Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-05-2012, n. 8533 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Padova, gli attuali controricorrenti, indicati in epigrafe, unitamente alla Associazione ANAOO ASSOMED, dedussero: di essere sanitari dipendenti dell’Azienda ULSS n. (OMISSIS) Alta Padovana; di esercitare attività libero professionale presso la stessa in regime di intramoenia; che la ULSS aveva comunicato loro che l’I.R.A.P., rappresentando un onere aggiuntivo sugli emolumenti corrisposti a titolo di attività libero professionale, sarebbe stata recuperata dalla tariffa corrisposta ad ogni medico o equipe;

lamentavano che in questo modo l’amministrazione trasferiva illegittimamente l’onere derivante da questa imposta direttamente in capo ai sanitari, con un conseguente aumento delle tariffe praticate ai pazienti; che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 7 stabiliva che l’attività professionale intramuraria viene equiparata al rapporto di lavoro subordinato sul piano del regime fiscale; che difettava il presupposto di applicazione dell’IRAP, costituito dallo svolgimento abituale di una attività autonomamente organizzata, per cui erano e sono soggetti all’IRAP gli enti pubblici che corrispondono i trattamenti relativi a prestazioni intramurarie e non i singoli sanitari; che eventuali accordi diretti a trasferire l’imposta sui sanitari sarebbero invalidi per contrasto con norma imperativa.

Concludevano chiedendo la declaratoria di illegittimità di ogni trattenuta stipendiale operata dalla resistente a titolo di rimborso dell’IRAP e la condanna della resistente alla restituzione delle somme trattenute per questo titolo, fino alla data della sentenza.

L’ULSS contestava la fondatezza della domanda, evidenziando come tutti i ricorrenti avessero sottoscritto una modulistica da cui emergeva l’applicazione del regolamento aziendale sul recupero dell’IRAP quale costo per l’Azienda; che la determinazione delle tariffe per le prestazioni intramurarie non era unilaterale, ma condizionata al consenso ed all’accettazione del sanitario interessato; che nessuna norma di legge vietava la trasferibilità del costo su soggetti diversi da quelli normativamente tenuti ad assolvere il tributo.

Il Tribunale dichiarò il difetto di legittimazione attiva dell’ANAOO ASSOMED e la illegittimità delle trattenute a titolo di rimborso dell’Irap effettuate dalla ULSS sui compensi spettanti ai sanitari fino alla data della domanda.

La decisione veniva impugnata dall’ULSS n. (OMISSIS). Resistevano i sanitari, proponendo appello incidentale avverso la statuizione che aveva disposto la restituzione delle somme trattenute solo sino all’epoca della domanda e non già sino al deposito della decisione.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 23 marzo 2010, respingeva l’appello principale ed accoglieva quello incidentale; per l’effetto condannava la ULSS alla restituzione delle somme trattenute sino alla pronunzia del dispositivo di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la ULSS n. (OMISSIS) "Alta Padovana", affidato a tre motivi. Resistono i sanitari e l’ANAOO ASSOMED con controricorso. I primo hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1175, 1366, 1371, 1374 e 1375 c.c., e cioè la violazione del principio fondamentale di buona fede che disciplina i rapporti tra datore di lavoro e dipendenti. Deduce la ricorrente che tra le parti era stato stipulato un accordo in base al quale l’imposta IRAP era posta a carico dei sanitari svolgenti attività intramuraria, come parte dei costi che concorrevano a determinare le tariffe professionali. Che tale accordo era perfettamente legittimo in base al principio della trasferibilità dell’imposta affermato dalla Corte Costituzionale (sent. 21 maggio 2001 n. 156). Che la corte territoriale non aveva adeguatamente esaminato la questione e neppure la documentazione (provvedimenti vari della USLL "versati in atti", pag. 8 ricorso). Il motivo è inammissibile poichè, in contrasto col principio dell’autosufficienza, non sono chiariti i contenuti degli accordi stipulati con i medici, nè essi, in violazione dell’art. 369 c.p.c., sono allegati al ricorso. Converrà al riguardo rimarcare, sulla scorta di Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726, che se pure può ritenersi sufficiente a tale ultimo fine l’indicazione della ubicazione degli atti all’interno dei fascicoli di parte (nella specie non esattamente perspicua), il principio di autosufficienza impone di chiarire il contenuto di tali documenti, evidenziando la ragione per cui essi sarebbero stati erroneamente valutati dal giudice di merito. Considerato infine che la corte territoriale ha fornito adeguata interpretazione degli stessi, rilevando che in essi non risultava alcuna convenzione idonea a consentire l’individuazione dell’IRAP quale parametro concorrente a determinare le tariffe professionali, la censura risulta inammissibile, trattandosi peraltro di questione interpretativa che implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. 1 febbraio 2007 n. 2217, Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538), nella specie sopra esposto, mentre la ricorrente non chiarisce per quali ragioni tale accertamento risulterebbe viziato.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli art. 342 c.p.c. e art. 74 disp. att. c.p.c., nonchè la violazione del principio della non rilevabilità di questioni d’ufficio senza consentire alle parti di contraddire sul punto, dolendosi della declaratoria di inammissibilità del ricorso in appello.

Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, posto che la sentenza impugnata, pur rilevando profili di inammissibilità del gravame, ha esplicitamente affermato che "In ogni caso, senza volersi trincerare su aspetti in prevalenza formali, l’appello va disatteso anche nel merito", e dunque respinto nel merito, per le ragioni ivi esposte, sicchè l’ipotizzato profilo di inammissibilità non costituisce in alcun modo la ratio decidendi della pronuncia impugnata.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la corte di merito adeguatamente ed esaustivamente esaminato le censure proposte con l’atto di appello.

La ricorrente deduce che nella modulistica compilata dal medico si rinveniva una terminologia inequivoca nel senso di abilitare la struttura ad indicare specificamente le voci di costo, tra cui anche l’IRAP, indubbiamente un costo gestionale per l’azienda, mentre tale argomento non era stato considerato dai giudici di appello.

Il motivo è inammissibile in quanto la corte veneziana ha esaminato la questione, respingendola con adeguata motivazione, valutando la mancata menzione del recupero IRAP, anche come parte dei costi che concorrono a determinare le tariffe (pag. 9 sentenza impugnata), nel "Regolamento per la Libera Professione" espressamente recepito nei singoli accordi tra USLL e sanitari, e nelle autorizzazioni rilasciate ai singoli sanitari per lo svolgimento dell’attività intra moenia.

La ricorrente invoca un non meglio specificato "documento", contenuto nel fascicolo di controparte, ove si affermerebbe che "veniva comunicato a tutti i medici che avevano optato per l’attività libero professionale intramoenia che l’IRAP, rappresentando un onere aggiuntivo sugli emolumenti corrisposti a titolo di attività libero professionale, dovrà essere recuperata dalla tariffa libero professionale fissata da ogni professionista".

Non essendo chiarita la natura di tale documento, nè la sua data, la deduzione risulta inammissibile, essendo pacifico, e presupposto della stessa odierna controversia, che l’azienda intese, ad un certo punto, recuperare dalle tariffe corrisposte per l’attività intramuraria l’imposta regionale in questione.

4. Il ricorso risulta dunque inammissibile. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nei confronti di entrambi i controricorrenti, pari ad Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2012

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