Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8550 Assicurazioni marittime ed aeree

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Venezia ha confermato il rigetto, disposto in primo grado dal Tribunale, della domanda proposta dalla s.r.l. Renzo Rossi Costruzioni contro la s.p.a. Navale Assicurazioni, avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo di cui alla polizza assicurativa in corso, a seguito del naufragio della piattaforma autosollevante "(OMISSIS)", operante nella laguna veneta con scopi di perforazione ed estrazione dal sottosuolo.

La Corte di appello ha accolto le eccezioni della compagnia assicuratrice secondo cui l’indennizzo non spetta poichè l’assicurata non ha fornito la prova che il natante fosse in possesso dei certificati di navigazione prescritti dalla legge; perchè il danno è derivato dalla rottura dei piloni di sostegno della piattaforma, evento non coperto dalla garanzia, e perchè la polizza contempla solo i danni conseguenti alla perdita totale del bene assicurato, che nella specie non si è verificata.

La Rossi Costruzioni propone cinque motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la Navale Assicurazioni.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti di serie ed in particolare degli artt. 1366 e 1370 cod. civ., nonchè motivazione contraddittoria ed illogica su di un punto decisivo della controversa, la ricorrente assume che la Corte di appello ha accolto l’avversaria eccezione circa l’inoperatività della polizza assicurativa per mancanza delle certificazioni contrattualmente richieste, sull’erroneo presupposto che tale documentazione consistesse nel certificato di navigabilità rilasciato dal Registro Navale Italiano (RI.NA), laddove invece la polizza di assicurazione menziona sul frontespizio – e non poteva che menzionare – il certificato di classe Germanischer Lloyd, sola certificazione valida per l’esercizio della piattaforma, essendo l’ente certificatore il più qualificato a livello mondiale per tal genere di natanti.

Rileva che la piattaforma non era destinata a navigare, tanto è vero che non era coperta da assicurazione nelle fasi di spostamento (attuabili esclusivamente al traino), ma solo in relazione ai danni verificatisi mentre era ancorata al suolo; che, non avendo la compagnia assicuratrice contestato la mancanza dell’unica certificazione rilevante allo scopo (Germanischer Lloyd), essa attrice non era tenuta a fornire la prova della validità del documento. 2.- Il motivo non è fondato.

La Corte di appello ha accertato in primo luogo che la soc. Rossi non ha dimostrato di essere in possesso neppure della certificazione Germanischer Lloyd, che essa ricorrente ritiene essere la sola richiesta dalla polizza.

Ne consegue che non è stata dimostrata la validità del documento e la sua conformità alle caratteristiche del galleggiante.

Tanto basta a motivare il rigetto della domanda di pagamento dell’indennizzo.

E’ noto che l’assicurato è tenuto a fornire la prova di tutti i presupposti per l’operatività della garanzia, trattandosi dei fatti costitutivi del diritto fatto valere.

Questa Corte ha più volte deciso che – anche quando l’assicuratore convenuto per l’adempimento alleghi l’esclusione della garanzia – egli non propone un’eccezione in senso proprio e non assume alcun onere probatorio, poichè la sua affermazione si risolve nella mera contestazione della mancanza di prova del fatto costitutivo della domanda, il cui onere grava sull’attore. Nè può farsi distinzione fra clausole generali e clausole speciali del contratto, dal momento che tutte ed inscindibilmente attengono alla delimitazione dell’oggetto della garanzia, il quale, se contestato, deve essere provato unicamente dall’attore che intenda giovarsi dei relativi effetti, trattandosi di fatto costitutivo della domanda ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., comma 1 (Cass. civ. Sez. 3, 23 febbraio 1998 n. 1946; Idem, 10 ottobre 2003 n. 16831; 20 marzo 2006 n. 6108 e 16 marzo 2012 n. 4234, fra le altre).

Il rilievo della ricorrente secondo cui esistenza e regolarità di detta certificazione non sarebbero state contestate, dovendosi le contestazioni riferire al certificato del RI.NA., che sarebbe nella specie irrilevante, non può essere condiviso.

In primo luogo il silenzio serbato dal convenuto circa un’affermazione dell’attore non può ritenersi di per sè sufficiente a configurare mancata contestazione, ove da altre circostanze risulti escluso che egli abbia voluto ammettere la veridicità del fatto non contestato.

Nella specie la compagnia assicuratrice ha fondato la parte predominante della sua difesa proprio sull’irregolarità della certificazione prescritta per il natante, sicchè il distinguere fra documenti rilevanti, che si dovrebbero ritenere non contestati, e documenti irrilevanti, che si dovrebbero ritenere contestati, risulta artificioso ed irrealistico, essendo inequivocabile l’intento della convenuta di eccepire sotto ogni aspetto la mancanza dei presupposti della garanzia.

Correttamente, quindi, la Corte di appello ha respinto la domanda di indennizzo, in applicazione dell’art. 15 delle condizioni generali di polizza per cui l’assicurazione è prestata a condizione che la nave sia in possesso del certificato di classificazione o del documento di abilitazione indicato in polizza e l’assicurato perde ogni diritto alla garanzia quando venga meno la validità dei documenti sopra indicati (principio richiamato dall’art. 5 delle condizioni particolari).

In secondo luogo la sentenza impugnata ha ampiamente motivato anche in ordine alla rilevanza del certificato di navigazione del RI.NA. – questione che pure avrebbe potuto ritenere assorbita – rilevando che, ai sensi del codice della navigazione, le disposizioni che riguardano le navi si applicano, con gli opportuni adattamenti, anche ai galleggianti mobili (art. 136, comma 3), e che nella specie la suddetta certificazione è risultata gravemente irregolare, poichè contiene dati non conformi alla realtà, quanto alle reali dimensioni, struttura e tonnellaggio della piattaforma, elementi tutti che sono suscettibili di influire sul grado di stabilità e di vulnerabilità della piattaforma anche durante lo stazionamento, quindi anche sulla natura del rischio assicurato.

3.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti di serie, ed in particolare degli artt. 1366 e 1370 cod. civ., e motivazione illogica e contraddittoria, per avere la Corte di appello qualificato il possesso di valido certificato di navigabilità come delimitazione del rischio assicurato, quindi come condizione imprescindibile per l’indennizzabilità del sinistro.

Assume che la Corte si è fermata al significato letterale delle clausole contenute nell’art. 15 delle condizioni generali di polizza (c.g.p.) e nell’art. 5 delle condizioni particolari (c.p.p.), trascurando le regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., che avrebbero dovuto indurla a superare il testo letterale, per verificare se la limitazione del rischio assicurato, che da tali clausole deriva, non venisse a comprimere eccessivamente ed irragionevolmente la garanzia, vanificando le aspettative di buona fede dell’assicurato.

Sottolinea che la piattaforma era assicurata solo per i periodi in cui restava ferma ed ancorata al fondo, non durante le fasi di spostamento, e che pertanto la richiesta della certificazione prescritta per la navigazione non aveva alcuna ragione d’essere; che detta certificazione è prescritta solo per le navi e non per le piattaforme e che la sentenza impugnata non ha spiegato, nella motivazione, quale fosse la ragione giustificatrice della clausola.

4.- Con il quarto motivo, che va congiuntamente esaminato perchè connesso, la ricorrente ancora denuncia violazione dell’art. 1370 cod. civ., e motivazione illogica e contraddittoria, nella parte in cui la Corte di appello ha respinto la sua eccezione di nullità/inefficacia delle clausole contenute nelle condizioni particolari di polizza, perchè tali da restringere eccessivamente l’ambito della copertura assicurativa, sì da doversi considerare vessatorie e comunque da dover essere interpretate contro l’assicuratore, perchè da esso unilateralmente predisposte.

5.- I due motivi sono manifestamente infondati.

5.1.- La Corte di appello ha respinto la domanda, come si è detto, non per la sola mancanza del "certificato di navigazione", ma per la mancanza – e per la mancata prova della permanenza e validità – del certificato di classificazione, appositamente previsto per le piattaforme.

Tanto basta a giustificare la decisione.

Ha soggiunto, come si è detto, che la certificazione di navigabilità era comunque richiesta, nelle forme e nei limiti in cui è da ritenere applicabile alle piattaforme, cioè al fine di indicare dimensioni, struttura e tonnellaggio del natante, dati suscettibili di influire sul grado di stabilità e di vulnerabilità dell’intera struttura anche durante lo stazionamento; che la certificazione prodotta dall’assicurata non riproduceva fedelmente tali dati e che si tratta di dati rilevanti in ordine alla natura del rischio assicurato.

Trattasi di motivazione logica e condivisibile, ove si consideri che il sinistro si è per l’appunto verificato a causa del maltempo e delle condizioni del mare, che hanno provocato la rottura di uno dei piloni di sostegno della piattaforma ed il suo rovesciamento: eventi che sono logicamente ricollegabili alle condizioni strutturali, che la certificazione prodotta dall’assicurata documentava non essere regolari.

5.2.- Quanto poi al quarto motivo, la ricorrente lamenta, nella sostanza, che la Corte di appello non abbia negato efficacia alle clausole contenenti la delimitazione dei rischi assicurati, in considerazione del fatto che ne deriva una regolamentazione per essa eccessivamente svantaggiosa.

Premesso che l’attività interpretativa tende, e deve tendere, a ricostruire la volontà comune delle parti quale essa si è concretamente manifestata; non a modificarne il contenuto ed i termini perchè in ipotesi eccessivamente gravosi per l’una o per l’altra parte: finalità quest’ultima da perseguire tramite altre e specifiche norme di legge.

Premesso altresì che l’attribuzione al contratto del significato meno gravoso per il contraente aderente, di cui all’art. 1370 cod. civ., o di quello rispondente al comportamento di buona fede (art. 1366 cod. civ.), presuppone che le clausole da interpretare siano suscettibili di più significati e che sia dubbio a quale di essi le parti si vollero uniformare: presupposto che nella specie non appare adeguatamente dimostrato tramite l’indicazione dei diversi possibili significati, al di là del mero diniego di efficacia alle clausole in oggetto, va richiamato il principio per cui il giudice non ha il potere di interferire nel merito delle scelte economiche delle parti, se non nei casi, nelle forme e nei limiti stabiliti dalle norme e dai principi di legge (cioè ove ricorrano in ipotesi clausole ed. vessatorie, usura e abuso di dipendenza economica, sfruttamento della debolezza dell’altro contraente con effetti tali da configurare fattispecie di mancanza o di illiceità della causa, ecc.).

La ricorrente non ha richiamato alcuno di tali principi a supporto delle sue censure se non in certa misura la tutela contro le clausole vessatorie di cui all’art. 1341 cod. civ., comma 2.

La sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità della norma sul rilievo – corretto e condivisibile – che le clausole in oggetto non prevedono fattispecie di esonero della compagnia assicuratrice da responsabilità, ma hanno la funzione di delimitare l’oggetto del contratto, cioè la natura dei rischi assicurati.

Ha altresì rilevato che la soc. Rossi Costruzioni ha sottoscritto il contratto, accettandone tutte le clausole; il cui contenuto è chiaro e inequivoco, sì che non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1370 cod. civ..

Va soggiunto che l’assicurata è una società commerciale, che ha agito nell’esercizio della sua attività e che è da ritenere fosse perfettamente in grado di gestire i suoi interessi e di valutare il significato delle clausole che andava a sottoscrivere, come anche di cercare a suo tempo diverse e più convenienti soluzioni assicurative.

6.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti di serie, ed in particolare degli artt. 1363, 1366 e 1370 cod. civ., oltre che motivazione incongruente ed illogica, sul rilievo che la Corte di appello ha escluso l’indennizzabilità dei danni derivanti dal cedimento dei piloni di sostegno della piattaforma.

Assume che nella specie il sinistro è stato provocato dalla forza del mare, che a sua volta ha causato il cedimento dei piloni; che la clausola contrattuale deve essere interpretata nel senso che l’indennizzo è da escludere qualora il cedimento sia stato provocato da cause intrinseche alla struttura e collegate al suo normale funzionamento; non anche quando la rottura derivi da un evento esterno, avente efficienza causale assorbente.

6.1.- L’osservazione è corretta e la motivazione della sentenza impugnata deve essere per questa parte censurata. Ciò non vale tuttavia a giustificare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando l’indennizzabilità del sinistro comunque esclusa dalla mancanza della prescritta certificazione.

7.- Per la stessa ragione è assorbito il quinto motivo, che denuncia violazione degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., nella parte in cui è stato escluso il carattere vessatorio della clausola che nega l’indennizzabilità dei sinistri nel caso in cui la perdita del galleggiante non sia totale.

8.- Il ricorso deve essere rigettato.

9.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2012

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