Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42673

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di P.M. in ordine al reato di cui agli art. 81 cpv. e 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., u.c., a lui ascritto per avene costretto, in tempi diversi, il nipote M.N., minore degli anni dieci, a subire atti sessuali, consistiti nel farsi masturbare.

Secondo la ricostruzione dei fatti riportata in sentenza gli abusi sessuali di cui alla contestazione si sono verificati nella abitazione dei genitori della persona offesa con i quali l’imputato conviveva.

Secondo il racconto della madre del bambino il giorno (OMISSIS), all’ora di pranzo, chiamò il figlio per farlo sedere a tavola. Il marito si diresse verso il bagno alla ricerca del bambino e lo vide uscire da quella stanza seguito dall’imputato che subito dopo si allontanò dall’abitazione.

Il padre e la madre si accorsero che la manina del bambino era bagnata da un liquido, che, dall’odore, riconobbero essere sperma e constatarono sulla mano anche la presenza di peli. Il bambino, quindi, riferendosi allo zio, che chiamava "(OMISSIS)", mimo con un gesto della mano il movimento della masturbazione.

In seguito I’ genitori avevano rintracciato il P., il quale dopo un’iniziale contestazione, aveva ammesso l’episodio, precisando che era stato il piccolo a toccare il suo organo genitale.

La madre riferiva inoltre di avere sorpreso in una precedente occasione l’imputato nella sua camera con il figlio e di avere notato che i due si toccavano reciprocamente i genitali. Aggiungeva che lo zio era solito far sedere il bambino su di sè proprio sopra i suoi organi genitali. Il padre del bambino aveva reso dichiarazioni sostanzialmente analoghe, così come altri due testi a proposito delle ammissioni rese dal P..

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva chiesto di essere assolto dal reato ascrittogli per carenza di prove e, in subordine, chiesto l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

La sentenza ha, però, escluso l’aggravante della qualità di ascendente della persona offesa e, per effetto della ritenuta prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sull’ulteriore aggravante dell’età del bambino, ha rideterminato la pena inflitta nella misura precisata in epigrafe.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori dell’imputato, che la denunciano per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con vari mezzi di annullamento il ricorrente denuncia:

1) Violazione ed errata applicazione dell’art. 194 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Si osserva che la prova sulla quale risulta fondato l’accertamento della colpevolezza dell’imputato è essenzialmente costituita dalle dichiarazioni dei genitori della persona offesa ed, in particolare, dal riconoscimento della natura della sostanza rilevata sulle mani del bambino quale sperma. Si deduce, quindi, che in tema di valutazione della prova testimoniale non sono utilizzabili gli apprezzamenti personali del teste e tanto meno le sue sensazioni a meno che non si tratti di soggetto particolarmente qualificato che riferisca su ciò che direttamente cade sulla sua percezione sensoriale ed è inerente alla sua abituale e particolare attività.

Si osserva inoltre che la stessa sentenza riconosce che non fu effettuato alcun accertamento per verificare la natura del liquido osservato sulle mani del bambino.

2) Violazione ed errata applicazione dell’art. 194 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Le precedenti censure in ordine alla inammissibilità di prove basate sull’apprezzamento personale del teste vengono reiterate a proposito della dichiarazione dei genitori della parte lesa circa la presenza di peli sulla mano del bambino e dell’odore di sperma del liquido.

3) Violazione ed errata applicazione dell’art. 195 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Si osserva che il bambino non è stato mai sentito nè mediante incidente probatorio, nè nell’ambito del processo e che il gesto che questi avrebbe fatto di mimare una masturbazione è stato solo riferito dai genitori, sicchè il riscontro a quanto riferito da costoro viene trovato nelle loro stesse dichiarazioni. Si deduce, poi, che in ogni caso quanto riferito dai genitori si configura quale testimonianza indiretta priva di riscontro e quindi inutilizzabile ai sensi dell’art. 195 c.p.p..

4) Violazione ed errata applicazione dell’art. 609 bis c.p., u.c., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Si osserva che l’attenuante concernente la minore lesività del fatto deve essere rapportata al bene giuridico tutelato dalla norma e, quindi, al grado di coartazione della vittima, al danno arrecato etc., mentre la sentenza ha giustificato il diniego della diminuente in considerazione del rapporto di parentela con il piccolo N. e per avere tradito il rapporto di fiducia, cosi valorizzando solo uno degli aspetti, per di più marginali, del fatto.

Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte in ordine ai motivi di gravame con i quali il ricorrente censura l’affermazione di colpevolezza che quanto riferito, in sede di deposizione testimoniale, dai genitori della persona offesa a proposito del gesto posto in essere dal bambino non costituisce testimonianza su fatti che richiedono conoscenze scientifiche o tecniche per essere interpretati.

I giudici di merito inoltre hanno valorizzato nella valutazione del fatto la circostanza che i genitori videro il figlio uscire dal bagno seguito dall’imputato e che questi si allontanò immediatamente dall’abitazione, nonchè la presenza di peli sulle mani del bambino.

Si tratta di circostanze di fatto sulle quali i testimoni hanno deposto e che esulano del tutto dall’ambito degli apprezzamenti personali.

Quanto alla inutilizzabilità della prova indiretta sancita dall’art. 195 c.p.p. le dichiarazioni dei genitori della persona offesa non rientrano in tale ambito, avendo riferito su fatti caduti sotto la loro diretta percezione.

Peraltro, la sanzione di inutilizzabilità consegue esclusivamente al mancato esame del teste diretto allorchè la parte ne abbia fatto richiesta, mentre il ricorrente non ha affatto dedotto di averne fatto richiesta.

Va aggiunto che la madre ha riferito di avere visto in una precedente occasione l’imputato toccare i genitali del bambino e farsi toccare da quest’ultimo, fatto che integra di per sè gli estremi di uno degli episodi di abusi sessuali per i quali l’imputato è stato condannato.

Sicchè l’accertamento di fatto corrisponde ad una valutazione complessiva delle risultanze probatorie che si palesa giuridicamente corretta e fondata su una motivazione immune da vizi logici.

Anche la censura relativa al diniego dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p.p., u.c., è infondata.

E’ stato già escluso da questa Corte che possa configurarsi detta attenuante allorchè il fatto sia commesso ai danni di un minore di anni dieci nell’ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l’autore del reato e la vittima, (cfr. sez. 3, 12.10.2007 n. 42110, Giolito, RV 238073).

Inoltre, ai fini del riconoscimento dell’attenuante deve tenersi conto, oltre che del grado di compressione della sfera sessuale della persona offesa, anche delle conseguenze subite dalla medesima in termini psichici (cfr. sez. 3, 7.11.2006 n. 5002 del 2007, Mangiapane e altro, RV 235648).

Orbene, la sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella della sentenza impugnata, ha evidenziato che il bambino ha presentato disturbi comportamentali successivamente ai fatti commessi in suo danno ed entrambe le sentenze hanno valorizzato la strumentalizzazione del nipotino di due anni da parte del P., sfruttando la fragilità della persona offesa, sicchè correttamente è stata esclusa dai giudici di merito la sussistenza della chiesta attenuante.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili, liquidate in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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