Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Perugia ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di M.F. e My.El. in ordine al reato: a) di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4, loro ascritto per avere, in concorso tra loro e di altri imputati, la cui posizione è stata definita separatamente, indotto alla prostituzione numerose donne di origine straniera, nonchè favorito e sfruttato la loro attività di meretricio.

Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere anche del reato di cui all’art. 600 c.p., ma sono stati assolti da tale delitto già dalla sentenza di primo grado.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli appellanti avevano chiesto di essere assolti anche dalla imputazione di cui al capo a) della rubrica.

Sul punto la sentenza ha ritenuto sufficientemente provata la responsabilità di entrambi gli imputati sulla base delle risultanze delle intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito di indagini dirette a reprimere lo sfruttamento della prostituzione di cittadine straniere clandestine che, come rilevato, avevano visto coinvolti vari imputati di origine albanese, nonchè, per quanto riguarda la posizione del M., anche sulla base delle dichiarazioni rese dal coimputato Ditta Salvatore.

In accoglimento del subordinato motivo di gravame proposto dal My. la sentenza ha, però, riconosciuto in favore di tale imputato le attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, e, per l’effetto, ha rideterminato la pena inflittagli nella misura precisata in epigrafe.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi i difensori degli imputati, che la denunciano per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento la difesa del M. denuncia la violazione degli artt. 157, 161 e 163 c.p.p. in relazione all’art. 179 c.p.p. per omessa citazione dell’imputato per il giudizio di appello.

Si deduce che il M. aveva eletto domicilio in Palestrina presso tale B.M., ove gli erano stati regolarmente notificati gli atti relativi al primo grado di giudizio. L’imputato, invece, non ha mai ricevuto la citazione per il giudizio di appello. Sul punto si precisa che dalla relazione dell’ufficiale giudiziario in data 27.11.2009 l’atto non risulta notificato perchè il destinatario non è stato trovato. Successivamente la notificazione è stata eseguita presso il difensore di fiducia ai sensi dell’art. 161 c.p.p..

Si deduce, quindi, che la disposizione citata è stata applicata erroneamente in quanto, prima di procedere con detta modalità di notificazione, si sarebbero dovute eseguire ulteriori ricerche dell’imputato, ai sensi dell’art. 159 c.p.p., ed eventualmente provvedere all’emissione del decreto di irreperibilità, attesa la impossibilità di procedere ai sensi dell’art. 157 c.p.p.. Si deduce anche che l’imputato aveva l’obbligo di dimora nel Comune di Palestrina e il divieto di uscire dal suo domicilio dalle 20,30 alle 06,00.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione dell’art. 125 c.p.p., artt. 62 bis e 133 c.p., artt. 2 e 27 Cost. con riferimento al trattamento sanzionatorio. In sintesi, si deduce che la pena inflitta all’imputato, particolarmente elevata, senza la concessione delle attenuanti generiche, confligge con il principio che attribuisce alla sanzione penale una finalità rieducativa, oltre a non essere supportata da un apparato motivazionale adeguato.

Con l’ultimo mezzo di annullamento la difesa del ricorrente denuncia l’errata applicazione dell’art. 192 c.p.p. e della norma incriminatrice.

Si deduce che dalle risultanze probatorie è emerso che il M. ha avuto contatti con una sola donna, sicchè doveva essere esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4.

Con il primo mezzo di annullamento la difesa del My. denuncia l’errata applicazione dell’art. 192 c.p.p., della norma incriminatrice, nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione alla affermazione di colpevolezza dell’imputato.

Si deduce che i giudici di appello hanno omesso di effettuare una rivalutazione delle risultanze probatorie e si sono limitati a confermare pedissequamente le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado.

Si sostiene che la dichiarazione di colpevolezza del My. è fondata esclusivamente su affermazioni apodittiche e congetturali ovvero sulle risultanze di intercettazioni telefoniche, delle quali, in sintesi, si contesta il valore probatorio ed il significato ai fini dell’affermazione di colpevolezza.

Con il secondo mezzo di annullamento anche la difesa del My. denuncia la violazione dell’art. 125 c.p.p., artt. 62 bis, 132 e 133 c.p., artt. 2 e 27 Cost. con riferimento al trattamento sanzionatorio.

Si osserva anche dal predetto ricorrente che la misura elevata della pena inflitta confligge con la finalità rieducativa della sanzione penale e si censura il giudizio di equivalenza e non di prevalenza delle attenuanti genetiche, nonchè l’aumento di pena per la continuazione.

Entrambi i ricorsi sono infondati.

Va rilevato, con riferimento al primo motivo di gravame dell’imputato M., che la relata in data 27.11.2009, afferente alla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, contiene l’attestazione dell’Ufficiale giudiziario di non aver potuto eseguire detta notificazione presso il domicilio eletto in quanto l’imputato risultava sloggiato da alcuni mesi.

Orbene, il procedimento previsto dall’art. 159 c.p.p. per il caso di irreperibilità dell’imputato, stante il richiamo all’art. 157 c.p.p., si riferisce alla prima notificazione all’imputato non detenuto.

Tale disposizione non trova, invece, applicazione per le successive notificazioni allorchè l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio, stante l’obbligo imposto a quest’ultimo, ex art. 161 c.p.p., di comunicare qualsiasi variazione del domicilio dichiarato o eletto.

Nel caso di impossibilità di eseguire la notificazione presso il domicilio dichiarato o eletto da qualsiasi causa determinata (inidoneità, insufficienza della dichiarazione, mutamento del domicilio), pertanto, si deve procedere direttamente alla notificazione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, senza che sia consentito effettuare ulteriori ricerche dell’imputato, (cfr. sez. 5, 18.9.2009 n. 42399, Dona, RV 245819; sez. 5, 26.4.2005 n. 23670, Carbone e ateo, RV 231908).

Nè può essere contestata, nel caso in esame peraltro del tutto genericamente, l’attestazione dell’Ufficiale Giudiziario circa il mancato reperimento nel domicilio dichiarato o eletto della persona del destinatario della notificazione.

Sicchè correttamente la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata eseguita nei confronti del M. ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4.

L’ultimo motivo di gravame del predetto ricorrente, afferente alla affermazione di colpevolezza e relativo alla ritenuta aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7), è inammissibile per non essere stata dedotta tale censura nei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado.

Peraltro, l’accertamento della sussistenza della aggravante del numero delle donne sfruttate per entrambi gli imputati ha formato oggetto di adeguata motivazione mediante il riferimento alle risultanze delle intercettazioni telefoniche.

Il motivo di gravame del My. afferente alla affermazione di colpevolezza è infondato.

L’affermazione di colpevolezza del predetto imputato, infatti, pur se fondata esclusivamente sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche, è supportata da adeguata motivazione che da conto, mediante l’analisi del contenuto delle conversazioni telefoniche, del coinvolgimento del My. nell’attività di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.

Quanto alle censure di entrambi i ricorrenti in ordine al trattamento sanzionatorio, che si discosta dal minimo edittale, vi è adeguata motivazione mediante il riferimento alla gravità e reiterazione delle condotte criminose contestate agli imputati.

L’argomentazione relativa alla finalità rieducativa della pena, infine, è del tutto generica, considerato che la pena assolve anche ad una funzione di tutela sociale e che quest’ultima deve ritenersi prevalente di fronte alla commissione di fatti di particolare gravità.

I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *