Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-05-2012, n. 8535

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Supermercati Pam S.p.A., con atto depositato il 18.4.2007, proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Livorno n. 66 del 6/22.2.2007 che aveva accolto la domanda di M.L., nei suoi confronti, dichiarando l’illegittimità – con la tutela ripristinatoria e risarcitoria L. n. 300 del 1970, ex art. 18 – del licenziamento disciplinare intimatole il 10.11.2003, per aver indebitamente utilizzato, quale cassiera, una carta Superpremi accreditando sulla stessa punti premio relativi a spese di terzi.

Nell’atto di appello la sentenza veniva criticata per erroneità nella valutazione dei fatti e delle risultanze dell’istruttoria testimoniale sia in ordine alla tolleranza da parte dell’azienda della utilizzazione indebita della carta sia sulla affissione del codice disciplinare sia sulla proporzionalità della sanzione espulsiva sia per non avere tenuto conto dell’aliunde perceptum. La società concludeva quindi chiedendo la totale riforma della sentenza di primo grado con condanna della lavoratrice alla restituzione di quanto pagatole in esecuzione di detta pronunzia.

La M. si costituiva resistendo all’appello e chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 16-26 febbraio 2010, l’adita Corte d’appello di Firenze, ritenuta la fondatezza delle censure avanzate con l’impugnazione, rigettava le domande proposte dalla M. con il ricorso introduttivo, condannando la stessa alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la lavoratrice con tre articolati motivi. La Supermercati PAM S.p.A. non si è costituita.

Motivi della decisione

Con primo motivo la M., denunciando vizio di motivazione, lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di considerare una serie di circostanze e prove documentali e testimoniali tali da fare emergere che l’affissione del codice disciplinare era palesemente controversa mentre assolutamente certa era l’assenza di istruzioni del personale Pam in merito all’uso della card. Lamenta altresì che il clima di tolleranza dell’illecito comportamento dei dipendenti nell’accreditare i punti a soggetti diversi dagli acquirenti era tale da non giustificare la sanzione inflitta, senza considerare poi la modestia degli accrediti, la mancanza di danno per l’azienda e di qualsivoglia vantaggio per se medesima.

Il motivo è infondato.

Invero, la Corte d’appello ha accertato che la cassiera M. da marzo a ottobre 2003 aveva indebitamente utilizzato una Superpremi Card accreditando, costantemente sulla stessa, punti premio relativi a spese di terzi e non del titolare della medesima; inoltre, le operazioni indebitamente compiute ammontavano a circa 700 in detto periodo ed avevano permesso il ritiro di numerosi premi a fronte dei punti accumulati con la card.

Tale comportamento è stato ritenuto obiettivamente scorretto, dal Giudice a quo, considerato pure che la stessa lavoratrice aveva ammesso in sede di difese di "non aver operato proceduralmente in modo corretto".

La Corte, tuttavia, opportunamente è andata oltre il dato obiettivo, procedendo alla valutazione della condotta della dipendente nel contesto delle accertate circostanze per acclarare la correttezza della reazione aziendale espulsiva.

In proposito, con riguardo alle argomentazioni difensive delle parti, la Corte ha osservato che: a) circa l’affissione del codice disciplinare e del regolamento di gestione delle tessere superpremi, nonchè sulle istruzioni date ai dipendenti, vi erano state precise deposizioni testimoniali, che avevano confermato che il codice era affisso mentre il sindacalista indotto dalla parte appellata si era limitato a dichiarare di non ricordare e di non sapere nulla di preciso sul punto; b) la M. conosceva la procedura riguardante la card e non poteva pensare che una violazione imponente come la sua potesse essere paragonabile ai piccoli e saltuari episodi di tolleranza che accadevano, senza trascurare, per contro e a fronte di tale occasionalità già, peraltro, mal tollerata, che le 700 operazioni indebite della M. erano state compiute dalla stessa lavorando part-time soltanto 19 ore alla settimana; c) la condotta della cassiera era connotata da premeditazione e programmaticità (non occasionalità), desumibile non solo dalla costanza del suo comportamento ma anche dalle modalità di esecuzione, tenuto anche conto che alcuni testi avevano riferito come ella – dopo aver chiesto al cliente se aveva la carta e aver saputo che non l’aveva – utilizzasse una fotocopia a colori che aveva sotto la cassa e che faceva roteare velocemente sul lettore ottico; ed ancora, il danno patrimoniale all’azienda non poteva considerarsi esiguo, considerato il complesso dei premi e sconti che conseguivano dalla indebita accumulazione di punti sulla Card utilizzata.

Da queste acclarate circostanza delle quali, solo alcune di portata marginale – come quella, di scarsa comprensibilità, concernente la roteazione sul lettore ottico di una fotocopia a colori sistemata sotto la cassa – la Corte di merito ha tratto il convincimento che il comportamento della M. era certamente tale da minare in modo irreparabile il vincolo fiduciario, facendo venir meno la possibilità di ipotizzare un comportamento improntato a regole di correttezza nel prosieguo del rapporto. Ciò tanto più considerando che le mansioni di cassiera postulano una assoluta affidabilità circa la correttezza di comportamento della dipendente.

Così argomentando il Giudice a quo ha mostrato di adeguarsi all’orientamento di questa Corte che, in casi analoghi, ha ritenuto legittimo il licenziamento, affermando che, in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non trovi applicazione laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro; e, tra queste, doveva annoverarsi, appunto, la condotta di una cassiera di una cooperativa che aveva utilizzato ripetutamente la propria carta-socio in occasione di acquisti effettuati da clienti che ne erano privi, accumulando a proprio favore uno spropositato quantitativo di punti non spettanti e consentendo ai clienti non titolari di carta-socio di conseguire sconti sugli acquisti, e punti da numerose carte di altri soci (cfr. Cass. n. 20270/2009).

La Corte territoriale ha, inoltre, motivatamente ritenuto infondata la tesi della M., riproposta in questa sede, secondo la quale il licenziamento sarebbe illegittimo perchè non riconducibile all’art. 2119 c.c., ed alla violazione dei doveri di cui all’art. 146 del CCNL 3.11.1994, applicabile alla fattispecie, in relazione ai quali l’art. 151 prevede il licenziamento, osservando che, nel contesto sopra riportato, sull’atteggiamento dell’azienda a proposito di uso improprio delle Cards, la M. era ben consapevole della illiceità del sua, onde la gravità dei fatti (sotto il profilo oggettivo e soggettivo) era tale ad integrare abbondantemente le gravi violazioni ai doveri dell’art. 146 richiamate dall’art. 151 CCNL come integranti giusta causa di licenziamento.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 434 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato che la ritenuta tempestività della contestazione degli addebiti sarebbe contraddetta dalla opposta decisione del giudice di primo grado, non oggetto di appello e, perciò, passata in giudicato.

Sennonchè l’assunto non emerge nè dalla sentenza d’appello nè dalla esposizione in fatto del ricorso in esame, sicchè, risultando quest’ultimo privo nei necessari connotati di autosufficienza sul punto, la censura non può trovare accoglimento.

Con il terzo motivo, infine, la ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla tardività della contestazione degli addebiti ( art. 350 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di indicare nella sentenza impugnata "che la condotta incriminata risale a marzo 2003, ovvero ben otto mesi prima della contestazione avvenuta nell’ottobre 2003".

Il motivo è palesemente privo di consistenza tenuto conto che la relativa eccezione è stata esaminata dal Giudice d’appello, che, con incensurabile valutazione di merito, la ha ritenuta infondata, osservando come fosse credibile la tesi dell’azienda secondo cui gli accertamenti sull’operato della dipendente sarebbero partiti a ritroso dagli episodi di indebiti accreditamenti di punti sulla card del 28 e 30 ottobre 2003, in occasione di controlli, riferiti da vari testi, nulla avendo l’appellata dedotto per infirmare la versione dei fatti datoriali, e tenuto conto di come fosse inverosimile che una azienda si lasciasse danneggiare tanto a lungo senza reagire, bastando un numero ben minore di scorrettezze per licenziare la dipendente.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, non avendo la società svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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