Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-10-2011) 18-11-2011, n. 42620

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 5 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da I.G. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24 maggio 2010 dal giudice per le indagini preliminari in relazione ai delitti di cui agli artt. 416 bis e art. 648 c.p..

Il Tribunale, preliminarmente, ripercorreva, sulla base delle sentenze acquisite ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. e delle dichiarazioni rese da D.D.A. le vicende relative alla sanguinosa faida che aveva visto contrapposte, nel periodo dal 1977 al 1989, le famiglie Gallico e Condello-Bruzzise che si contendevano il controllo territoriale della zona di Palmi, ritenuta strategica in quanto interessata dai lavori del tratto autostradale della (OMISSIS), della strada statale n. (OMISSIS) e della località turistica di (OMISSIS). Nei primi mesi del 1990 si verificavano la morte di tutti gli esponenti del clan Condello, la scomparsa dal territorio degli esponenti di rilievo del gruppo Bruzzise e l’arresto degli affiliati al gruppo Gallico. Dal (OMISSIS), dopo la scarcerazione di B.G. e del tentativo da parte di costui di riaffermare l’egemonia in territorio di Barritteri, nella zona di Seminara, Barritteri e Palmi veniva consumata una nuova serie di omicidi, frutto della rottura di delicati equilibri raggiunti tra le consorterie operanti in quella zona che avevano coinvolto soggetti appartenenti (o, comunque, vicini), ai due schieramenti dei Gallico- Morgante-Scilitano da una parte e dei Bruzzise dall’altra ed erano espressione delle strategie di controllo dei lavori di ammodernamento della (OMISSIS) nella zona territoriale di competenza.

Le vicende oggetto del presente processo si collocano in tale articolato contesto, contraddistinto dalla perdurante operatività della cosca Gallico, radicata nel territorio di Palmi e caratterizzata da una forte connotazione familiare che vedeva in G.G. e G.D. (storici capi detenuti), e nei loro fratelli C., R., T. e M.A. gli esponenti di vertice del sodalizio, gerarchicamente sovraordinati rispetti a più rami operativi autonomi e talvolta in concorrenza fra loro (in relazione alla consumazione di svariati reati contro il patrimonio e commessi con l’uso di armi), ma uniti quanto alle complessive strategie criminali da perseguire e alla consumazione delle condotte illecite coinvolgenti gli interessi generali dell’organizzazione.

2. Il Tribunale evidenziava che la I. fungeva da cassiera della cosca, riceveva le ingenti somme di denaro dal marito G. R., divenuto reggente della consorteria dopo l’arresto di C., avvenuto il 13 aprile 2000, e le consegnava agli altri sodali. I proventi dell’attività illecita erano equamente ripartiti per sei, fra tutti i fratelli G., compresa la sorella, M. A.G.. Veniva in proposito richiamato il contenuto di numerose conversazioni intercettate, rispettivamente, presso le case circondariali di Secondigliano (cfr. colloquio tra G. G., detenuto, e il figlio A. dell’1 febbraio 2007;

conversazione del (OMISSIS), tra G.A. e il padre, nonchè il colloquio dell’1 febbraio 2007), di C. (cfr. colloqui del 22 maggio 2007 e del 24 luglio 2007).

Inoltre, dopo l’arresto del marito, I.G. fungeva da "postino" dell’organizzazione, prestandosi a svolgere attività di collegamento tra R. e i sodali rimasti in libertà, in particolare G.C. e C.A.. A tale riguardo veniva richiamato il contenuto dei colloqui del 24 marzo 2008, del 18 aprile 2008, dell’1 aprile 2008.

La I. si rendeva, altresì, disponibile alla intestazione fittizia di attività della cosca al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale. A tale proposito venivano richiamate le vicende relative all’acquisizione delle licenze e dei nulla osta necessari per la gestione di un chiosco da adibire a "bar – rosticceria – pasticceria" all’interno dell’area del nuovo liceo scientifico denominato "(OMISSIS)", posto nei pressi dello svincolo autostradale di (OMISSIS) (cfr. conversazioni del 18 e del 26 aprile 2008, nonchè del 9 maggio 2008).

Le esigenze cautelari, presunte ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, venivano ritenute sussistenti sotto il profilo dell’art. 274 c.p.p., lett. c), tenuto conto della gravità dei fatti, da inquadrare in contesti di criminalità organizzata, dell’importanza del contributo fornito.

3. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’indagata, la quale, anche mediante motivi aggiunti e la produzione di alcuni documenti (verbali delle trascrizioni dei colloqui intercettati, video dei suddetti colloqui, consulenze di parte sull’effettivo tenore delle frasi pronunziate nel corso degli stessi) formula le seguenti doglianze.

Lamenta violazione di legge e violazione dei canoni di valutazione probatoria, carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un quadro di gravità indiziaria, alla prova di un effettivo, consapevole e volontario contributo causalmente rilevante fornito alla vita dell’organizzazione e ai ruoli contestati, tenuto conto anche del contenuto equivoco delle conversazioni intercettate, la cui effettiva valenza è stata travisata o letta in modo parziale e congetturale in assenza di altri obiettivi elementi di riscontro.

Denuncia, poi, vizio della motivazione e travisamento del fatto con riferimento all’interpretazione fornita al contenuto dei colloqui intercettati anche alla luce delle diverse chiavi di lettura offerte dalla difesa.

Eccepisce, altresì, violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 648 c.p., non emergendo da alcuni dei colloqui captati la consapevolezza della provenienza illecita delle somme consegnate.

Lamenta, infine, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Con riferimento alla prima e all’ultima censura il Collegio osserva che il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti contestati alla I. da un vasto complesso di intercettazioni ambientali, riscontrate dagli esiti degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria sui loro interlocutori, le loro vicende personali, l’oggetto dei diversi colloqui.

L’ordinanza impugnata, con motivazione compiuta e logica, ha delineato l’esistenza e l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale la ricorrente forniva un pieno e consapevole contributo causale grazie al suo rapporto di coniugio con uno degli esponenti di vertice dell’associazione ( G.R.), da tempo adusa ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per realizzare, anche mediante l’eliminazione fisica di esponenti di cosche avverse, il controllo capillare del territorio e delle attività economiche e produttive, con particolare riferimento ai lavori della (OMISSIS), della strada statale n. (OMISSIS) e della località turistica di (OMISSIS).

I giudici di merito hanno puntualmente ricostruito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici e saldamente ancorata alle specifiche acquisizioni investigative, i ruoli serbati dalla I. all’interno del sodalizio (cassiera, "postino" al fine di consentire ai diversi membri detenuti di mantenere contatti con i sodali rimasti in libertà, intestataria di attività economiche e commerciali al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale) e le volontarie e consapevoli condotte di consegna e distribuzione tra gli associati di somme di denaro poste in essere dalla donna nella piena conoscenza della provenienza delle stesse dalle attività illecite gestite dal gruppo di appartenenza.

Ha, poi, messo in luce, con puntuali riferimenti alle emergenze processuali sin qui acquisite, il consapevole contributo morale e materiale fornito dalla ricorrente alla vita associativa in vista del pieno radicamento territoriale dell’organizzazione, della sua espansione economica, del sostentamento degli associati del sodalizio e la conoscenza della provenienza illecita delle rilevanti somme di denaro, destinate ad essere spartite tra i membri dell’organizzazione.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di I.G. in ordine ai delitti di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso e di ricettazione a lei contestati.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

2. Manifestamente prive di pregio sono anche le doglianze di vizio della motivazione e travisamento del fatto formulate con riguardo alla ricostruzione del contenuto dei colloqui captati e al mancato accoglimento delle diverse prospettazioni difensive.

Al riguardo il Collegio osserva che la categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata nel provvedimento impugnato, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato. La recente riformulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non confermando l’indeclinabilità della regola preclusiva dell’esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendo (Cass. Sez. 6, 20 marzo 2006, rv. 233621; Cass., Sez. 1, 9 maggio 2006, rv. 233783; Cass., Sez. 2, 23 marzo 2006, rv.

233460; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2006, rv. 233789; Cass., Sez. 4, 28 aprile 2006, rv. 233783; Cass., Sez. 3, 12 aprile 2006, rv. 233823).

In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell’onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c).

Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, peraltro, soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività. 3. Esaminata in quest’ottica la motivazione dell’ordinanza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse dalla ricorrente, che ha denunciato, da un lato, la carenza, l’illogicità e l’intrinseca contraddittorietà della motivazione e, dall’altro, ha ricondotto alla categoria logico-giuridica della prova "omessa" o "travisata" non l’omessa pronunzia su un significativo dato processuale o probatorio nè la palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali, bensì l’erronea valutazione di attendibilità e concludenza dell’elemento probatorio, avvenuta in violazione delle regole ermeneutiche che devono presiedere la struttura logica della motivazione in fatto.

Come già in precedenza detto, peraltro, il provvedimento impugnato, con motivazione esente da manchevolezze, evidenti incongruenze o da interne contraddizioni e con puntuale e corretto richiamo alle risultanze processuali, ha illustrato il contenuto dei colloqui captati, idonei ad integrare un quadro di gravita indiziaria nei confronti della ricorrente, e ha altresì spiegato le ragioni per le quali non possono essere accolte le diverse e alternative letture delle conversazioni offerte dalla difesa, insuscettibili di essere riproposte in sede di legittimità laddove l’ordinanza sia sorretta da un esauriente e logico apparato argomentativo.

5. Manifestamente infondate sono anche le censure concernenti le esigenze cautelari.

Il provvedimento impugnato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha sottolineato che per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso le esigenze cautelari sono presunte ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e che, per la restante, contestazione sussiste pericolo di reiterazione del reato ai sensi dell’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c, tenuto conto della qualità e natura delle condotte illecite, delle loro modalità di consumazione, del contesto di criminalità organizzata in cui esse si collocano, della intensità del dolo ad esse sotteso.

6. In conclusione, risultando manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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