Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-05-2012, n. 8547 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20/7/2009 la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Ugc Banca s.p.a. – quale mandataria della società Unicredit Banca s.p.a. incorporante la Banca Popolare di Rieti – e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Roma n. 19910/2004, dichiarava la sussistenza di una fideiussione rilasciata dalla società Nemo 90 Immobiliare s.r.l. a favore della predetta Ugc Banca s.p.a. valida fino al 7 luglio 1992 per le obbligazioni contratte dai sigg.ri S.L. e P.A.M..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Nemo 90 Immobiliare s.r.l. in liq. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società Unicredit Credit Management Bank s.p.a. (già Ugc Banca s.p.a.), nella qualità, che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la società Nemo 90 Immobiliare s.r.l. in liq..

Gli altri intimati (dalla ricorrente incidentale) non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo la ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1394, 1441 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che "la compagine sociale che avrebbe autorizzato la prestazione della garanzia con la delibera assembleare prodotta dalla banca – e richiamata in sentenza-era composta … proprio dalla sig.ra P. e dal marito (che vendettero poi le quote sociali da loro possedute ai sigg.ri G., cfr. doc. 3 del fascicolo di primo grado della nemo 90 Immobiliare s.r.l.) …. Tale farsesca situazione rende … assolutamente fondata l’eccezione di invalidità della fideiussione del 1990 attesa la sussistenza del conflitto di interessi …".

Con il 2 motivo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta che "la Corte di Appello … non ha in alcun modo affrontato l’eccezione – ampiamente argomentata negli scritti della esponente (cfr. pag. 19 e segg. Della comparsa conclusionale depositata, come doc. 4, nel fascicolo di secondo grado della Nemo 90 Immobiliare in liquidazione) – circa la radicale nullità delle fideiussioni in esame, inclusa quella del 22 febbraio 1990, ai sensi del disposto di cui al previgente (tuttavia applicabile ratione temporis alla presente controversia) art. 2624 c.c.)".

Con il 3 motivo la ricorrente denunzia omessa motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia "motivato le ragioni che l’avrebbero condotta a rigettare (o, comunque, non accogliere) l’eccezione … circa la radicale nullità delle fideiussioni in esame, inclusa quella del 22 febbraio 1990, ai sensi del disposto di cui al previgente (come detto, applicabile ratione temporis alla presente controversia ) art. 2624 c.c.)".

Con entrambi i motivi la ricorrente in via incidentale denunzia omessa e insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la corte di merito "ha mostrato di non aver tenuto presente ciò che questa difesa aveva detto svolgendo il primo motivo di appello (pag. 11-14) che qui si riportano con il sistema della fotocopiatura".

Lamenta che la corte di merito ha "dimostrato di aver completamente ignorato ciò che era stato scritto sub 8, pagg. 20 e 21 dell’appello e, soprattutto, le conclusioni della Soc. Nemo 90 Immobiliare.

Ebbene, come risulta dalla loro trascrizione, le conclusioni di detta società, come formulate nella citazione del 03.07.1994, tendevano inequivocabilmente all’accertamento del debito effettivo" e "correlandole a quelle immediatamente successive … s’evince come quelle di quest’ultima (e del soggetto a quello subentrato) null’altro invocassero che una pronuncia proprio su quelle dell’attrice, tenendo anche conto delle conclusioni della C.T.U. chiesta e ottenuta dalla società attrice".

I motivi di entrambi i ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dalle odierne ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dei requisiti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, va posto in rilievo come in particolare la ricorrente principale faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla "lettera del 2 giugno 1994", alla cessione da parte della sig. P.A.M. e del sig. S. delle "proprie quote ai sigg. G.F. e B.", al "bilancio approvato il 30 aprile 1991", alle "fideiussioni prestate dopo il 25 giugno 1991", alla "sentenza n. 19910/2004" del Tribunale di Roma, all’"atto di citazione notificato in data 8 ottobre 2004 alla Nemo 90 Immobilare s.p.a.", all’atto di costituzione in grado di appello dei sigg. S. e P., al notificato "decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo del Presidente del Tribunale di Rieti n. 363/94", alla "fideiussione rilasciata in data 22 febbraio 1990", ad "altra fideiussione, limitativa della prima, rilasciata in data 7 luglio 1992; alla "sentenza n. 22/96, pronunciata in data 5/12795 – 1/2796" del Tribunale di Rieti, all’"atto di citazione introduttivo del presente giudizio notificato il 13 luglio 1994", alla "delibera assembleare prodotta dalla banca -e richiamata in sentenza" limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente -per la parte d’interesse in questa sede- riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riportati, senza puntualmente ed esaustivamente indicare i dati necessari al reperimento in atti degli stessi (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non osserva il principio da questa Corte ripetutamente -anche a Sezioni Unite- affermato secondo cui l’indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto, tale prescrizione ritenendosi soddisfatta qualora: a) il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (v.

Cass., Sez. Un., 25/3/2010, n. 7161; Cass., Sez. Un., 2/12/2008, n. 28547. Da ultimo v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726).

Ne consegue che la detta ricorrente non pone invero questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444;

Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Con particolare riferimento al ricorso incidentale, va d’altro canto posto in rilievo che il requisito – del pari a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta invero soddisfatto allorquando come nella specie vengano nel corpo del motivo pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) gli atti e i documenti del giudizio di merito (nel caso, in particolare, l’atto di appello della società Ugc Banca s.p.a., le conclusioni del suo atto di costituzione in grado di appello, il "primo motivo di appello (pagg. 11-14)", la sentenza impugnata), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, con eliminazione del "troppo e del vano", non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 16/2/2012, n. 2223;

Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quale richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v.

Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698; Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Osservato, ancora, con particolare riferimento al 2 motivo del ricorso principale, che non ricorre invero vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia come nella specie implicita nella costruzione logico- giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v.

Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355), quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537), in ordine al ricorso incidentale (atteso che la ricorrente non propone denunzia di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: cfr. Cass., 15/4/2011, n. 8725) va per altro verso ribadito che al giudice di merito non può invero nemmeno imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione di tutte le tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Il vizio di motivazione non può essere d’altro canto utilizzato per proporre un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Orbene, alla stregua di tutto quanto sopra rilevato ed esposto emerge evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni di entrambe le odierne ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v.

Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via le ricorrenti in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti ricorrenti (in via principale ed incidentale) delle spese del giudizio di cassazione.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia al riguardo con riferimento agli altri intimati (dalla ricorrente incidentale), non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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