Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42674

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino, con sentenza del 16/12/05, dichiarava R. M. colpevole dei reati di cui all’art. 61 c.p., comma 5, artt. 81 cpv e 110 c.p., art. 609 bis c.p., comma 1 e art. 609 octies c.p., e lo condannava alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede, e al pagamento alla stessa di una provvisionale provvisoriamente esecutiva di Euro 20.000.00 e delle spese di giudizio.

La Corte di Appello di Torino, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 19/7/20, in parziale riforma del decisimi di prime cure, riconosciute all’imputato le attenuanti generiche in giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, ha rideterminato la pena in anni 4 e mesi 9 di reclusione, sostituendo la pena accessoria della interdizione perpetua dai pp.uu. con quella temporanea per anni 5, con conferma nel resto.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato con i seguenti motivi:

– inosservanza dell’art. 192 c.p.p., rilevato che il giudice di merito è pervenuto ad affermare la colpevolezza del R. in ordine ai reati a costui contestati in dipendenza di una errata applicazione dei criteri di valutazione probatoria, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di testimonianza della persona offesa dal reato: infatti il decidente ha omesso di valutare con rigore l’aspetto della attendibilità intrinseca della fonte dichiarativa in rapporto agli ordinari canoni di precisione, coerenza e uniformità delle propalazioni accusatorie, ed ha mancato di dare adeguato riscontro alle allegazioni difensive devolute con l’atto di appello:

– la Corte territoriale non ha, del pari, fornito alcun riscontro alla contestata sussistenza degli elementi atti a cristallizzare il reato di cui all’art. 609 octies c.p., che sicuramente non sono ravvisabili nel primo degli episodi contestati al prevenuto.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il discorso giustificativo, adottato dal giudice di merito a sostegno della affermata colpevolezza del prevenuto, è del tutto logico e corretto.

La censura mossa col primo motivo è manifestamente infondata.

Il Tribunale, prima, e la Corte di Appello, poi, hanno uniformemente valutato la piattaforma probatoria, ritenendo attendibile la parte offesa e credibile il narrato di essa in ordine alle violenze subite.

Il decidente ha fornito adeguato riscontro ai motivi libellati in gravame, svolgendo una corretta analisi sui tre episodi di violenza, a cui ebbe a dovere sottostare la M., dando puntuale giustificazione delle ragioni che lo hanno determinato a ritenere fondata la tesi accusatoria.

A giusta ragione la Corte distrettuale ritiene che il contesto dei fatti risulta ampiamente chiarito nel procedimento a carico di D. N., n. 4501/05, definito con sentenza della stessa Corte di Appello di Torino, resa in data 10/3/06, definitiva il 28/2/07, nel corso del quale la M.P. veniva qualificata pienamente attendibile e le dichiarazioni da costei rese erano ritenute in loto credibili.

Sul punto rilevasi che la giurisprudenza di legittimità ha sempre precisato che la testimonianza della persona offesa, se rigorosamente valutata secondo il principio del libero convincimento adeguatamente motivato, è prova piena e non semplice indizio, e non ha bisogno di riscontri esterni, come quelli che l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 richiede per conferire attendibilità alle dichiarazioni rese dal coimputato o da imputato in processo connesso o collegato (ex multis Cass. 4/11/04, Palmisani).

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la pronuncia impugnata emerge che il giudice, nell’apprezzare le emergenze istruttorie, ha preso in considerazione ogni singolo l’atto ed il loro insieme, non in modo parcellizzato ed avulso dal generale contesto probatorio, ed ha criticato se essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante tale da consentirgli di attingere la verità processuale, così che è pervenuto nella convinzione della colpevolezza del R. in ordine al reato ascrittogli. Osservasi, altresì, che il primo motivo di ricorso tende ad una analisi rivalutativa delle prove, sulle quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuova indagine estimativa, non essendo questa Corte giudice della prova ma della corretta applicazione della legge e del discorso giustificativo. sviluppato dal decidente, che. se si rivela logico, plausibile ed esaustivo, come nella specie, va ritenuto corretto e non riformabile.

Del pari manifestamente infondata si palesa la censura mossa con il secondo motivo di ricorso, con cui si eccepisce la insussistenza degli elementi concretizzanti il reato di violenza sessuale di gruppo, in quanto ai fini della configurabilità del delitto in questione è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto; non è, tuttavia, richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato; peraltro l’espressione "più persone" contenuta nell’art. 609 octies c.p. comprende anche l’ipotesi che gli autori del l’atto siano soltanto due (Cass. 13/11/03, n. 3348).

Rilevasi, di poi, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’imputato, in tema di reati sessuali, a seguito dell’avvenuta introduzione del reato di violenza sessuale di gruppo, il concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale è divenuto solo configurabile nelle forme della istigazione, del consiglio o della agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente alla esecuzione del reato stesso (Cass. 12/10/07, n. 42111): nel caso in esame, in tutti e tre gli episodi, il giudice di merito ha ritenuto provato che il R. e il D.N. abusarono della M..

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende. equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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