la censura, formulata in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, non si conclude con la "chiara indicazione" del punto controverso e della decisività del vizio, come previsto dall’art. 366 bis cod. proc. civ.. Secondo la consolidata interpretazione di questa Corte la norma deve intendersi nel senso che il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione va dichiarato inammissibile qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. 18 novembre 2011, n. 24255).

Ma – anche a prescindere da quanto sopra – il motivo è inammissibile per erronea individuazione della tipologia di vizio, in quanto prospetta come vizio motivazionale una censura di violazione di legge, lamentando la violazione di principi di diritto in tema di responsabilità dell’appaltatore.

Valga considerare che il vizio motivazionale rileva solo nei termini di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, che espressamente circoscrive detto vizio alla motivazione circa "un fatto controverso e decisivo per il giudizio", riferendosi all’accertamento dei punti di fatto che hanno assunto rilevanza per la decisione e non a quelli riguardanti l’affermazione e l’applicazione dei principi e tesi giuridici, posto che in questo secondo caso è configurabile una falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 (Cass. 20 febbraio 1999, n. 1430). La disciplina positiva del ricorso per Cassazione è, infatti, improntata al principio dell’indicazione analitica dei vari motivi che possono essere denunciati e, in particolare, tiene ben distinto il vizio dell’"omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" ( art. 360 cod. proc. civ., v) da quello della "violazione o falsa applicazione di norme di diritto" (n. 3 del citato articolo), posto che, mentre quest’ultimo consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, il vizio logico di cui al n. 5 dell’art. 360 cit. (qual è quello dedotto nel caso all’esame) postula l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Da ciò discende che il controllo della Cassazione sulla motivazione si riferisce alla sola giustificazione del giudizio di fatto, perchè quello sul giudizio di diritto rientra nel n. 3 del citato art. 360, anche se non si deve trascurare che, quando investe la motivazione di diritto, il vizio può dare luogo anche alla sola correzione della decisione ai sensi dell’art. 384 dello stesso codice (cfr. Cass. 6 agosto 2008, n. 21153 in motivazione).

Ne consegue che deve considerarsi inammissibile, per erronea individuazione della tipologia di vizio, il motivo di ricorso – come quello all’esame – con cui si censura, come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sarebbe incorso il giudice di merito nell’applicazione della norma di diritto rilevante nella fattispecie, trattandosi di vizio che avrebbe dovuto essere denunciato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, ed accompagnato dal relativo quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ..

7. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ., nonchè degli artt. 2043, 2056, 1223, 1224 e 1227 (art. 360 cod. proc. civ., n. 3) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5). I quesiti conclusivi chiedono a questa Corte di dire "se, applicando correttamente l’art. 112 c.p.c., sia possibile in assenza di specifica domanda riconoscere e risarcire il danneggiato da illecito extracontrattuale il danno subito per non avere potuto investire in impieghi fruttiferi sin dal giorno dell’evento dannoso la somma liquidata a titolo di risarcimento" e "se, applicando correttamente il combinato disposto degli artt. 1223, 1224, 1226, 1221, 2043 e 2056 c.c., sia possibile, in assenza di specifica prova sull’impossibilità e/o difficoltà di determinare il danno subito per non avere potuto investire in impieghi fruttiferi sin dal giorno dell’evento dannoso la somma liquidata a titolo di risarcimento, che il Giudice possa ritenere per presunzione la sussistenza del danno e determinare quest’ultimo equitativamente, sopperendo bonariamente alla carenza di prova della parte". 7.1. Il motivo di ricorso è inammissibile, stante l’inidoneità dei "quesiti" per considerazioni analoghe a quelle svolte con riferimento al quarto e quinto motivo del ricorso principale. E’ infatti inammissibile il quesito di diritto che si risolva, come quelli sopra riportati, in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Unite, 11 marzo 2008, n. 6420).

Per giunta manca anche il c.d. quesito di fatto, in relazione alla congiunta censura motivazionale.

7.2. Non appare superfluo aggiungere che il motivo è anche manifestamente infondato alla luce di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in – tema di risarcimento del danno, dovendo la liquidazione essere effettuata in valori monetari attuali, non è necessaria l’espressa richiesta da parte dell’interessato degli interessi legali sulle somme rivalutate, la quale deve ritenersi compresa nella domanda di integrale risarcimento inizialmente proposta e, se avanzata per la prima volta in appello, non comporta una violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., atteso che nei debiti di valore il riconoscimento degli interessi c.d. compensativi costituisce una modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite dell’impossibilità di calcolarli sulle somme integralmente rivalutate alla data dell’illecito, e che l’esplicita richiesta deve intendersi esclusivamente riferita al valore monetario attuale ed all’indennizzo del lucro cessante per la ritardata percezione dell’equivalente in denaro del danno patito. (Cass. 28 aprile 2010, n. 10193). E ancora la generica domanda di risarcimento del danno causato da illecito aquiliano deve ritenersi comprensiva sia del valore equivalente del bene perduto, sia del danno causato dalla mancata disponibilità del bene perduto o del suo equivalente monetario, per il periodo di tempo che va dalla data dell’illecito alla data della sentenza, questa seconda componente del danno aquiliano (lucro cessante) può, quindi, essere liquidata d’ufficio dal giudice, anche in assenza di una domanda ad hoc. (Cass. 17 settembre 2003, n. 13666).

8. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. ( art. 360 cod. proc. civ., n. 3) e omessa e/o insufficiente contraddittoria motivazione ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

8.1. Anche il presente motivo è inammissibile, vuoi perchè il quesito di diritto ("dica la Corte se, applicando correttamente l’art. 92 c.p.c. in presenza di una ripartizione di responsabilità tra le parti, rispettivamente del 10% e del 90%, la parte alla quale sia attribuita la responsabilità del 10% di colpa possa essere condannata a pagare all’altra parte il 50% delle spese, diritti ed onorari di entrambi i gradi di giudizio ovvero se, più correttamente anche la compensazione delle spese debba ricalcare la percentuale di ripartizione di responsabilità già accertata in ordine al danno liquidato") è generico e privo dell’indicazione della regula iuris che si assume violata; vuoi perchè manca il c.d. quesito di fatto in relazione al vizio motivazionale, congiuntamente denunciato; vuoi ancora perchè in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. 14 novembre 2002, n. 16012; Cass. 1 ottobre 2002, n. 14095; Cass. 11 novembre 1996, 9840).

In conclusione il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate per la reciproca soccombenza.

Nulla va disposto nei riguardi del G., attesa la rilevata inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa interamente le spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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