Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42675

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Marsala, con sentenza del 4/12/07, dichiarava S.G. colpevole del reato continuato di violenza sessuale, art. 81 cpv. e art. 609 quater, u.c., perchè approfittando delle occasioni in cui la minore, Sc.Ma.Gr., di età inferiore ad anni dieci, figlia della sua convivente, M. R., veniva affidata alla sua cura, induceva la stessa a compiere atti sessuali con lui, e lo condannava, concesse le attenuanti generiche. ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie. La Corte di Appello di Palermo, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 26/10/2010, ha confermato il decisimi di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il S., a mezzo del proprio difensore, con i seguenti motivi:

– omesso riscontro ai motivi libellati con l’atto di appello, essendosi limitato il giudice di seconde cure a riportarsi alle considerazioni svolte dal Tribunale, in difetto di doverosa analisi delle critiche dirette contro l’esame estimativo delle emergenze istruttorie svolto dal primo decidente:

– l’ipotesi accusatola non può in assoluto dirsi provata, vista la netta inattendibilità della persona offesa e la natura di fonti indirette e del contenuto delle altre fonti di prova a carico, che risultano costituite da dichiarazione di soggetti che hanno riferito in dibattimento quanto ad essi riferito dalla stessa persona offesa:

– difetta, peraltro, del tutto ogni logica esaustiva argomentazione in merito alla attitudine a testimoniare e alla assoluta credibilità della L.S.M.G., persona offesa:

– in sentenza non si ravvisa adeguato discorso giustificativo a sostegno della ritenuta capacità della minore di recepire i comportamenti posti in essere in pregiudizio della sua persona, potendo poi riferire in modo veritiero detti comportamenti;

– la Corte territoriale non ha tenuto in adeguato conto le diversità delle propalazioni rese dalla minore in ordine all’accadimento dei fatti:

– la Corte di merito ha errato nel ritenere significativo l’accertamento peritale ginecologico, condotto sulla minore dalla dott.ssa G., in quanto tale giudizio non può in assoluto ritenersi esaustivo, per la mancanza di individuazione temporale della lesione traumatica dell’imene e per la non individuata causa di essa:

-la richiesta di attenuazione della pena è riscontrata, in negativo, con argomentazione non esaustiva e incongrua.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il discorso giustificativo, sviluppato dal giudice di merito a sostegno della sussistenza del reato di cui in rubrica e della affermata colpevolezza del prevenuto, si rivela logico, corretto ed esaustivo.

Contrariamente a quanto sostenuto in impugnazione, la Corte territoriale ha fornito ampio e mirato riscontro ai motivi di gravame, libellati avverso la pronuncia del Tribunale.

Le doglianze sottoposte a questa Corte, ripetono quelle già sollevate in sede di appello, peraltro. manifestando il tentativo evidente di una rivisitazione della piattaforma probatoria, sulla quale al giudice di legittimità è precluso procedere a rinnovato esame estimativo.

Ad avviso del giudice di seconde cure, a giusta ragione, le dichiarazioni accusatorie della parte lesa. aventi natura testimoniale, non necessitano, per accertarne la credibilità, di riscontri atti a confermarne la attendibilità, ex art. 192 c.p.p., comma 3; dette dichiarazioni possono, dunque, essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova, senza necessità di riscontri esterni (Cass. 22/1/97, n. 2540: Cass. 4/11/04, Palmisani: Cass. 27/4/06, Valdo Iosi).

Lo stesso decidente specifica che le circostanziate, concordi e reiterate dichiarazioni accusatorie di L.S.M.G., confermate, peraltro ad una età 16/18 anni in cui è risultata piena la capacità di esposizione dei fatti, sono state riscontrate, anche, da ulteriori, significative risultanze processuali di natura testimoniale (dichiarazioni e relazione delle assistenti sociali L. C. e D.L., dichiarazioni della psicologa T.), ed offrono, pertanto, prova certa ed inequivoca della sussistenza dei fatti delittuosi commessi dal prevenuto.

Osservasi che nella specifica materia dei reati di violenza sessuale l’ordinamento processuale non prevede deroghe o limitazioni al tradizionale principio del libero convincimento nella valutazione della prova testimoniale.

Tale valutazione sarà condotta secondo i criteri comuni, che tanno riferimenti) sia alla attendibilità soggettiva del teste, desunta dalla sue caratteristiche personali, morali e intellettive, e dalla assenza di motivi di rancore o di astio verso l’imputato, sia alla attendibilità oggettiva del racconto, ricavatole dalla sua genesi spontanea, dalla coerenza interna e dalla sua concordanza con altri elementi fattuali, acquisiti al processo.

Nel caso di specie il giudice ha correttamente applicato i principi affermali dalla giurisprudenza di legittimità.

Quanto alla contestata erronea valutazione delle risultanze dell’accertamento ginecologico, eseguito sulla p.o., va evidenziato, come affermato dalla Corte distrettuale, che le stesse collimano con quanto asserito dalla L.S., la quale ha precisato in dibattimenti) di non essere stata completamente penetrata dal S., ma di essere stata, di certo, toccata dallo stesso in maniera ripetuta ed invadente anche all’interno della vagina.

Totalmente priva di pregio si palesa l’ulteriore censura, relativa al mancato riscontro giustificativo alla invocata attenuazione della pena, visto che la Corte territoriale, nel rigettare l’istanza, evidenzia come il trattamento sanzionatorie, inflitto dal primo decidente, risulti conforme ai parametrici cui all’art. 133 c.p. ed alla oggettiva gravità degli addebiti.

Sul punto questa Corte ha avuto modo di affermare che il giudice di merito, per adempiere all’obbligo della motivazione nel determinare la misura del trattamento sanzionatorio, esercita una tipica facoltà discrezionale e perciò non è tenuto ad una analitica enunciazione di lutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione dell’elemento o degli elementi resisi determinati per la soluzione adottata.

Ne consegue che anche l’uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a fare ritenere che il decidente abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena (ex multis Cass. 11/4/95, n. 6034).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il S. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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