Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-05-2012, n. 8534 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 25.5.09 la Trasporti Moiola srl proponeva appello contro la sentenza n. 70/09 del Tribunale di Mantova, con la quale era stata accolta la domanda, proposta da V.M., di accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare a lui intimato per furto di pallets, in quanto non preceduto dalla formale contestazione dell’addebito, e con la quale la società era stata condannata alla reintegrazione dei lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

Lamentava l’appellante l’erronea statuizione in diritto, non avendo il Giudice di primo grado ritenuto rilevante l’accettazione del licenziamento da parte del lavoratore, di cui alla scrittura dallo stesso prodotta, con cui quell’accettazione era stata formalizzata, con conseguente risoluzione contestuale del rapporto. Lamentava inoltre che il Giudice di primo grado non avesse esaminato e accolto l’eccezione di impossibilità sopravvenuta della prestazione, per l’inidoneità della patente di guida del lavoratore, rilasciata dall’autorità serba, a consentirgli la prosecuzione dello svolgimento delle mansioni di autista. Si costituiva l’appellato, contestando il gravame.

Con sentenza del 28 gennaio-13 aprile 2010, l’adita Corte d’appello di Brescia, premesso che l’illegittimità del licenziamento, per essere stata omessa la preventiva contestazione dell’addebito L. n. 300 del 1970, ex art. 7, non era più in contestazione, escludeva che la dichiarazione rilasciata dal V. contenesse una rinuncia ad impugnare il licenziamento, aggiungendo che, in ogni caso -anche a volere accedere alla tesi secondo la quale quella dichiarazione contenesse una mera accettazione del licenziamento, con conseguente risoluzione consensuale del rapporto- la tempestiva impugnazione della stessa ex art. 2113 c.c., la rendeva irrilevante.

Nè costituiva circostanza impeditiva della reintegrazione la perdita di validità della patente di guida serba, trascorso un anno dall’acquisizione della residenza, non essendo stata tale contestazione mai sollevata, prima dell’inizio della controversia, e non essendo verosimile che della stessa non fosse a conoscenza la società. Mancava, inoltre, la prova dell’assunto nè si era in presenza di una impossibilità sopravvenuta della prestazione a carattere definitivo, potendo essere superata con l’apposita procedura sostitutiva di cui agli artt. 135 e 136 C.d.S. (la cui violazione comporta esclusivamente una sanzione pecuniaria a carico del trasgressore).

Pertanto, non sussisteva alcuna ragione ostativa alla reintegrazione, potendo la datrice di lavoro, nel caso il lavoratore non vi avesse già provveduto, invitare il dipendente alla regolarizzazione ed eventualmente sospendere temporaneamente il rapporto di lavoro, in ipotesi di impossibilità in corso di procedura di utilizzarlo quale autista.

Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre la Moiola Trasporti s.r.l. con tre motivi.

Resiste V.M. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la società, denunciando violazione dell’art. 115 c.p.c. ed omessa e/o insufficiente motivazione, lamenta che la sentenza impugnata, ai fini di escludere che la dichiarazione priva di data ed oggetto di contestazione contenesse una rinuncia all’impugnazione e non una mera accettazione del licenziamento, abbia affermato che la suddetta dichiarazione rilasciata dal lavoratore non poteva essere anteriore al 10.09.2008, basandosi sulla busta paga emessa in tale data, e, per ciò stesso, su di una presunzione priva dei requisiti di gravita, precisione e concordanza. Pertanto, essendo errata l’interpretazione del contenuto della dichiarazione, secondo cui non costituiva un’accettazione del licenziamento, l’acquiescenza allo stesso comportava automaticamente la perdita del diritto di far valere le proprie ragioni in giudizio. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., ed omessa e/insufficiente motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe escluso che l’acquiescenza al licenziamento non potesse essere manifestata attraverso la rinuncia alla sua impugnazione e che questa, per essere validamente espressa, avrebbe dovuto essere resa nelle sedi previste dall’art. 2113 c.c., u.c..

Le due censure, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, non sono tali da inficiare l’impugnata decisione.

Invero, la Corte territoriale, dopo avere puntualizzato che l’illegittimità del licenziamento, per essere stata omessa la preventiva contestazione dell’addebito L. n. 300 del 1970, ex art. 7, non era più in contestazione, ha riportato il contenuto della scrittura, rilasciata pacificamente dal lavoratore, avente il seguente tenore: "Io sottoscritto V.M. dichiaro di avere ricevuto da Moiola Trasporti lo stipendio di giugno 2008, la quattordicesima mensilità e il TFR e dichiaro quindi di non avere altre pretese verso la ditta. Rinuncio quindi ad ogni causa contro Moiola, compresa quella del sindacato fissata per il giorno 19/8/2008." Ha fatto, quindi, seguito il ragionamento, che ha condotto alle contestate conclusioni e che può così riassumersi:

a) premesso che il ricorrente ha dichiarato in essa di avere ricevuto da Moiola Trasporti s.r.l. lo stipendio di giugno 2008, la 14^’ mensilità ed il TFR e che detti pagamenti "sono portati sulla busta paga con data 01/09/08, sottoscritta dal lavoratore, si deve ritenere che questa dichiarazione non possa essere antecedente a detta data";

b) considerato che, a far data dal 24/06/2008, il dipendente ha impugnato il licenziamento orale e che il contenuto della dichiarazione gli fu tradotto e chiarito da un connazionale, "alla dichiarazione non potrebbe essere attribuito significato più ampio di quello strettamente letterale, con la conseguenza che la rinuncia alle cause dovrebbe necessariamente essere riferita a quelle esistenti … e dunque, al solo procedimento cautelare per l’immediata reintegrazione"; c) anche attribuendo alla dichiarazione un’interpretazione più ampia, essa non avrebbe comunque validità perchè immediatamente impugnata in data 12/09/2008;

d) la tesi di parte appellante, secondo cui la dichiarazione contiene la volontà di accettare il licenziamento e non di rinunciare all’impugnazione e non è quindi riconducibile all’art. 2113 c.c., è priva di senso logico perchè "l’accettazione del licenziamento e la rinuncia alla sua impugnazione sul piano logico e degli effetti giuridici dell’atto sono perfettamente coincidenti". Osserva il Collegio che l’interpretazione delle dichiarazioni negoziali è riservata all’esclusiva competenza del "giudice del merito", le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente: sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione, esigono una specifica indicazione (ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito) non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (Cass. n. 12054/2003).

Più in particolare le censure debbono essere rigorosamente specifiche con indicazione dei singoli canoni ermeneutici violati e delle ragioni della asserita violazione, mentre le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, potendo il sindacato di legittimità riguardare esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero l’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per Cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che – ripetesi – si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (Cass. n. 8994/2001).

Vizio al quale non si sottrae il motivo di ricorso in esame, che si fonda sulla contrapposizione tra il contenuto della motivazione della sentenza impugnata e le mere argomentazioni addotte dalla ricorrente.

Questa, invero, assume nel ricorso in esame che proprio in considerazione del fatto che la prova dell’effettivo contenuto della dichiarazione e quindi della volontà espressa dal prestatore di lavoro era essenziale per la decisione della causa, aveva riproposto alla Corte di merito le proprie istanze istruttorie finalizzate a dimostrare la consapevolezza da parte del dipendente del contenuto della dichiarazione sottoposta alla sua accettazione nonchè la provenienza della proposta da parte di quest’ultimo; ciò nonostante la Corte d’Appello aveva invece ritenuto di poter interpretare il contenuto della scrittura prescindendo dall’accertamento delle dedotte circostanze.

Sennonchè, tali argomentazioni, ed anche le successive del medesimo tenore, non appaiono passibili di considerazione, non avendo la ricorrente rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Giova, in proposito, rammentare che, qualora in sede di ricorso per cassazione si deduca l’omessa o comunque viziata motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una decisiva risultanza processuale, ovvero di una istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, incombe l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima od il contenuto di tale istanza, poichè, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

In particolare, poi, l’indicazione della risultanza che si assume non valutata, o non logicamente valutata, non può consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni della parte, ma deve contenere in modo obiettivo tutti gli elementi rilevanti della medesima, con la conseguenza che, ove necessario per una adeguata valutazione, detta indicazione deve consistere in una integrale trascrizione della risultanza in questione (Cass. 12 settembre 2000 n. 12025).

Dovendosi ritenere incensurabile l’interpretazione fornita dal Giudice a quo alla "dichiarazione", l’ulteriore considerazione circa la riconducibilità o meno della dichiarazione all’art. 2113 c.c., finisce con l’essere assorbita dalle risultanze della interpretazione medesima.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, nonchè carenza e contraddittorietà di motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) censura la deduzione contenuta nella sentenza impugnata circa la mancanza di prova dell’assunto secondo cui l’azienda era a conoscenza della scadenza di validità della patente di guida del lavoratore, circostanza questa che non sarebbe stata contestata dal lavoratore e che, comunque, renderebbe impossibile la reitegrazione nel posto di lavoro.

La Corte territoriale non avrebbe esplicitato in base a quale norma il lavoratore sarebbe dovuto rimanere in servizio ed, anche se non richiamata in sentenza, non potrebbe ritenersi l’applicabilità della clausola dettata dall’art. 29 ccnl del settore, che non potrebbe essere estesa anche alla mancata conversione della patente.

Anche tale motivo non può trovare accoglimento, dal momento che – come puntualizzato nella impugnata pronuncia- trattasi di motivo rinvenuto per la prima volta in appello e, quindi, tardivamente formulato. Peraltro, in controricorso si assume che il lavoratore ha optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00 Oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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