Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42671 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 6.7.2010 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo del 25,5,2005, con la quale G.A. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui all’art. 81 c.p., art. 609 quater c.p., comma 1, nn. 1 e 2 e u.c. "per aver compiuto in più occasioni e, pertanto, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso su R.R. e R.G. di anni 9 (a lui affidate in custodia in assenza dei genitori) atti sessuali consistiti nel toccare loro le parti intime (il petto, la vagina e tutto il corpo) e nel baciarle in bocca, nel farsi accarezzare il pene, tirandosele addosso e strofinandosi su di loro", riduceva la pena inflitta in primo grado ad anni sei di reclusione, confermando nel resto.

Ricordava la Corte che il procedimento aveva tratto origine dalla denuncia presentata dal dirigente scolastico della scuola frequentata dalle minori, a cui era stata presentata una relazione dell’insegnante P.A., la quale, preoccupata del fatto che le allieve di una terza classe facevano, frequentemente, riferimento all’ambito sessuale, aveva iniziato un percorso sulle emozioni, da cui era scaturito il racconto delle sorelle R. in relazione alle attenzioni sessuali poste in essere nei loro confronti da G.A., al quale erano state affidate dai genitori per accompagnarle a scuola, prelevarle e far fare loro i compiti nel pomeriggio. Tanto premesso in fatto, la Corte territoriale riteneva destituito di fondamento l’appello in relazione all’affermazione di responsabilità. Rilevava la Corte che non vi era stata alcuna condotta di suggestione e tanto meno di induzione da parte dell’insegnante, essendosi il racconto delle molestie sviluppato spontaneamente senza alcuna forzatura. Le dichiarazioni accusatorie delle minori erano state, poi, ripetute in dibattimento in modo sostanzialmente identico alle prime rivelazioni. Riteneva infine la Corte, pur non essendo configurabile l’ipotesi della minore gravità, di ridurre la pena inflitta in primo grado.

2) Ricorre per cassazione G.A., a mezzo del difensore.

Dopo il riepilogo della vicenda processuale, denuncia, con il primo motivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento del fatto in relazione all’attendibilità delle presunte parti offese.

E’ assolutamente pacifico il ruolo determinante della prima interrogazione del minore che si assume vittima di abusi sessuali. La Carta di Noto detta, perciò, regole finalizzate a garantire la genuinità della deposizione e ad evitare suggestioni fin dalla fase pre-processuale (con impiego di esperti del settore ed anticipazione del contraddittorio processuale attraverso l’incidente probatorio).

Nei motivi di appello era stato evidenziato il contesto fortemente suggestivo in cui, per la prima volta, R. aveva raccontato gli abusi subiti. In tale contesto la minore consegnava alla maestra un disegno raffigurante il viso di un uomo e solo a seguito di insistenze della P. faceva il nome dell’imputato, rivelando gli abusi subiti. Il racconto risultava quindi palesemente non spontaneo. La Corte territoriale ha cercato di superare tale deduzione, sostenendo, in contrasto con le risultanze processuali, che non vi era stata induzione perchè la maestra P. non aveva il minimo sospetto di abusi sessuali. Stante i comportamenti anomali, soprattutto di R., con riferimento al sesso, percepiti sia in ambito scolastico che segnalati dall’esterno, non può escludersi che la P. avesse il sospetto di abusi sessuali perpetrati in danno della bambina (sospetto che diventa quasi certezza nel visionare il disegno). La motivazione della sentenza è sul punto manifestamente illogica anche perchè sovrappone indebitamente il piano della buona fede dell’insegnante a quello dell’errore metodologico (condizionato da sospetti anche solo inconsci).

Accertato che il racconto iniziale di R. non sia àa ritenere attendibile perchè possibile frutto di suggestione, cade tutta l’impalcatura della motivazione in relazione alle dichiarazioni rese in dibattimento (tra l’altro l’esame risulta condotto, per evitare domande suggestive, senza l’ausilio di un esperto). La Corte, invece di motivare sulla assenza o irrilevanza di domande suggestive, si è limitata ad affermare che il divieto non vale per il giudice.

Con il secondo motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento del fatto in relazione all’attendibilità delle dichiarazioni in dibattimento delle presunte parti offese per le numerose contraddizioni, sia tra le due deposizioni che con quanto dichiarato in precedenza, in ordine ai tempo, al luogo ed alla frequenza degli abusi (spiegate in modo banale ed apodittico dalla Corte, senza alcuna confutazione dei rilievi contenuti nell’atto di appello in relazione ai numerosi elementi di palese inverosimiglianza). Con il terzo motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento del fatto in relazione alla sussistenza di un’ipotesi alternativa, facendosi carico, tra l’altro, alla difesa di provare oltre il ragionevole dubbio che i fatti si siano verificati diversamente da quanto ipotizzato nel capo di imputazione.

La difesa non ha mai ipotizzato accuse calunniose, come sembra ritenere la sentenza, ma un complesso meccanismo di auto ed etero suggestione (le bambine cioè sottoposte ad un forte stress emotivo ed in particolari condizioni ambientali ed affettive erano state spinte ad identificare la fonte della loro paura nell’imputato).

Trattasi di una ipotesi, fondata su numerosi elementi emersi nel corso del dibattimento (le bambine erano solite mentire, vivevano un momento difficile, anche per la separazione dei genitori, a casa del padre erano libere di guardare anche film, a casa dei G. subivano rimproveri, avevano un linguaggio volgare). La sentenza impugnata riferendosi al linguaggio adoperato ritiene che esso costituisca piuttosto un riscontro agli abusi, senza tener conto che la sintomatologia dei minori non è indice esclusivo di abusi, potendo derivare da altri fattori come l’abbandono.

Con il quarto motivo denuncia la insufficienza della motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione del dibattimento per l’espletamento di perizia, tesa ad accertare, secondo le regole processuali codificate e dei principi della Carta di Noto, la capacità a testimoniare delle minori.

Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge, la insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione (con riferimento esclusivo all’età delle presunte parti offese) dell’attenuante della minore gravità.

Con il sesto motivo denuncia la mancanza di motivazione in ordine al giudizio di comparazione (in termini di mera equivalenza) tra le concesse circostanze attenuanti generiche e l’aggravante contestata.

Con motivi nuovi, in data 28 settembre 2011, vengono ripresi e ripercorsi alcuni dei motivi del ricorso, ribadendosi la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’attendibilità delle dichiarazioni delle presunte persone offese, la genesi del racconto di R.R. ed il tema della suggestione, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento del fatto in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni delle presunte persone offese ed alla ritenuta inattendibilità della testimone Po., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con travisamento del fatto in ordine alla sussistenza di un’ipotesi alternativa, violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, la violazione di legge, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante della "minore gravità". 3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) E’ pacifico che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1, n. 8868 del 26.6.2000 – Sangiorgi; cfr. anche Cass. sez. un. n. 6682 del 4.2.1992; Cass. Sez. 2 n. 11220 del 13.1.1997; Cass. sez. 6 n. 23248 del 7.2.2003; Cass. sez. 6 n. 11878 del 20.1.2003).

3.1.1) Il Tribunale, con motivazione adeguata e coerente logicamente, aveva ritenuto le iniziali rivelazioni assolutamente spontanee ed escluso che le minori fossero state indotte, direttamente od indirettamente, alla elaborazione di fantasticherie o falsi ricordi.

Aveva sottolineato il Tribunale, a conforto del suo convincimento, che la seduta o la lezione aveva ad oggetto non gli abusi sessuali ma il tema della paura e che essa era stata preceduta da altre due lezioni (una sulla rabbia), per cui, se effettivamente, come lamentava la difesa, vi fossero stati condizionamenti esternale rivelazioni sugli abusi subiti sarebbero potute avvenire già in precedenza. Significativamente, invece, i disvelamenti avvennero nel "contesto della paura, sentimento che, id quod plerumque accidit, emerge nei processi in cui un minore sia vittima di abusi sessuali da parte di un adulto" ed altrettanto significativamente le minori manifestarono sentimenti assolutamente compatibili con gli abusi subiti (paura per l’accaduto, paura per le ritorsioni del soggetto abusante, paura di non essere credute, vergogna, senso di colpa). Ad ulteriore dimostrazione della circostanza che la lezione fu solo l’occasione che determinò le rivelazioni e che esse non furono certo frutto di invenzioni, determinate da auto suggestioni o da induzioni esterne, militava, secondo il Tribunale, la circostanza che già in precedenza, come dichiarato in dibattimento, le persone offese avevano, sia pure in modo non dettagliato, parlato di palpeggiamenti subiti con le loro amiche e con B.D.. E che tali confidenze fossero avvenute in precedenza, sottolineavano i primi giudici, era attestato dal fatto che non avrebbe avuto senso fare quelle confidenze dopo che i fatti erano stati svelati e quando ormai non si trattava più di un segreto. E B.D. aveva confermato di esserne già a conoscenza: "le gemelle gli parlavano in termini molto negativi di " A., perchè esse dicevano che le palpeggiava nelle parti intime. Quando gli avevano detto tali cose erano serie ed avevano specificato che si trattava di un segreto;

glielo avevano poi più volte ripetuto" (pag. 8 sent. Trib.). E tanto confermava indiscutibilmente che non si trattava di elaborazioni fantastiche generate dalla lezione sulla paura, ma di rivelazioni di fatti realmente accaduti.

Dopo aver, in modo approfondito, disatteso i rilievi difensivi, assumeva il Tribunale che la piena attendibilità delle dichiarazioni delle minori era confermata da numerosi elementi esterni, quali il loro repentino cambiamento con flessione del rendimento scolastico ed il loro comportamento volgare (soltanto la moglie dell’imputato aveva cercato di anticipare temporalmente siffatto cambiamento, ma risultava smentita da testi indifferenti, quali P. e B.). E che vi fosse una stretta relazione tra tale cambiamento ed i fatti per cui è processo era dimostrato dal "sollievo conseguente alla rivelazione ed il miglioramento complessivo della condotta delle gemelle". Significativo riscontro alla ipotesi accusatoria era infine rappresentato dalle dichiarazioni rese da Po.An. che vide le gemelle nella stanza da letto ed il G. infilarsi i pantaloni.

In presenza di siffatto apparato argomentativo del Tribunale, la Corte territoriale si è limitata, legittimamente, a soffermarsi solo sui principali rilievi difensivi, confermando il giudizio di piena attendibilità delle dichiarazioni rese dalle minori. In particolare, avendo il Tribunale ampiamente motivato in ordine alla spontaneità delle rivelazioni, non vi era alcuna necessità di ripetere gli stessi argomenti. La Corte di merito, nel disattendere i rilievi difensivi, ha, comunque, evidenziato che la maestra P. non aveva il minimo sospetto di abusi sessuali, per cui, neppure inconsapevolmente poteva condizionare o incoraggiare i disvelamenti:

infatti, come emergeva ampiamente dalle dichiarazioni dei testi escussi, l’attività didattica voleva concentrarsi su "alcuni anomali, in quanto ripetuti e non adeguati all’età, riferimenti dei bambini ad argomenti inerenti al sesso". E che non si sia verificata alcuna forzatura o atteggiamento condizionante da parte dell’insegnante è attestato, in modo inequivocabile, dalla scelta di "far raccontare al diario il loro vissuto". E difatti, attraverso tale mezzo di comunicazione per così dire "neutro" e non "sospetto" venivano esplicitamente attribuite ad " A. le condotte in contestazione".

La Corte di merito, confutando le allegazioni difensive, ha rilevato inoltre che le iniziali rivelazioni, assolutamente spontanee come si è visto (ulteriore indice di spontaneità veniva ravvisato nel tono utilizzato, nel disagio e la vergogna, nella descrizione parti colareggiata delle molestie subite), avevano trovato ampia conferma nelle prove dichiarative e documentali, interpretate in modo corretto, logico ed aderente ai fatti dai primi giudici. Il racconto iniziale dei fatti era stato sostanzialmente confermato in dibattimento; la negazione di ogni attività onanistica del G., in loro presenza, non costituiva invero una modifica delle precedenti dichiarazioni (talune condotte era state ricondotte, con la conoscenza propria dell’adolescente, alla loro effettiva natura), ma andava apprezzata piuttosto quale dimostrazione dell’assenza di qualsiasi intento persecutorio nei confronti dell’imputato. Per contro non assumevano particolare rilevanza le lamentate discrasie in ordine alla collocazione spazio-temporale degli episodi, tenuto conto del tempo trascorso e considerato, comunque, che il nucleo principale delle accuse risultava reiteratamente confermato.

3.1.1.1) La Corte ha ritenuto, quindi, che, sulla base delle dichiarazioni accusatorie, pienamente attendibili delle persone offese, per le ragioni ampiamente esposte anche dalla sentenza di primo grado, andasse confermata l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Ed è assolutamente pacifico che le dichiarazioni della persona offesa dal reato possano essere assunte quali fonti del convincimento senza necessità di riscontri esterni. Il giudice, tuttavia, non può sottrarsi ad un esame dell’attendibilità del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati oggettivi emergenti dagli atti, che confortino l’assunto accusatorio. E’ quindi necessario, stante l’interesse che ha la parte offesa verso l’esito del giudizio, vagliare le sue dichiarazioni con ogni cautela, compiendo un esame particolarmente rigoroso anche attraverso una conferma di altri elementi probatori.

Ma, a ben vedere, i riscontri indicati dal Tribunale non sono stati affatto svalutati e completamente disattesi dalla Corte territoriale.

Quanto alle dichiarazioni di B.D. la Corte territoriale non ha certo escluso che il minore avesse ricevuto le confidenze sugli abusi subiti. Ha solo evidenziato, in ordine al segnalato contrasto con la fonte delle confidenze medesime, che non poteva escludersi "un cattivo ricordo in capo ad alcuno dei predetti".

Ed il Tribunale, in base anche a considerazioni di carattere logico, aveva ritenuto, come si è visto, che le confidenze vi erano state e che esse avevano preceduto le rivelazioni fatte a seguito della lezione sulla paura.

Altrettanto è a dirsi per le dichiarazioni della teste Po.

A., la quale aveva riferito che, al ritorno delle bambine da scuola, aveva visto le stesse recarsi nella camera da letto del G., il quale, di seguito, era stato notato mentre si infilava i pantaloni. La Corte non ha certamente ritenuto la falsità dell’episodio raccontato dalla teste; ha solo escluso che nell’occasione potesse essere stato perpetrato un abuso sessuale ("risultando davvero contro ogni logica ritenere che una violenza possa essere stata perpetrata con la presenza nell’abitazione di terze persone, senza neppure l’accortezza di chiudere la porta").

Pur escludendosi la perpetrazione, in quella occasione, di un abuso sessuale, rimane confermato (non essendo stato escluso dalla Corte) il fatto riferito dalla teste di aver visto le bambine entrare nella camera da letto del G. e quest’ultimo di lì a poco nell’atto di infilarsi i pantaloni. E tale "situazione" è già di per sè anomala e rivelatrice di una pericolosa e non giustificata "intimità" tra un uomo di oltre cinquant’anni e due bambine di nove anni.

3.1.2) Le altre censure sollevate dal ricorrente (in relazione alle contraddizioni nelle dichiarazioni delle persone offese circa il tempo, il luogo e la frequenza degli abusi, alle inverosimiglianze del racconto, al comportamento delle bambine, alla sussistenza di un’ipotesi alternativa) non tengono conto che "il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nel l’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve quindi essere evidente e tale da inficiare lo siesso percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006). Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati.

Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (così condivisibilmente Cass. pen. sez. 2 n. 23419/2007 – Vignaroli). Il vizio di prova "omessa" o "travisata" si verifica, quindi, quando da esso derivi una disarticolazione dell’intero ragionamento probatorio ed una illogicità della motivazione sotto il profilo della rilevanza e della decisività.

E’ onere della parte, poi, indicare espressamente nei motivi di gravame gli atti del processo da cui è desumibile il vizio. Tali atti vanno individuati specificamente (non rientrando nei compiti della Corte di legittimità la ricerca nel fascicolo processuale degli stessi), allegati o trascritti integralmente (non è consentita una indicazione "parziale" dell’atto, potendo il denunciato travisamento emergere solo dalla sua lettura integrale).

3.1.2.1) attraverso una formale denuncia di vizio della motivazione e di travisamento del fatto, si ripropone, sostanzialmente, una rivisitazione del materiale probatorio e, per di più, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, con l’indicazione parziale di singoli "passi" delle acquisizioni istruttorie.

3.1.3) Quanto alla denunciata omessa confutazione di alcuni dei rilievi contenuti nell’atto di appello, è assolutamente pacifico che "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass. pen. Sez. 4 n. 1149 del 24.10.2005 – Mirabilia; v. anche Cass. sez. un. n. 36757 del 2004 Rv.229688).

3.2) Non è censurabile la motivazione neppure in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

La rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere. Secondo la giurisprudenza di questa Corte "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di no poter decidere allo stato degli atti. Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (cfr. Cass. sez. 5 n. 8891 del 16.5.2000; Cass. sez. 6 n. 5782 del 18.12.2006). La Corte territoriale ha, peraltro, adeguatamente argomentato in ordine alla inutilità di una perizia sulle minori, evidenziando che da tutte le risultanze processuali ed in particolare dalla relazione della dr.ssa N. e dalle dichiarazioni di G.G. emergeva che le minori erano dotate di buon equilibrio psichico e di un’adeguata aderenza alla realtà.

Anche perchè "..una pregnante indagine psicologica si rende necessaria allorchè la parte lesa sia un soggetto che si trova ancora nella prima infanzia, non certamente allorchè si tratti di persona adolescente, considerata la naturale maturazione connessa all’età ove si possa escludere la presenza di elementi, quali una particolare predisposizione all’elaborazione fantasiosa ed alla suggestione, tali da rendere dubbio il narrato" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 44971 del 6.11.2007).

Nè tanto meno vale invocare la violazione dei principi della Carta di Noto, essendo pacifico che "in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, le cautele prescritte dalla cosiddetta Carta di Noto, pur di autorevole rilevanza nel l’interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione di detti soggetti, presentano carattere non tassativo, sicchè l’eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta nullità dell’esame stesso" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 6464 del 14.12.2007). Si tratta, invero, di semplici suggerimenti volti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come, del resto, si legge nella premessa della Carta medesima (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 20568 del 10.4.2008). Di per sè, quindi, la mancata osservanza non determina automaticamente la inattendibilità delle dichiarazioni del minore e tanto meno la nullità dell’esame o la sua inutilizzabilità. Opinare diversamente significherebbe introdurre una ipotesi ulteriore (non prevista da alcuna norma) di nullità o inutilizzabilità. La inattendibilità del minore sulla base della mancata osservanza del protocollo della Carta è, conseguentemente, affermazione astratta, priva di validità logico-giuridica. E’ necessario quindi indicare gli errori di diritto o i vizi logici della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità dei minori nonostante la mancata osservanza di quel protocollo.

Ma si è visto come i Giudici di merito, con motivazione argomentata ed immune da vizi logici, confutando diffusamente i rilevi difensivi, abbiano ritenuto la piena capacità a testimoniare del minori ed escluso che le loro dichiarazioni fossero frutto di elaborazioni fantastiche o di induzioni esterne.

3.3) Quanto alle domande suggestive va ricordato che il mancato rispetto delle norme che regolano l’esame testimoniale, quando non attenga a divieti posti dalla legge, determina una mera irregolarità e non una nullità o inutilizzabilità, non risolvendosi nella violazione del diritto di difesa e non potendo quindi essere ricondotta in alcuna delle previsioni di cui agli artt. 178 e 179 c.p.p.. Le dichiarazioni testimoniali, assunte non secondo le previsioni di cui all’art. 498 c.p.p, ma con modalità diverse, in mancanza di una norma specifica che ne sanzioni la nullità sono quindi valide e pienamente utilizzabili ai fini della decisione (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 1, 11.6.1992 n. 6922; Cass. pen. sez. 5 n. 36061 del 19.6.2007).

A parte il fatto che, come ha ribadito anche di recente questa Corte "il divieto di porre domande suggestive riguarda l’esame condotto dalla parte che ha un interesse comune al testimone e non invece il controesame o l’esame condotto direttamente dai giudice per il quale non vi è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed esaminante" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 4721 del 12.12.2007), l’eccezione andava proposta direttamente ai giudice davanti al quale si forma la prova" "nei successivi gradi di giudizio, invece, può essere oggetto di valutazione solo la motivazione con cui il giudice abbia accolto o rigettato l’eccezione e, pertanto, non può essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione, l’inutilizzabilità dell’atto assunto in violazione dell’art. 499 c.p.p." (Cass. sez. 1, n. 22204 del 31.5.2005).

La Corte territoriale ha correttamente richiamato tali principi ed ha implicitamente ritenuto, comunque, la irrilevanza delle eventuali domande suggestive. Con il ricorso vengono riportate talune di siffatte domande (pag. 14 ricorso) senza alcuna deduzione in ordine alla incidenza (ai punto da inficiarle completamente) delle stesse sulle dichiarazioni delle minori.

3.4) In relazione all’invocata attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, questa Corte ha ripetutamente affermato che essa (come anche quella di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3) deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima (bene- interesse tutelato dalla norma) sia stata compressa in maniera non grave. Deve quindi farsi riferimento ad una valutazione globale dei fatto, quali mezzi, modalità esecutive, grado di coartazione esercitato sulla vittima, condizioni fisiche e mentali di questa, caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, così da poter ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in modo non grave, come, pure, il danno arrecato anche in termini psichici (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 5002 del 7.11.2006; Cass. pen. sez. 3 n. 45604 del 13.11.2007). Bisogna tener conto cioè, oltre che della materialità del fatto, di tutte le modalità della condotta criminosa e del danno arrecato alla parte lesa ovvero degli elementi indicati dall’art. 133 c.p., comma 1, ma non possono venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma 2 dello stesso art. 133, utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena" (Cass. pen. sez. 3 n. 2597 del 25.11.2003). Anche più di recente questa Corte ha ribadito che ai fini del riconoscimento dell’attenuante della minore gravità non rileva di per sè la "natura" e "l’entità" dell’abuso, essendo necessario valutare il fatto nel suo complesso (Cass. sez. 3 n. 10085 del 5.2.2009).

Indubbiamente non è corretta la categorica affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui "deve escludersi la configurabilità dell’attenuante in parola ove il fatto, commesso ai danni di un minore di anni dieci, avvenga nell’ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l’autore del reato e la vittima". La motivazione sul rigetto della richiesta di concessione dell’attenuante in questione non si è esaurisce, però, in siffatta affermazione, avendo la stessa Corte territoriale poco prima evidenziato che le condotte di natura sessuale indicate nella imputazione costituivano una lesione di indubbia gravità della libertà sessuale delle minori, reiterata nel tempo e commessa per di più nell’ambito di un rapporto fiduciario.

Inoltre dalla complessiva motivazione della sentenza si evince il grave danno, anche in termini psichici, cagionato alle minori.

3.5) Infine il richiamo di tutti i sopra indicati elementi, connotanti negativamente la condotta, giustifica ampiamente l’esercizio del potere discrezionale nella determinazione del trattamento sanzionatolo, tenuto conto peraltro che, con l’impugnazione, si lamentava genericamente l’eccessiva misura della pena (pag.40 app.) e che la Corte territoriale, in accoglimento di tale motivo, rideterminava la pena base nel minimo edittale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *