Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8549

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 25 gennaio 1989 la s.r.l. Line Vogue ha convenuto davanti al Tribunale di Prato la Cassa di Risparmi e Depositi di Prato s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per l’importo di L. 550 milioni, per inadempimento al mandato conferitole.

Ha premesso di avere venduto alla società Gianini B.V.B.A., con sede in (OMISSIS), merci per il prezzo di L. 484.612.500, regolarmente spedite per la consegna; che in pagamento del prezzo l’acquirente ha aperto in suo favore una lettera di credito irrevocabile rilasciata dalla Kredietbank per l’importo di L. 500 milioni, da pagare al 6.12.1988. Essa Line Vogue ha dato mandato alla Cassa convenuta di negoziare e riscuotere il credito, e questa ha confermato l’apertura del credito, addebitandole la relativa commissione di oltre L. 5 milioni ed erogando in suo favore un anticipo di L.199.706.000, previo rilascio di fideiussione da parte di D.R.B.R. e di G.I..

Il 5.10.1988 essa ha depositato presso la banca la documentazione richiesta dalla Kredietbank per il pagamento – documentazione da depositare entro il termine ultimo del 6.10.1988, scaduto il quale la lettera di credito avrebbe perso la sua efficacia – e il 18 ottobre successivo la banca le ha comunicato il rifiuto della Kredietbank di provvedere al pagamento, per irregolarità nella documentazione depositata.

Nè essa ha potuto recuperare la somma dovuta dalla società acquirente, risultata incapiente.

L’attrice addebitava alla convenuta di non avere controllato la regolarità dei documenti depositati e di non averla tempestivamente avvertita delle relative lacune.

La Cassa di Risparmi e Depositi ha resistito alle domande, affermando di avere avvertito telefonicamente la Line Vogue delle irregolarità riscontrate nei documenti, ma che questa non aveva potuto rimediarvi, avendo depositato la documentazione solo un giorno prima del termine ultimo di scadenza.

Contemporaneamente la banca ha chiesto ed ottenuto due decreti ingiuntivi, l’uno contro la società e l’altro contro i suoi fideiussori, per ottenere la restituzione di L. 326.899.644, pari alle somme ad essa dovute dagli ingiunti.

Questi ultimi hanno proposto opposizione, facendo valere il loro credito risarcitorio, e le tre cause sono state riunite.

Con sentenza n. 718/2004 il Tribunale di Prato ha condannato la banca a pagare agli attori, in risarcimento dei danni, la somma di Euro 451.450,56, oltre interessi; ha condannato Line Vogue e i fideiussori a pagare alla Banca l’importo di cui ai decreti ingiuntivi; ha compensato i rispettivi crediti ed ha posto a carico della banca (nel frattempo incorporata nel Monte dei Paschi di Siena) le spese processuali.

Proposto appello principale dal Monte dei Paschi (MPS) ed incidentale da Line Vogue, con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Firenze ha accolto l’appello principale, assolvendo la banca da ogni responsabilità; ha dichiarato inammissibile perchè generico l’appello incidentale, relativo al capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inapplicabile al rapporto la L. n. 106 del 1996, sulla nullità degli interessi usurari, ed ha posto a carico dell’attrice le spese dell’intero giudizio.

Line Vogue propone tre motivi di ricorso per cassazione.

Resiste MPS con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello ha accertato in fatto che:

a) la lettera di credito irrevocabile della Kredietbank era valida fino al 6.10.1988 e doveva essere utilizzata per un pagamento da eseguire alla data originariamente fissata per il 14 ottobre 1988 e successivamente prorogata al 6 dicembre 1988;

b) per ottenere il pagamento la beneficiarla avrebbe dovuto presentare entro il 6.10.1988: le fatture commerciali relative alla mercè fornita, recanti la firma originale di M.M., agente business della società; l’attestazione dello spedizioniere, impresa Albini & Pitigliani, che la merce era stata spedita alla ditta Gianini BVBA, attestazione in data non successiva al 28 settembre 1988 e da presentare alla banca al più tardi entro otto giorni dalla data di spedizione; c) la Cassa di Risparmi e Depositi, poi MPS, ha confermato il credito di L. 500 milioni ed il relativo termine di validità fino al 6 ottobre 1988, alla condizione che venissero rispettate tutte le formalità e le indicazioni circa i documenti da presentare.;

d) Line Vogue ha depositato i documenti presso la Banca il 5 ottobre 1988;

e) il 18 ottobre successivo Kredietbank ha rifiutato il pagamento poichè alcune fatture indicavano uno sconto del 4% e recavano una data di pagamento non corretta; le attestazioni dello spedizioniere non confermavano che la merce era stata spedita; la descrizione della mercè non era conforme ai termini del credito; la marcatura delle fatture non era conforme a quella presente sulle attestazioni della A. e P..

La Corte di appello ha ritenuto maggiormente attendibili, perchè più circostanziate, le dichiarazioni rese dai testi di parte MPS, secondo cui Line Vogue è stata telefonicamente avvertita delle irregolarità nella documentazione ma – dato il breve tempo a disposizione per la regolarizzazione, considerato che i documenti sono stati depositati solo un giorno prima della scadenza del termine – non ha potuto provvedere per tempo.

Ha altresì rilevato che il Tribunale aveva accolto la domanda attrice poichè aveva erroneamente ritenuto che la scadenza della lettera di credito fosse stata prorogata, mentre era stato prorogato – dal 14 ottobre al 6 dicembre 1988 – solo il termine per il pagamento; non quello per il deposito dei documenti.

Ha quindi respinto la domanda di risarcimento dei danni.

2.- Con il primo motivo, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nella valutazione delle prove, la ricorrente assume che la Corte di appello ha trascurato di considerare che il teste C. aveva interesse a confermare di avere avvertito Line Vogue delle irregolarità, avendo egli stesso ricevuto la documentazione e potendo essere quindi ritenuto responsabile del mancato avviso; che a fronte di testimonianze divergenti la Corte avrebbe dovuto ritenere non raggiunta la prova, considerato che l’onere di dimostrare la propria diligenza nell’adempimento del mandato era a carico della stessa banca.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 10 delle Norme ed Usi Uniformi in tema di crediti documentari, secondo cui la banca che confermi il credito documentario è tenuta a rispondere in proprio del pagamento e tale obbligo si aggiunge a quello del mandante.

Ribadisce che MPS aveva assunto l’obbligo di controllare la regolarità della documentazione, ma non ha fornito la prova certa ed inequivocabile di avere riscontrato le irregolarità e di avere tempestivamente avvertito la cliente; che sotto entrambi i profili avrebbe dovuto essere condannata a pagare essa stessa l’importo di cui alla lettera di credito.

3.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, non sono fondati.

In primo luogo non sussiste violazione delle Norme ed Usi Uniformi, poichè la Corte di appello non ha escluso che MPS fosse tenuta a rispondere del pagamento per avere confermato il credito; solo ha specificato che la suddetta obbligazione era subordinata alla presentazione di regolare documentazione e che tale condizione non si è verificata.

La ratio decidendi della sentenza impugnata concerne solo il mancato avveramento della condizione, cioè l’accertamento di un presupposto in fatto che non può essere messo in discussione in questa sede di legittimità se non sotto il profilo degli eventuali vizi di motivazione.

La Corte di appello ha più che congruamente e logicamente motivato la sua convinzione, sulla base del potere discrezionale ad essa spettante di valutare le testimonianze acquisite ed ogni altro elemento di prova.

Le censure della ricorrente in proposito risultano in primo luogo inammissibili per difetto di autosufficienza, poichè non riportano nel ricorso il contenuto delle deposizioni ritenute più o meno attendibili, e sono comunque infondate, poichè non deducono alcuna circostanza oggettiva, idonea a dimostrare l’asserita insufficienza od illogicità della motivazione, ma solo manifestano il dissenso della ricorrente dal merito della decisione, cioè questione irrilevante quale motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (cfr., fra le tante, Cass. civ., Sez. 3^, 9 aprile 2003 n. 5582; Cass. civ., Sez. 3, 19 novembre 2007 n. 23929; Cass. civ. Sez. Lav., 2 luglio 2008 n. 18119).

Il fatto che i testimoni di parte convenuta fossero dipendenti della banca non è sufficiente a dimostrare, di per sè solo, illogicità od incongruenza della motivazione, soprattutto a fronte della circostanza che dei due testi di parte attrice uno era parente di uno dei fideiussori, potendo così configurare analogo sospetto di inattendibilità. In definitiva, quanto alla valutazione delle testimonianze non vengono prospettate sufficienti ragioni per disattendere il convincimento del giudice di merito, alla cui discrezionalità è riservata la suddetta valutazione, sulla base del principio del suo libero convincimento, quale si è venuto a formare tramite l’assunzione delle prove, il diretto contatto con i testimoni, con le parti e con le ulteriori acquisizioni istruttorie.

Va soggiunto che la Corte di appello ha richiamato a supporto della sua decisione non solo le testimonianze favorevoli alla banca, ma una serie di altre circostanze: in particolare lo stretto margine di tempo entro il quale i documenti avrebbero dovuto essere regolarizzati (considerato anche il fatto che pressochè tutti i documenti erano affetti da molteplici difformità rispetto a quanto prescritto; che non si trattava di difformità rilevabili solo da un tecnico-contabile quale l’impiegato di banca, ma percepibili da chiunque, ivi incluso l’incaricato di Line Vogue che aveva predisposto la documentazione).

4.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente o inadeguata motivazione nel capo in cui la sentenza di appello ha dichiarato inammissibile il suo appello incidentale, circa la nullità della pattuizione degli interessi nella misura del 13% sul credito della banca, perchè tale da superare i limiti dell’usura.

Premette di avere riportato nella comparsa di risposta in appello tutte le conclusioni formulate in primo grado; di avere richiamato la L. 7 marzo 1996, n. 108, in tema di usura, approvata nel corso del giudizio di primo grado, ed il nuovo testo dell’art. 1815 cod. civ., ed invoca il principio per cui non sono richiesti particolari formalismi o formule sacramentali per la proposizione dell’atto di appello.

4.1.- Il motivo non è fondato.

Vero è che l’appello non richiede formule sacramentali, ma esso deve quanto meno esporre le ragioni per cui l’appellante censura le argomentazioni con cui la sentenza impugnata ha respinto la sua domanda.

Il Tribunale aveva respinto l’eccezione sul rilievo che, all’epoca della pattuizione, la L. n. 108 del 1996, non era in vigore e non poteva ritenersi applicabile ai rapporti pregressi.

L’atto di appello dell’odierna ricorrente – per la parte in cui è riportato nel ricorso – contiene la mera riproposizione della domanda di accertamento dell’illegittimità della pattuizione relativa agli interessi, senza enunciare le ragioni per cui la sentenza di primo grado sarebbe incorsa in errore nel ritenere inapplicabile ai rapporti pregressi la nuova regolamentazione.

Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto le censure inammissibili perchè generiche.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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