Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-10-2011) 18-11-2011, n. 42621

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, investito ex art. 309 c.p.p., della richiesta di riesame proposta dall’indagato M.G., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 11.3.2011 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p..

Secondo la contestazione, in particolare, il M. s’era responsabile di concorso esterno nell’associazione camorristica "Ligato-Lubrano", facente capo, all’epoca, ai cugini R., detto (OMISSIS), L. e Li.Pi..

Il sodalizio, riferisce l’ordinanza impugnata, costituiva una "storica" associazione di stampo mafioso, guidata originariamente da L.R. e L.V., padri di L.P. e L.R., da tempo operante nel territorio di (OMISSIS) assieme alla famiglia A. e in stretto contatto con il "clan Nuvoletta"; l’inimicizia tra il "clan dei Casalesi" e i "Nuvoletta" aveva coinvolto il gruppo Ligato – Lubrano – Abbate, che aveva combattuto con i Casalesi una guerra di camorra di cui era stato vittima, fra molti, anche L.R..

Secondo l’accusa, il M. aveva concluso un patto di scambio "politico-mafioso" con il gruppo Ligato-Lubrano, ricevendo appoggio elettorale in vista della sua elezione a sindaco nelle competizioni del 2002 (27-28 maggio) e 2006 (28 e 29 maggio) in cambio dell’impegno a favorire, da sindaco, il sodalizio.

L’imputazione faceva riferimento ad un accordo teso a consentire l’aggiudicazione di appalti comunali; ad omettere qualsiasi controllo in ordine alla gestione dei beni confiscati all’organizzazione criminale permettendo che continuasse di fatto a gestirli e a lucrarne le rendite; ad assicurare l’erogazione di finanziamenti pubblici.

In realtà, precisa il Tribunale, non risultavano elementi da cui indurre che il M. avesse posto in essere condotte finalizzate alla aggiudicazione di appalti o alla erogazione di finanziamenti in favore del sodalizio. Poteva invece ritenersi dimostrato che già prima delle elezioni del 2002 s’era rivolto agli esponenti del clan per avere sostegno elettorale e che, in cambio di tale sostegno, aveva operato a favore del clan Ligato-Lubrano, intromettendosi nella gestione dei beni confiscati e operando in modo da intralciarne l’acquisizione al patrimonio del Comune e l’utilizzazione a fini istituzionali.

Gravi indizi in tal senso erano forniti anzitutto dalle denunzie e dichiarazioni, de relato, di C.R., consigliere comunale di minoranza durante i mandati da Sindaco del M., relative all’incontro preelettorale tenuto nel 2002, tra il M. e L.R.; dalle dichiarazioni di E. C., P.F., testimoni di riferimento, e di N.R., convergenti nel senso che in vista delle elezioni del 2002 v’erano effettivamente stati incontri tra M. e L.R.; dalle dichiarazioni di C.R. e P.F. in ordine alla disponibilità, manifestata dal M. in quell’occasione di tale incontro, a una incondizionata disponibilità a favorire i vertici del gruppo criminale in caso di sua elezione a Sindaco; dalle dichiarazioni di P.G. relative alle elezioni del 2006, de relato dalla moglie e da questa smentite quanto ad analogo accordo concluso con L.P., a cui il M. avrebbe promesso di intervenire a favore del rilascio di un permesso di costruzione, ma de visu, e credibili, quanto al racconto del L. che sotto il Comune gridava al M. che si sarebbe ripreso i voti se non avesse fatto quello che doveva; dalle condotte tenute dal M. con riguardo alla acquisizione e alla gestione dei beni confiscati ai L..

Quanto alle esigenze cautelari, non risultava, ad avviso del Tribunale, alcun elemento capace di vincere la presunzione istituita dall’art. 275 c.p.p., comma 3, avendo al contrario il M. dimostrato spiccata capacità criminale, non essendo intervenuto alcun distacco dall’ambiente criminoso o politico amministrativo in cui erano maturate le condotte contestate, neppure essendo state intervenute dimissioni dalla carica di Sindaco.

2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore avvocato Filippo Trofino, che chiede l’annullamento della ordinanza impugnata denunziando violazioni di legge e vizi della motivazione.

2.1. In ordine al compendio indiziario, deduce in particolare che l’amministrazione comunale disciolta nel 2000 per infiltrazione mafiosa era capeggiata da persone gravitanti nell’area dell’accusatore C.R., così come P.F., C.E. e P.G., e che il M. aveva intrapreso un battaglia politica all’insegna della legalità.

La copiosa documentazione prodotta dalla difesa al Tribunale del riesame dimostrava l’assoluta inattendibilità di C.R. e dei suoi testi de relato (la documentazione si riferiva al giudizio civile per diffamazione intentato nei confronti di C. R., alla denunzia per subornazione dello stesso, ad ulteriore denunzia per le pressioni esercitate sul teste M.V., e conteneva ben 26 fotografie scattate il (OMISSIS) nelle strade e piazze di P. e nel cortile di casa C., ove si vedevano partecipare ai festeggiamenti in onore di questo, eletto Sindaco nel (OMISSIS) appunto, svariati personaggi legati al clan Ligato- Lubrano, tutti legati dal comune intento di demonizzare ingiustamente il M.).

Era manifestamente illogica la patente di attendibilità conferita al P.F., giacchè se fosse stato vero che il Magliocca era asservito al clan, mai il P., autista e fedele amico proprio di L.R., lo avrebbe accusato.

Non si erano considerate correttamente le dichiarazioni dei proprietari del ristorante, M.N. e P.P., i quali avevano negato l’esistenza delle cene cui si riferivano C.R. e le sue fonti; e non si era affatto considerato che anche il teste Ma.Vi. li aveva contraddetti.

Erroneamente si era dato valore alle dichiarazioni di P. G., totalmente smentito dalla sua convivente, dalla quale a suo dire aveva appreso le notizie riferite, e che era rimasto detenuto dall’ottobre 2004 al luglio 2007, proprio in concomitanza cioè con le elezioni del giugno 2006.

Non era stata prestato alcuna attenzione ai 4 volumi di documenti concernente l’acquisizione e la destinazione degli immobili confiscati ai L., dai quali emergeva per tabulas l’inconsistenza dell’accusa di ritardi e omissioni e con i quali si dimostrava al contrario:

– (a) in relazione alla (OMISSIS), che correttamente il M. aveva preteso dall’Agenzia del Demanio che l’immobile fosse prima liberato dagli occupanti, onde risparmiare al Comune le spese di sfratto e di eventuali azioni civili (quali quelle che il comune aveva dovuto sostenere nei confronti di affittuari di beni confiscati ai Nuovoletta); che la sua richiesta era stata difatti accolta dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza di Caserta, che aveva disposto che la competenza allo sgombero era dell’Agenzia del Demanio, e condivisa dalla nota 8.1.2003 della Prefettura di Caserta, con la quale si invitava il Demanio a procedere allo sgombero; che sarebbe stato d’altra parte irragionevole che, nonostante la confisca fosse definitiva sin dal 1997 e il Demanio fosse rimasto inerte da quella data, gli oneri dello sgombero competessero al Comune; che consegnato l’immobile libero da ogni vincolo giuridico o di fatto, il 26.8.2003, l’acquisizione era avvenuta in soli tre giorni, il 29.8.2003;

– (b) in relazione allo stabile di P., che, non potendosi acquisire contemporaneamente la villa e lo stabile, perchè la prima era occupata, il M. correttamente s’era per intanto fatto consegnare il secondo conferendolo all’associazione Mondotondo, e tanto aveva fatto non perchè sollecitato dall’Agenzia del Demanio l’11.11.2002, ma perchè la Prefettura aveva chiarito che si poteva procedere alla consegna dei soli cespiti liberi; che il M. aveva quindi provveduto a far ristrutturare il bene e ad adibirlo a servizi sociali, come in atti attestato;

– (c) in ordine ai danni prodotti a (OMISSIS), che la rimozione degli infissi da (OMISSIS) era stata autorizzata dal M. solo perchè tratto in inganno dall’allegato A all’inventario compilato dal custode giudiziario; che non aveva comunque autorizzato che tale asportazione producesse danni e sarebbe spettato alle Forze dell’ordine presenti impedire questi e gli altri danneggiamenti prodotti dagli uomini del L. nel prelevare la mobilia;

– (d) in ordine al pescheto, che mai i Vigili, nonostante i numerosi controlli effettuati dal 26.8.2003 al giugno 2007, avevano comunicato al M. anomalie circa la sua gestione, nè segnalazioni erano giunte dalle Forze dell’Ordine, pure invitate dal M. a predisporre servizi di controllo; che solo in occasione della manifestazione del 5.6.2007, organizzata dal Comune su i beni confiscati al N., C.R. aveva accusato il Presidente della Assiciazione Icaro per la gestione di quei terreni e il M. non soltanto aveva denunziato i fatti così scoperti, ma aveva disposto l’acquisizione di informativa antimafia sul conto del Presidente di quell’Associazione, non revocandogli poi la concessione non soltanto perchè l’esito dell’informativa era stato positivo, ma anche perchè sospettava che il C. tentasse di far confluire la gestione dei beni ad associazione con cui aveva "strane cointeressenze". 2.2. Con riguardo alle esigenze cautelari, lamenta che esse erano in realtà del tutto insussistenti e che il Tribunale, affermando che non v’era stato distacco del M. dagli ambiti politico- amministrativi in cui erano maturati i reati, perchè non s’era formalmente dimesso dalla carica di Sindaco, aveva macroscopicamente trascurato la copia delle irrevocabili dimissioni depositata in udienza dal M..

3. Con motivi nuovi, depositati il 3.10.2011 a firma dell’avvocato Franco Coppi, si illustrano nella sostanza le censure già prospettate, corredandole tuttavia dall’allegazione degli atti richiamati, e si precisa:

– che in ordine al patto politico mafioso assertivamente stretto nel 2006, il Tribunale aveva omesso di valutare che il dichiarante P. era all’epoca in carcere (all. 1); che la moglie lo aveva smentito (all. 2); che non risultava che L.P. o altri per lui avessero mai chiesto permesso per costruire un capannone in località (OMISSIS) (all. 3);

– che in ordine al patto politico mafioso stretto nel 2002, il Tribunale aveva fondato il suo convincimento sulle dichiarazioni del teste P., che pure, presente alle cene, aveva escluso che in quelle occasioni fosse stato stretto alcun accordo criminoso tra M. e L.;

– che il Tribunale aveva omesso di valutare che l’esistenza delle cene era negata (al 99%) dai proprietari del ristorante Mo.

N. e P.P., i quali avevano pure accusato il C. di avere fatto su di loro pressioni perchè dicessero il contrario (all. 5 e 6); che per tali fatti pendeva nei confronti del C. procedimento penale per in subornazione di testi aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (all. 7); che anche il cuoco del ristorante, Ma.Vi., aveva affermato che non gli risultava che il M. avesse mai cenato con L. (all.

8);

– che il Tribunale aveva, ancora, omesso di valutare che i testimoni D.G. e P.G., in sede di indagini difensive avevano dichiarato come in vista delle elezioni del 2002 fossero stati avvicinati da L.R., che aveva chiesto loro appoggio per sostenere C.S., candidato in lista opposta a quella del M. (all. 9, 10 e 11); che tramite i Carabinieri M. aveva denunziato che dopo le elezioni v’era stata una cena tra C.S. e L.R. per festeggiare l’elezione del primo a consigliere comunale (all. 12);

che i testi D.F. e V.M.L. avevano dichiarato che alla vigilia delle elezioni del 2002 il M. aveva rifiutato la proposta fattagli da C.E. di candidare nella sua lista D.R.F. e C.S., a causa della ritenuta non limpida frequentazione tra il proponente e P.F., sicchè i due proposti avevano trovato spazio in lista avversaria (all. 13 e 14);

– che neppure si era considerato che secondo quanto risultava dall’annotazione di Polizia in atti, in occasione della convocazione di N.R., il cognato, L.G., già sapeva dell’oggetto della convocazione e aveva affermato che le circostanze della cena erano state falsate (all. 15).

– che in relazione alla gestione dei beni confiscati, il Tribunale non aveva quindi considerato, o adeguatamente considerato, che secondo il progetto presentato dall’Associazione Mondotondo, i cespiti dovevano essere utilizzati per una fattoria biologica – casa famiglia, nel cui ambito la villa sarebbe servita per attività all’aperto, l’appartamento per attività infre-amurarie, e che tale progetto non era stato presentato quando il M. era Sindaco nè era stato mai da lui valutato o approvato (si fa riferimento agli atti della Commissione straordinaria che amministrava il Comune prima dell’elezione del M.);

– che si era ignorato che vi erano relazioni redatte dai vigili urbani dal 26.8.2003 al giugno 2007 in cui mai erano comunicate anomalie nella gestione del pescheto (all. da 16 a 33) e che il custode giudiziario all’atto della consegna aveva certificato che i cespiti erano liberi da ogni vincolo, mentre era poi risultata l’esistenza di un contratto di affitto del 10.8.2002, precedente di tredici mesi la data in cui, il 26.8.2003, il Comune aveva acquisito i beni;

– che si era erroneamente affermato che il M. s’era opposto al trasferimento della villa di contrada Conte e l’aveva ritardato, mentre aveva al contrario soltanto preteso, conformemente alla prassi avallata dalla stessa Agenzia del Demanio con nota n. 11858 del 29.10.2001, che fosse l’Agenzia ad esperire le procedure di "sfratto"; che non si era adeguatamente valutato, a tale proposito, che, difatti, con nota 8.1.2003 la Prefettura aveva invitato il Demanio a procedere allo sgombero dei cespiti occupati, che con nota 22.8.2003 il Sindaco aveva precisato che le spese della procedura esecutiva sarebbero state sopportate dall’Agenzia che aveva emesso l’ordinanza di sgombero, che con informativa in data 16.11.2007 i Carabinieri avevano evidenziato come dall’esame dell’iter seguito per il trasferimento dei beni confiscati non risultassero ritardi od omissioni (all. 35);

– che non si era adeguatamente considerato che l’asportazione degli infissi era stata autorizzata per errore indotto dall’allegato A) redatto dal custode giudiziario e che spettava agli esponenti delle Forze dell’ordine vigilare affinchè non fossero recati danni.

Con riguardo alle esigenze cautelari, il Tribunale aveva dimenticato che le valutazioni irrevocabili del ricorrente erano state protocollate già in data 12.3.2011 (il giorno successivo a quello della emissione della misura cautelare, all. 36); che a seguito di nuove elezioni era stato designato Sindaco il denunziante, C. R.; che la pendenza del procedimento avrebbe impedito all’indagato di ricoprire, anche per il futuro, cariche elettive.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare in parte fondato.

2. I giudici del riesame hanno ritenuto che poteva ritenersi certo che prima delle elezioni del 2002 il M. aveva incontrato a cena L.R. e che vi erano gravi indizi del fatto che avesse ottenuto appoggio elettorale dagli esponenti del clan Lubrano- Ligato e che si fosse adoperato, come controporatita, a loro favore ritardando l’acquisizione al patrimonio del Comune e l’utilizzazione a fini istituzionali dei beni confiscati alla famiglia L..

Gli elementi in tal senso erano forniti, come già accennato in fatto, dagli esposti e dalle dichiarazioni de relato di C. R.; dalle dichiarazioni di C.E. e di P. F., testimoni di riferimento, nonchè da quelle di N. R.; dalle dichiarazioni di P.G., relative alle elezioni del 2006; infine, ma principalmente, dalle condotte tenute da M.S., nell’ambito delle procedure di acquisizione e gestione dei beni confiscati.

2.1. In particolare, C.R. aveva dichiarato di avere appreso da tali C.E. e P.F., commensali, di un incontro a cena, prima delle elezioni del 2002, tra il M. e L.R.. Durante tale incontro L. avrebbe promesso il suo appoggio elettorale al M. e il M. avrebbe chiesto al L. come si doveva comportare per i terreni confiscati ai Li., ricevendo dal L. la risposta: "questo lo devi chiedere a lui, a me interessa che a P. partecipino alle gare d’appalto solo le imprese locali e non ditte provenienti da (OMISSIS)".

I testi di riferimento, C.E. e P.F. avevano entrambi confermato di avere partecipato a cene, due, con M. e L.R..

C.E. non aveva saputo o voluto, tuttavia, dire cosa si erano detti, nell’occasione, L. e M., pur avendo ricordato che s’era parlato delle imminenti elezioni.

P.F. aveva dichiarato che gli constava che il M. desiderava avvalersi dell’aiuto di L. per l’elezione a sindaco; che nella seconda cena, ricevute assicurazioni in tal senso dal L., il M. gli aveva domandato cosa volesse in cambio; che L. aveva risposto che non aveva interessi personali, ma desiderava che il M. si facesse carico dei problemi sociali del paese; che M. aveva ancora chiesto, allora, come doveva comportarsi con i beni confiscati ai Li.; che L. aveva risposto, risentito, che la cena non era finalizzata a interessi personali, per il futuro.

I proprietari del ristorante aveva affermato di non ricordare alcuna cena di M. e L., assieme, avevano ammesso però che i due erano frequentatori abituali del locale. Nel complesso, ad avviso del Tribunale non avevano realmente negato che dette cene fossero avvenute.

N.R., vedova di L.R., aveva ricordato di avere saputo dal marito di una cena con M. e P., con ciò fornendo ulteriore conferma dell’incontro raccontato da C. R. e da C.E. e P..

2.2. In relazione a tale complesso di elementi, il Tribunale ha anzitutto osservato che le dichiarazioni C.R. andavano considerate con cautela. Si trattava difatti di dichiarazioni de relato, confermate dai due testi di riferimento solo in parte, ovverosia soltanto in relazione alla esistenza di incontri preelettorali tra M. e L.. C.R. era inoltre un deciso avversario politico del M.; era "accusato", dal M., di essere vicino a persone gravitanti nell’area del clan Ligato-Lubrato; nei suoi confronti pendeva un procedimento civile, intentato dal M., per diffamazione e un procedimento penale per subornazione di testimone (nell’ambito del procedimento civile per diffamazione). Non poteva, per conseguenza, escludersi che fosse portatore di interessi personali configgenti, capaci di incidere negativamente sulla genuinità delle sue dichiarazioni.

Il Tribunale ha in tal modo sostanzialmente riservato la valutazione di credibilità del racconto di C.R., nonostante la sua veste di testimone, alla verifica dei riscontri acquisiti.

Sul punto sono perciò infondate le censure sviluppate nel ricorso, e nei motivi aggiunti, laddove si sostiene, in breve, che il Tribunale avrebbe omesso di considerare gli elementi di sospetto nei confronti del dichiarante, evidenziati dalla difesa con il corredo di copiosa documentazione. Correttamente, a fronte di tali argomenti, che non fornivano prova diretta di una menzogna ma mere indicazioni di una radicale contrapposizione politica e dell’esistenza di accuse reciproche, il Tribunale ha ritenuto di non assumere posizioni preconcette nè a favore della indiscutibile attendibilità del teste nè postulando un suo totale, non dimostrato, discredito;

prudenzialmente risolvendosi, invece, nel senso di soppesare le conferme acquisite.

2.3. Plausibile, appare per l’effetto la conclusione, tratta all’esito dell’illustrazione e valutazioni delle dichiarazioni dei testi di riferimento e della vedova del L., che le cene preelettorali potevano ritenersi avvenute, ma che non vi era alcuna certezza, sulla sola base di tali elementi, circa il contenuto dei colloqui intercorsi tra M. e L. e della stipulazione, tra i due, di un accordo di reciproco aiuto, nel quale sarebbe consistito il cosiddetto "patto di scambio politico-mafioso", postulato nell’imputazione.

Le osservazioni articolate dal ricorrente in ordine alla inattendibilità, sul punto degli incontri a cena, dei testimoni di riferimento, C.E. e P., non superano la soglia della opinabilità, e si risolvono in considerazioni di merito, o meglio nel tentativo di confutare dialetticamente le considerazioni, non illogiche nè carenti, dei giudici del merito, sottratte perciò al sindacato di questa Corte.

Altrettanto può dirsi, nella sostanza, del significato attribuito alle dichiarazioni dei proprietari del ristorante, interpretate non implausibilmente nel senso che essi non ricordavano, ma non avevano escluso nè erano in condizioni di escludere che le cene fossero avvenute. Neppure il testo (allegato ai motivi aggiunti) di tali dichiarazioni consente di affermare l’esistenza di un travisamento della prova, giacchè non può rilevare a tal fine la "percentuale", approssimativamente indicata dai testi del diverso tipo di "eventi" cui era dedicato il lavoro del ristorante, a fronte della esplicita affermazione, fatta da ciascun teste, che la cena non risultava loro, ma non potevano escluderla.

Prive all’evidenza di decisività appaiono poi le dichiarazioni in tesi non valutate del cuoco Ma. e la relazione di servizio dei Carabinieri in ordine alle spontanee dichiarazioni del cognato di N.R., L.V..

In base a quanto allegato dalla stessa difesa, il primo, il cuoco, ha anch’esso in definitiva semplicemente dichiarato che non gli "risultava" che la cena – della quale avrebbe dovuto essere informato, come per ogni cena tra "personalità", dai proprietari del ristorante – fosse avvenuta, e che non gli era capitato di vedere i due a cena: senza neppure chiarire quanto spazio il suo lavoro in cucina gli lasciasse per interessarsi delle persone dei commensali.

Il secondo avrebbe fatto mere dichiarazioni spontanee, che non risultano successivamente confermate, dicendo non che la cena non era mai avvenuta, ma che era stata strumentalizzata dalla sinistra e che era risalente a qualche anno prima la morte di L.R..

3. Non altrettanto corrette ed esaurienti appaiono tuttavia le successive considerazioni svolte nel provvedimento impugnato circa il fatto che gli elementi acquisiti offrivano comunque, per altre vie, non soltanto la prova che il patto di scambio illecito di favori v’era stato, ma che ad esso s’era attenuto il M..

E’ appena il caso di ricordare, a tale proposito, che, come lo stesso Tribunale riconosce in premessa, perchè si abbia concorso esterno in associazione mafiosa non basta la promessa di un intervento favorevole, ma occorre che da colui che non è stabilmente inserito nella struttura associativa siano realizzate effettive condotte d’ausilio al sodalizio, dotate di un’effettiva rilevanza causale per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino).

3.1. Sottolinea il Tribunale che dalle stesse dichiarazioni del P., pur amico e alle dipendenze del L., risultava quantomeno confermato che il M. aveva manifestato al L., in cambio dell’appoggio promessogli, la sua incondizionata disponibilità a seguire, da Sindaco, le indicazioni dei vertici del sodalizio criminale.

L’osservazione è da un lato non in linea con le dichiarazioni del teste, per come riferite nello stesso provvedimento impugnato, dall’altro poco conducente.

Stando a quanto riportato, il P. aveva narrato che il M. aveva offerto la sua disponibilità al L., e che questo aveva risposto che a lui interessava soltanto che i lavori nel Comune non fossero affidati a gente di (OMISSIS).

Raccordando tale asserzione al racconto, fatto dai giudici del merito in premessa, della guerra tra i Lubrano-Ligato e i "Casalesi", la raccomandazione del L. parrebbe assumere il significato di una raccomandazione a tenere lontana la famiglia mafiosa rivale. Fin qui, dunque, essa parrebbe priva di implicazioni illecite. E’ lo stesso Tribunale, d’altronde, che si premura di precisare come, rispetto alla contestazione, andasse precisato che non risultava alcun elemento che dimostrasse che il M. avesse favorito l’aggiudicazione di appalti o l’erogazione di finanziamenti agli esponenti del sodalizio con il quale s’era in tesi accordato. Il P. avevano inoltre precisato che il M. aveva, è vero, chiesto al L. se gli interessava che si adoperasse in relazione ai beni confiscati ai Li., ma che il L. aveva sdegnosamente rifiutato l’offerta, risentendosene.

La dichiarazione del P., credibile o non credibile che sia sul punto, non offre alcuna conferma diretta, dunque, dell’unico dato specifico che potrebbe interessare in questa sede, quello relativo ad una della promessa del M., accettata dal clan, di ritardare il trasferimento al Comune dei beni confiscati ai Li..

3.2. Sempre al fine di convalidare l’esistenza di un patto mafioso politico tra M. e il clan Lubrano-Ligato, il Tribunale valorizza inoltre le dichiarazioni di P.G., collaboratore di giustizia.

Questi aveva riferito che, secondo quanto gli aveva raccontato sua moglie mentre era detenuto, il M. aveva chiesto e ottenuto l’appoggio del clan Ligato-Librano per le elezioni del 2006, accordandosi con L.P., la cui organizzazione aveva curato la sua campagna elettorale, affiggendo persino i manifesti, e promettendo in cambio, una volta eletto Sindaco, di favorire l’organizzazione e, in particolare, di "sbloccare" una "pratica" del L. per la costruzione di un capannone (per il quale L. aspettava un finanziamento statale) nella zona industriale, nei pressi dello zuccherificio P.. Gli risultava che dopo le elezioni il L. aveva più volte sollecitata il M. a rispettare i patti, lui stesso avendo assistito, durante un periodo di libertà, ad un episodio in cui L.P., sotto il Comune, gridava all’indirizzo del Sindaco che, come gli aveva fatto avere i voti, così se li sarebbe ripresi se il M. non avesse fatto quello che gli aveva promesso. La ex-convivente del P. l’aveva smentito, ma secondo il Tribunale anche il solo episodio del quale il collaboratore aveva parlato come da lui personalmente constatato acquisiva indubbio valore sintomatico della esistenza di accordi illeciti, ai quali il L. reclamava si desse attuazione da parte del M..

Si fa riferimento dunque a un dichiarante, la cui veste non è chiara (se imputato di reato connesso o semplice teste), che da un lato parla de relato di un accordo diverso – perchè intervenuto in vista delle elezioni di maggio 2006, ovverosia circa quattro anni dopo i fatti riferiti dagli altri dichiaranti, e perchè avrebbe avuto oggetto diverso, ovverosia non più la "protezione" dei beni confiscati (pure non essendo questi ancora, secondo quanto più tardi si dirà, effettivamente impiegati secondo la prevista destinazione), ma l’agevolazione di una pratica edilizia o di un finanziamento – e che è tassativamente smentito in relazione a tale accordo dal teste di riferimento; dall’altro riferisce di avere assistito ad una scenata del L. che minacciava il M. perchè non l’aveva effettivamente aiutato.

Ora però, consistendo la contestazione in una ipotesi di concorso esterno, ridotta dal Tribunale all’aiuto prestato al sodalizio mafioso con il ritardare o l’ostacolare la definitiva apprensione e destinazione a fini di pubblica utilità dei beni confiscati ai Ligato, e non già nella, più generale, accusa di partecipazione mafiosa, il fatto da riscontrare era quello, specifico, imputato, costituito dalla realizzazione di quella determinata attività favoreggiatrice. L’esistenza di un accordo successivo, avente diverso oggetto, può valere come conferma dell’attitudine dell’agente, ma non è sufficiente a colmare le lacune circa la esistenza del precedente fatto.

Per altro, visto che il dichiarante non è stato ritenuto credibile in relazione a quanto ha affermato essergli stato riferito dalla moglie, la sua credibilità, all’opposto, in relazione a quanto assertivamente direttamente constato avrebbe dovuto essere adeguatamente giustificata, e ciò non è avvenuto. Nè basterebbe il cosiddetto principio della frazionabilità delle dichiarazioni.

Questo comporta in realtà solamente che l’attendibilità del dichiarante esclusa per una parte del racconto, non pregiudica per ciò solo, necessariamente, la sua credibilità con riferimento anche a quelle parti del racconto che reggono alla verifica dei riscontri oggettivi esterni. Ma non significa certo che per la parte in cui non trovano elementi di riscontro, nè di conferma nè di smentita, le sue dichiarazioni vanno automaticamente prese per buone, tanto meno se esse riguardano vicende o aspetti strettamente connessi a quelli per i quali risulta smentito. E non soltanto non è comunque consentito valorizzare dichiarazioni intimamente legate tra di loro per la sola quota che non risulta smentita, se di essa non risulta riscontrata aliunde la veridicità, ma l’obbligo di motivazione sul punto risulta anzi rafforzato, quando, come nel caso in esame, ragionevolmente si prospetta dalle parti la totale inattendibilità del dichiarante (Sez. 6, n. 6221 del 20.4.2005, Aglieri e altri).

Occorre dunque constatare che non risulta che sia stata cercata conferma del riferito patto del 2006 tra M. e L. P. per l’agevolazione di una pratica, edilizia o di finanziamento, del L., e che il provvedimento impugnato non da risposta alle obiezioni difensive circa l’inesistenza, al contrario, di una qualsivoglia pratica riferibile al L., avente le caratteristiche di quella descritta nel provvedimento impugnato come oggetto della promessa di favore.

La sceneggiata descritta dal testimone non dimostra affatto, infine, che il M. avesse effettivamente favorito il L., facendo anzi chiaro riferimento, in base a quanto riporta l’ordinanza impugnata, al fatto che questo era adirato perchè il M. non l’aveva aiutato.

4. L’attribuzione di valore indiziante alle dichiarazioni del P. e del Pa., quali elementi di conferma o riscontro, che dir si voglia, alle dichiarazioni di C.R. circa la promessa fatta dal M. al L. di proteggere i beni dei Li., appare dunque contraddittoria rispetto al contenuto di tali dichiarazioni e non adeguatamente giustificata. Fermo restando che nessuna di tali dichiarazioni si riferisce all’attuazione della promessa.

Restano i comportamenti tenuti dal M. nell’ambito delle procedure di assegnazione, destinazione e conduzione dei beni confiscati, che avrebbero, secondo l’ordinanza impugnata, eclatante valenza dimostrativa.

4.1. Codesti beni, oggetto di confisca di prevenzione divenuta definitiva nell’anno 1997, consistevano in uno stabile di civile abitazione in (OMISSIS); in una villa in contrada "(OMISSIS)" di (OMISSIS), che costituiva l’abitazione della famiglia L.;

negli adiacenti terreni agricoli coltivati a frutteto.

Secondo i giudici del merito, per l’intero periodo dei suoi due mandati il M. aveva sistematicamente eluso le disposizioni della L. 31 maggio 1965, n. 575 in ordine al trasferimento dei beni confiscati e alla loro destinazione a scopi sociali o istituzionali, da un lato ritardando, nonostante i numerosi solleciti provenienti dalle articolazioni territoriali del Ministero delle Finanze e del tesoro, l’acquisizione di fatto dei beni al patrimonio del Comune, dall’altro omettendo i dovuti controlli sulla effettiva utilizzazione dei beni confiscati e consentendo che alcuni di questi venissero rilasciati in condizioni di tale degrado da pregiudicarne valore e utilizzazione.

Nello specifico si osserva:

– che l’Agenzia del Demanio aveva disposto in data 14.10.2002 e con efficacia immediata alla data della notificazione, il trasferimento dei beni confiscati ai L. al patrimonio indisponibile del Comune di (OMISSIS), per essere assegnati all’associazione Mondotondo in vista della realizzazione di una casa famiglia per assistenza a minori con deficit psiconeurologici;

– che il M., in qualità di Sindaco si era arbitrariamente "opposto" all’assegnazione, adducendo, con nota 24.10.2002 che il Comune avrebbe "acconsentito" al trasferimento dei beni soltanto nel caso in cui gli stessi fossero effettivamente risultati "privi di qualsivoglia vincolo giuridico o di fatto", mentre gli stessi erano ancora "in possesso" della famiglia L.;

– che non essendovi pretesto alcuno per ritardare l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile di civile abitazione in (OMISSIS), non occupato, in relazione a tale immobile l’invito dell’Agenzia del Demanio era stato inizialmente semplicemente "ignorato" e l’acquisizione era stata quindi deliberata dal Consiglio comunale, a fine novembre 2002, dopo che con nota dell’11 novembre 2002 l’Agenzia, sezione di Caserta, aveva ritrasmesso al Sindaco copia del provvedimento del 14 ottobre, invitandolo ad intervenire il 21 novembre alla consegna dei cespiti; che l’immobile non poteva in ogni caso essere da solo utilizzato secondo progetto;

– che soltanto il 26 agosto 2003 si era provveduto, invece, allo esecuzione dello sgombero della villa e al contestuale suo trasferimento dall’amministrazione giudiziario, dott. Ma.

– che nell’occasione aveva redatto un elenco dei beni mobili da asportare e non ancora rimossi – al Sindaco, che in rappresentanza del Comune aveva ricevuto le chiavi dello stabile;

– che il M. era ancora intervenuto, quale Sindaco, in occasione delle operazioni di rimozione dei mobili rimasti nella villa, effettuate dai Li. successivamente allo sgombero e alla acquisizione al patrimonio comunale sotto il controllo del comandante della Polizia Municipale ( P.A.), autorizzando la rimozione degli infissi esterni blindati nonostante, interpellato, gli fosse stato prospettato che detta rimozione avrebbe potuto causare alla villa danni ingenti, così effettivamente provocati – secondo quanto attestato nella relazione di servizio del Maresciallo dei Carabinieri il 12.5.2007-;

– che il 5 ottobre 2005 il responsabile dell’associazione Mondotondo, a cui i beni erano stati formalmente consegnati il 26.8.2003, ma che non aveva ancora avviato il progetto di reimpiego dei beni confiscati, aveva rinunziato formalmente all’uso dei cespiti in contrada Conte, adducendo le pessime condizioni in cui versava la villa; che sorprendentemente il giorno successivo il Consorzio Icaro aveva presentato un progetto per la realizzazione di un centro di accoglienza e il 18 ottobre 2005 il Commissario Straordinario aveva consegnato i beni al Consorzio; che, ritornato in carica, con le elezioni del 2006, il M., nessuna utilizzazione aveva curato fosse realizzata dell’edificio, il quale, libero dal 2003, era nel 2010 oramai in condizioni di abbandono;

– che nel frattempo, il 7.6.2007, i responsabili del Consorzio Icaro accompagnando la Polizia Municipale di (OMISSIS) in un controllo nei terreni confiscati, avevano scoperto e denunziato che sino dal 2002 – 2003 la tenuta era coltivata a pescheto da tale m., in forza di contratto stipulato con L.M.G.; che il m. aveva dichiarato agli inquirenti che nulla sapeva della confisca, che riteneva che la L. fosse l’unica proprietaria, che sui fondi non v’erano cartelli o segnali e che mai, dal 2002, alcuno era andato a controllare o a chiedergli contezza della coltivazione, nonostante vi si recasse tutti i giorni – dalle 8 alle 16 d’inverno e dalle 6 alle 13 d’estate, salvi casi in cui era necessario trattenersi anche oltre – da solo o con operai per la raccolta delle pesche;

– che nel maggio 2007 si era inoltre accertata, tramite le dichiarazioni dell’imprenditore V.T. e del giornalista D.S.D., "casualmente presente", la presenza sui terreni limitrofi alla villa di L.P., che chiedeva al V. di tollerare ancora per qualche giorno lo sconfinamento di un suo gregge.

4.2. Il primo dato che va considerato è dunque che la confisca dei beni L. era definitiva dal 1997 (4 ottobre); che il M. è stato eletto Sindaco, invece, nel maggio 2002 (dopo un anno e mezzo di commissariamento), è stato in carica sino al (OMISSIS), gli è succeduto nuovamente un commissario straordinario, è stato rieletto nel maggio 2006.

Gran parte dei ritardi (basta scorrere la cronistoria da pagina 17 a pagina 20 dell’ordinanza cautelare, non riportata dal Tribunale), oltre che le incongruenze in ordine al mutamento delle associazioni destinate ad utilizzare i beni, segnalate con evidente sottolineature di sospetto, vuoi nell’ordinanza cautelare (cfr. p. 20, dove si definisce "incredibile" la designazione, nel marzo 2002, dell’associazione Mondotondo in luogo di quella, "il (OMISSIS)", in relazione alla quale, sino ad allora, si era "faticosamente" proceduto) vuoi nel provvedimento impugnato (in relazione alla rinunzia della associazione Mondotondo e all’immediato subentro del Consorzio Icaro, nell’ottobre 2005), parrebbero avvenuti sotto altre amministrazioni, i cui responsabili non risultano indagati per concorso esterno.

Sembra in ogni caso pacifico che, faticosamente concluso il 24 luglio 2002 (ordinanza cautelare, p. 21) l’iter dei controlli e pareri in ordine alla destinazione dei beni confiscati, al trasferimento si inizia a dare corso, ad opera dell’Agenzia del Demanio, nell’ottobre 2002. 4.3. Quanto ai comportamenti, o meglio agli aspetti della vicenda, specificamente addebitati, da tale data, al M., eletto Sindaco pochi mesi prima, è del 14 ottobre 2002 ("sono trascorsi cinque anni dalla confisca", rimarca l’ordinanza cautelare), come si è detto, il provvedimento con cui l’Agenzia del Demanio, Direzione centrale, disponeva il trasferimento dei beni "nello stato di fatto e di diritto" in cui si trovavano, al patrimonio indisponibile del Comune di (OMISSIS), per essere assegnati all’associazione Modotondo per la realizzazione di una casa famiglia: con efficacia, riferiscono i giudici del merito, dalla data di notificazione ad opera della filiale di Napoli dell’Agenzia del Demanio (territorialmente competente) al Comune di (OMISSIS).

La nota con cui, il 24 ottobre, il Sindaco M. rispondeva alla Direzione Centrale segnalando che i beni erano ancora materialmente nel possesso della famiglia Ligato e che il Comune avrebbe acconsentito al trasferimento solo ove gli stessi fossero stati liberati da qualsiasi peso "giuridico e di fatto", non può ritenersi sospetta a causa della sua intempestività, anche perchè la data della notifica del decreto dell’Agenzia non è riportata.

Il Tribunale ha ritenuto però pretestuosi i suoi contenuti, affermando che non rientrava nella discrezionalità amministrativa rifiutare il trasferimento, e tantomeno motivare un rifiuto sulla base di una situazione di mero fatto e totalmente contra ius, come confermato dal provvedimento del TAR Campania, che nei primi mesi del 2003 aveva respinto la richiesta (avanzata dalla moglie di Li.

R.) di sospensiva dell’intimazione di rilascio.

Ora è vero che, secondo pacifica e risalente giurisprudenza amministrativa (Tar Napoli, sent. n. 7114 del 2005, sent. n. 19373 del 2004), ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2 decies, comma 3, anche prima dell’emanazione del provvedimento del Direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze con il quale viene stabilita la destinazione dei beni confiscati, il Comune ha facoltà di esercitare i poteri di autotutela esecutiva che l’art. 823 c.c., comma 2, riconosce alla Pubblica amministrazione in materia di beni demaniali. Tale possibilità non rappresenta tuttavia un onere che ricade esclusivamente sull’ente territoriale.

Non risulta, d’altro canto, che la Direzione centrale dell’Agenzia del Demanio o la filiale competente ebbero formalmente a contestare la richiesta sindacale di provvedere a sgomberare l’immobile occupato, mentre risulta che intimazione di rilascio venne effettivamente adottata dall’Agenzia del Demanio, sezione di Caserta, e che le relative operazioni vennero eseguite, con l’assistenza della Forza pubblica, soltanto il 26.8.2003, l’esecuzione essendo stata, si dice, "ritardata" dalla presentazione di un ricorso della L. in data 24.12.2002, respinto dal Tar il 18.3.2003 (ordinanza cautelare, p. 24).

La difesa aveva, inoltre, dedotto che, secondo la prassi avallata dalla Direzione Centrale Agenzia del Demanio con circolare del 29.10.2001 (allegata), le procedure di sfratto e di sgombero degli immobili locati o abusivamente occupati andavano esperite dalla stessa Agenzia (nelle sue articolazioni territoriali), al fine di consentire un effettivo trasferimento del bene nella disponibilità dell’ente territoriale. Tant’è che, come risultava dagli atti (ordinanza cautelare, pag. 24), la Prefettura aveva l’8 gennaio 2003 sollecitato proprio l’Agenzia del Demanio campana, sede distaccata di Caserta, a procedere allo sgombero degli immobili ancora abusivamente occupati dalla famiglia Li.. Aveva altresì osservato che la richiesta rivolta dal Sindaco all’Agenzia, di procedere preventivamente allo sgombero, era ragionevolmente dettata dalla preoccupazione di non fare sopportare al Comune i costi della relativa procedura e degli eventuali ricorsi che avrebbero potuto intentare gli occupanti, come avevano poi effettivamente fatto.

A tali deduzioni il provvedimento impugnato non da tuttavia risposta.

Il Tribunale si è limitato, difatti, a qualificare drasticamente il contenuto della nota del 24 ottobre alla stregua di un "rifiuto", facendone discendere l’osservazione dell’inesistenza di discrezionalità amministrativa del sindaco in tal senso; non sembra avere preso invece in alcuna considerazione, le prospettazioni difensive circa la natura interlocutoria della missiva, con cui il Sindaco avrebbe in definitiva soltanto rappresentato che spettava all’Agenzia del demanio provvedere a liberare gli immobili prima del trasferimento, sulla base di prassi consolidate e di ragioni d’opportunità amministrativa in astratto non peregrine (almeno alla luce del tempo che era stato impiegato per giungere al decreto di trasferimento, e di quello, successivo, impiegato dalla filiale dell’Agenzia per dare corso allo sgombero e al contestuale trasferimento, realizzati, come si è anticipato, il 26 agosto 2003).

4.4. Il trasferimento dell’immobile libero, situato nella via (OMISSIS), era stato perfezionato invece già a fine novembre, inizi (OMISSIS) (secondo la più precisa scansione temporale dell’ordinanza cautelare, il (OMISSIS) erano stati redatti i verbali di trasferimento e di assegnazione all’associazione Mondotondo, lo stesso giorno il Sindaco aveva comunicato alla Prefettura l’acquisizione del solo cespite libero, il 25 novembre aveva comunicato che il Consiglio Comunale era stato convocato per il 28 novembre, il 3 dicembre aveva trasmesso all’Agenzia del Demanio la delibera consiliare di acquisizione e l’invito all’associazione Mondotondo a prendere possesso definitivo dell’immobile).

A fronte di tempi all’evidenza non irragionevoli, l’osservazione del provvedimento impugnato – secondo cui a tanto il M. era stato in realtà "costretto" dall’impossibilità di accampare pretesti, dalla sollecitazione dell’Agenzia comunque intervenuta il 14 novembre, dalla sostanziale inutilità del trasferimento di quel solo immobile – impropriamente utilizza, con il primo e ultimo argomento, mere illazioni sulle intenzioni, da dimostrare, in luogo di dati obiettivi su i fatti, che dovrebbero dimostrarle. Non considera, con riguardo al secondo argomento, che era proprio il provvedimento della Direzione centrale dell’agenzia del Demanio del 14 ottobre che rimetteva l’efficacia del trasferimento, alla notifica del decreto ad opera della filiale territorialmente competente: che era per l’appunto la filiale campana, di Napoli, sezione distaccata di Caserta. Neppure chiaramente risponde, tornando all’ultimo argomento, alle osservazioni difensive in ordine al fatto che il M., quale Sindaco, aveva provveduto a far ristrutturare il bene e ad adibirlo effettivamente a servizi sociali.

4.5. Vi è poi l’episodio, obiettivamente inquietante, dell’asportazione degli infissi blindati della villa bunker in contrada Conte, con conseguente grave danneggiamento dello stabile.

Il ricorrente aveva dedotto che il nulla osta a siffatte operazioni era dipeso dal fatto che quegli infissi comparivano nell’allegato al verbale di consegna, contenente l’elenco dei beni da asportare, redatto dall’amministratore giudiziario all’atto del trasferimento del bene; che il M. era stato tratto in inganno da tale allegato; che i danni non erano dipesi dalla rimozione in sè degli infissi blindati, ma dalla mancata adozione delle cautele tecniche, pure da lui raccomandate; che spettava ai pubblici ufficiali, che presidiavano alle operazioni, impedire lo scempio che certamente non era consentito.

In proposito l’ordinanza cautelare aveva rilevato che l’elenco delle cose asportabili (comprensivo persino dei sanitari) predisposto dal "solerte amministratore" era "quanto meno sospetto", ma che a tale elenco non annettersi alcuna efficacia vincolante e che il Sindaco aveva non solo il potere ma anche il dovere di "disattenderlo". Il Tribunale del riesame ha osservato che, in base a quanto risultava dalla annotazione di servizio del maresciallo G. (che risulta, tuttavia, redatta soltanto il 12,5.2007, dopo che lo "scandalo" era scoppiato) e a quanto dallo stesso dichiarato in pari data, il Sindaco, "interpellato dal P. (Comandante della Polizia Municipale) sull’opportunità di procedere alla rimozione degli infissi esterni all’abitazione, che avrebbe potuto causare danni alla villa, diede ordine di continuare nelle operazioni". Non risponde dunque alle deduzioni difensive nè, a volere ritenere per implicito richiamate anche le osservazioni del primo giudice, valuta e chiarisce la natura dell’"allegato" redatto dall’amministrazione giudiziario.

In linea teorica è da ricordare che oggetto di confisca e di trasferimento è il bene che è stato assoggettato a sequestro, e che questo si esegue, a norma della L. n. 575 del 1965, art. 2 quater, con le forme del codice di procedura civile per i pignoramenti immobiliari. Il sequestro si estende perciò, in difetto di espressa previsione contraria, agli accessori, alle pertinenze ed ai frutti, nonchè a tutto ciò che, anche se non menzionato nel provvedimento, costituisce parte integrante del compendio pignorato (Sez. 2 civ., n. 6661 del 30/03/2005, Rv. 580251). Per coerenza, vale anche per il provvedimento ablativo che consegue al sequestro di prevenzione, e cioè per la confisca, e per l’eventuale decreto di trasferimento che ad essa consegue, il principio che il cespite è identificato in base agli elementi obiettivi contenuti nel decreto di trasferimento, ferma l’applicabilità dell’art. 2912 c.c. e salvo che la descrizione del bene nel decreto di trasferimento non contenga elementi tali da far ritenere che sia stata esclusa l’applicazione dell’anzidetta estensione (sent. n, 6661 del 2005, cit.).

Il cosiddetto "allegato" all’atto del trasferimento e dell’immissione in possesso del Comune consisteva in un elenco dei beni da asportare.

Per come descritto, parrebbe trattarsi di un inventario redatto dall’amministrazione giudiziario a corredo del trasferimento e a individuazione, perciò, e limitazione dei beni trasferiti. Essendo il decreto di trasferimento un atto di mera esecuzione, è indubbio che con esso non poteva individdarsi il bene, nè apporsi al principio di accessione limitazioni, in difformità dal titolo (dal decreto di confisca). Il rimedio non poteva consistere tuttavia nell’ignorare semplicemente siffatta individuazione, ma semmai nel contestarne la legittimità mediante incidente d’esecuzione.

Ma per poter rimproverare al M. di avere dolosamente omesso di attivare tale rimedio, o di avere, ancor prima, colluso con l’amministratore giudiziario, sarebbe stato perlomeno necessario verificare la natura dell’allegato e la sua legittimità; argomentare quindi, da un lato, sul fatto che il M. era consapevole dell’arbitrarietà dell’operato dell’amministrazione giudiziario nella delimitazione del cespite; risolvere dall’altro – seppure, come è ovvio, solo incidentalmente – l’intima contraddizione della prospettazione accusatoria che non lambisce la figura dell’amministratore.

4.6. Peccano analogamente di inadeguata risposta alle deduzioni difensive e di contradditorietà le osservazioni in merito alla conduzione dei fondi ad opera di quel tale m. che avrebbe stipulato nell’ottobre 2002 un contratto di acquisto di frutta pendente con la L., moglie di L.R., continuando a coltivare il frutteto e a raccogliere frutta sino alla "scoperta" e denunzia del fatto, nel (OMISSIS), nonchè in merito all’uso a pascolo ad opera di Li.Pi. dei terreni adiacenti la villa.

Anche in relazione a tali aspetti la tesi accusatoria riposa sull’ipotesi di una consapevole, dunque sicuramente dolosa, attesi gli antefatti, inerzia dell’amministrazione comunale, e per essa del Sindaco Ma..

Tuttavia, se si presta fede all’affermazione del m. (riportata nell’ordinanza impugnata) che il contratto con la L. era stato stipulato nell’ottobre 2002 e che il m. aveva iniziato a coltivare, continuativamente, come dice, il fondo nell’anno 2002, e si vuole ipotizzare un perdurante ininterrotto uso a pascolo ad opera dei L. del terreno adiacente la villa, si dovrebbe spiegare come mai, all’atto dello sgombero e del trasferimento della villa e dei fondi sui quale insisteva, avvenuti per quanto si riferisce nell'(OMISSIS), tale situazione non era risultata o era stata ignorata, oltrechè dal Sindaco, anche dall’amministratore; si dovrebbe considerare, altresì che, a quanto pare, essa venne ignorata anche dal Commissario straordinario che succedette al M., da (OMISSIS); e si dovrebbe verificare se erano stati disposti dalle autorità via via competenti, i doverosi accertamenti e quali responsi avevano dato.

Soprattutto, in ogni caso, si sarebbe dovuto dare risposta alle deduzioni difensive con le quali si sosteneva che nulla di irregolare era mai stato segnalato al Sindaco, nulla essendo mai ufficialmente risultato dai numerosi verbali dei controlli effettuati dalla polizia municipale, puntigliosamente allegati e apparentemente ignorati.

Neppure la deduzione difensiva che il M. non era a conoscenza di alcuna irregolarità nella conduzione dei fondi, mai a lui rappresentata prima del maggio 2007, nonostante i controlli demandati, ha, in conclusione, ricevuto risposta soddisfacente.

5. Le rilevate carenze motivazionali in ordine alla gravità e univocità del compendio indiziario impongono l’annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Napoli, perchè proceda a nuovo esame.

Restano assorbite le censure in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Non può esimersi, ciò nonostante, il Collegio dal rilevare sin d’ora che – mentre è all’evidenza priva di fondamento l’osservazione secondo cui la sola pendenza del procedimento in esame precluderebbe al M. l’accesso a cariche elettive (è solamente la condanna per certuni reati che può incidere sui diritti di elettorato passivo, esclusivamente, per altro, in relazione alle competizioni amministrative e locali) -, come ha giustamente rilevato il Procuratore generale, il Tribunale parrebbe avere ignorato la circostanza che il M. ha depositato l’atto con si sarebbe immediatamente dimesso dalla carica di Sindaco e non ha espressamente motivato in ordine al tempo oramai trascorso dai fatti.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.

Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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