Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-05-2012, n. 8529 Correzione della sentenza Sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Bologna, riformando la sentenza impugnata, ha rigettato la domanda di S.P. diretta ad ottenere il pagamento da parte del fondo di garanzia, istituito presso l’Inps, del trattamento di fine rapporto dovutogli in relazione al rapporto di lavoro intercorso con la società RTS Real Time Service srl, dopo che il fallimento di detta società era stato chiuso per mancanza di attivo – mentre era pendente il termine per la proposizione del ricorso in opposizione contro il decreto con cui era stato reso esecutivo lo stato passivo ed escluso il credito del S. – e dopo che il procedimento di opposizione instaurato dal S. era stato dichiarato improseguibile proprio a causa della chiusura del fallimento.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione S.P. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Inps.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata derivante dalla nullità del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 o, in subordine, violazione dell’art. 24 Cost., art. 437 e 101 c.p.c., per essere stata la sentenza deliberata e redatta prima dell’udienza di discussione, come risulterebbe dalla data indicata in calce alla sentenza medesima.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, chiedendo a questa Corte di stabilire se abbia diritto di accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto il lavoratore che abbia avviato un procedimento di opposizione avverso l’esclusione del proprio credito dal passivo, pendente il quale il fallimento sia stato chiuso per assoluta carenza di attivo, e che abbia, in conseguenza di ciò, avviato con esito negativo anche un procedimento di reclamo, ex art. 178 c.p.c., comma 2, avverso il provvedimento di estinzione del procedimento, considerato anche il prevedibile esito infruttuoso che avrebbe, in questo caso, l’esperimento di una azione esecutiva e, quindi, la sua totale inutilità. 3.- Con il terzo motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in riferimento alla L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 2 e 5, e alla direttiva CEE n. 80/987, sostenendo la necessità di una interpretazione della normativa nazionale e comunitaria che metta sullo stesso piano gli effetti dell’apertura della procedura fallimentare – o della mancata apertura della stessa per insufficienza dell’attivo – e quelli della sua chiusura anticipata sempre per insufficienza dell’attivo.

4.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare – cfr. ex multis Cass. n. 9968/2005, Cass. n. 4208/2007 – che nel rito del lavoro la sentenza viene ad esistenza con la pubblicazione mediante il deposito in cancelleria, anche se deve rispecchiare il dispositivo letto in udienza. Da ciò consegue che la data della sentenza nelle controversie di lavoro si identifica, in realtà, con la data della deliberazione (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 5), che è quella risultante dal dispositivo, sicchè la non corrispondenza tra quest’ultima data e quella figurante nella sentenza (dovuta ad errore materiale) non determina l’invalidità della sentenza medesima.

L’indicazione della data di deliberazione della sentenza non è, dunque – a differenza dell’indicazione della data di pubblicazione, che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica – elemento essenziale dell’atto processuale e la sua mancanza non integra, pertanto, gli estremi di alcuna ipotesi di nullità deducibile con l’impugnazione (Cass. n. 13505/99). Ciò anche in relazione al principio di tassatività delle nullità, secondo il quale l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge (cfr. Cass. sez. unite n. 519/99). Nè questa Corte ha mancato di precisare che "la diversità fra la data di deliberazione della sentenza indicata in calce alla medesima e la data dell’udienza collegiale fissata per la deliberazione stessa non è di per sè sola sufficiente a far ritenere, nel caso che quest’ultima sia successiva, che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, a far ritenere cioè superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio: la diversità si configura invero, in linea di principio, come frutto di mero errore materiale, inidoneo a incidere sulla validità della sentenza, anche in mancanza di attivazione del procedimento di correzione (cfr. Cass. 29 aprile 1991, n. 4741; Cons. di Stato 1 febbraio 1995, n. 44), salvo che non ricorrano altri, specifici elementi dimostrativi della rispondenza al vero della indicazione e dunque di distorsioni verificatesi nell’iter processuale" (Cass. n. 16920/2009).

Vale rimarcare, peraltro, che, nella specie, la sussistenza di un mero errore materiale nella indicazione del 9 luglio 2009 come data di deliberazione della sentenza trova conferma nel rilievo che la pronuncia impugnata risulta depositata in minuta il 21 luglio 2009 e pubblicata mediante deposito in cancelleria in data 11 marzo 2010, oltre che nell’ulteriore rilievo che nel frontespizio della sentenza risulta correttamente evidenziato che la causa venne posta in decisione all’udienza del 14 luglio 2009. Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

5.- Il secondo motivo deve ritenersi fondato. Questa Corte ha recentemente ritenuto (cfr. sentenze n. 7585 del 2011, n. 15662 del 2010, n. 1178 del 2009, n. 7466 del 2007) che una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987 del 1980 consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione "non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942" va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo.

A tale interpretazione il Collegio intende dare continuità, anche con riferimento all’ipotesi, che viene qui in rilievo, in cui la procedura fallimentare sia stata chiusa per assoluta insufficienza dell’attivo ed in cui il credito non sia stato accertato in sede fallimentare per essere stata dichiarata improseguibile l’opposizione proposta dal creditore, L. Fall., ex art. 98, avverso il provvedimento con cui è stata respinta la sua domanda di ammissione al passivo. Si rileva, da un lato, che tale interpretazione, non solo valorizza una situazione analoga ad una di quelle specificamente previste dalla Direttiva CE, ma trova anche piena giustificazione nella facoltà data dalla direttiva comunitaria ai legislatori nazionali di assicurare la tutela dei lavoratori anche in casi di insolvenza accertati con modalità e in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali. Si osserva, dall’altro lato, che la medesima interpretazione esclude quella situazione di non copertura assicurativa che altrimenti si verificherebbe quando il datore di lavoro è stato assoggettato a fallimento, ma non sia stato possibile accertare il credito in sede fallimentare per la chiusura anticipata del fallimento. L’esigenza di tutela effettiva, infine, è coerente con la finalità del legislatore del 1982, che, mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r. – in cui il sistema degli accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro – con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992).

Nell’ipotesi esaminata, il lavoratore potrà, dunque, giovarsi del meccanismo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, dimostrando di avere esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione e, nel caso in cui si prospetti la possibilità di ulteriori forme di esecuzione, di avere esperito tutte quelle che, secondo l’ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose – non essendo egli tenuto ad esperire azioni esecutive che appaiano infruttuose o aleatorie, in un raffronto tra i loro costi certi e i benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità (cfr. Cass. n. 11379/2008, Cass. n. 14447/2004) – ovvero dimostrando che la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore debbono ritenersi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto (cfr. Cass. n. 9108/2007).

6.- Il principio da affermare, quindi, è che, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, nel caso in cui l’accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell’attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps alle condizioni previste dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, essendo sufficiente, in particolare, che egli abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione – salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva – sempre che l’esperimento dell’esecuzione forzata non ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza ovvero che la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore non debbano ritenersi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto.

7.- La sentenza impugnata, che ha ritenuto in ogni caso necessario che il credito venga accertato nell’ambito della procedura fallimentare, ritenendo con ciò assorbita ogni altra questione di merito, è erronea in diritto e deve essere cassata.

In relazione all’accoglimento del secondo motivo di ricorso deve ritenersi assorbito il terzo. La causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che nel decidere si atterrà al principio di diritto indicato e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *