Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 29-05-2012, n. 8521 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- A.A. ricorreva al Tribunale di Messina, giudice del lavoro, con atto depositato il 26 settembre 2002, esponendo di essere stato dipendente dell’Università di Messina, in servizio presso il Policlinico universitario (poi Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico "Gaetano Martino"), in qualità di collaboratore professionale tecnico di laboratorio, inquadrato nella settima qualifica funzionale, e lamentando che l’Università nell’effettuare la equiparazione con il personale sanitario – ai sensi del D.P.R. n. 761 del 1979 – non gli aveva riconosciuto il corretto inquadramento nell’ex nono livello, poi divenuto primo livello dirigenziale a seguito della intervenuta contrattazione collettiva. Domandava, perciò, la condanna dell’Università e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria al pagamento delle relative differenze dal i novembre 1994. L’Università si costituiva e resisteva alla pretesa, eccependo altresì, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva;

l’Azienda Ospedaliera, costituendosi in giudizio, a sua volta eccepiva il difetto di legittimazione, nonchè la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, oltre che l’infondatezza della pretesa nel merito.

2.- Con sentenza del 30 marzo 2006 il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione per le pretese relative al periodo precedente al 30 giugno 1998 e, per il resto, accoglieva la domanda condannando le convenute, in solido, alla corresponsione delle differenze di retribuzione.

3.- Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Messina, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dall’Università e dall’Azienda Ospedaliera (nonchè, relativamente alla entità del credito, quello incidentale dell’ A., accolto solo in relazione al rimborso delle spese di c.t.u. contabile). In particolare, la Corte di merito rilevava: che la giurisdizione del giudice ordinario in relazione al periodo successivo al 30 giugno 1998 conseguiva al carattere della pretesa, diretta ad ottenere differenze di retribuzione a prescindere dalla impugnazione dei pregressi inquadramenti; che la legittimazione di entrambe le convenute si fondava sulla qualità rispettiva di datrice di lavoro formalmente obbligata – l’Università degli Studi – e di gestore del personale – l’Azienda Ospedaliera -; che, nel merito, dall’applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, espressamente richiamato dall’art. 51 del c.c.n.l. 1998-2001, derivava l’efficacia incontrovertibile della tabella di equiparazione di cui al D.I. 9 gennaio 1982, in base alla quale l’ A., inquadrato nel settimo livello universitario, doveva essere equiparato, in modo automatico, al dipendente del Servizio sanitario nazionale inquadrato come assistente tecnico, restando ininfluente la mancanza del titolo di studio in presenza della perfetta equivalenza delle mansioni.

3.- Contro questa decisione ha proposto ricorso in cassazione l’Azienda Ospedaliera, mentre l’Università degli Studi e l’ A. hanno proposto, con rispettivi controricorsi, precisati con successiva memoria, distinte impugnazioni in via incidentale.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso dell’Azienda Ospedaliera si articola in quattro motivi.

1.1 – Col primo motivo si deduce la violazione dell’art. 37 c.p.c., per non avere la Corte territoriale considerato che la lesione dedotta derivi, anche per le pretese riguardanti il periodo successivo al 30 giugno 1998, dai precedenti atti di inquadramento, così derivandone la giurisdizione del giudice amministrativo anche per tale periodo, alla stregua del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7. 1.2.- Con il secondo motivo, denunciando la violazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, si ribadisce l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, in ragione del fatto che obbligata alla corresponsione delle differenze retributive – derivanti dalla equiparazione al personale del S.S.N. – era soltanto l’Università, e non anche l’Azienda Ospedaliera. Si aggiunge che, in ogni caso, alla equiparazione con il nono livello del personale del S.S.N. osta la mancanza del titolo di studio, che, secondo la più corretta interpretazione del dato normativo, rappresenta un elemento costitutivo della attribuzione di tale inquadramento.

1.3.- Col terzo motivo si deduce vizio di motivazione. Si rileva che la sentenza impugnata abbia affermato la rilevanza esclusiva, ai fini della equiparazione al personale del S.S.N., della qualifica posseduta, mentre, in maniera contraddittoria, abbia poi considerato la decisività delle mansioni effettivamente espletate, così finendo per omettere l’enunciazione di un criterio logico per la individuazione del corretto inquadramento.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, ulteriormente, la violazione dell’art. 31 cit., sotto il profilo che l’affermazione della equivalenza delle mansioni del collaboratore tecnico universitario e di quelle dell’ex nono livello del personale del S.S.N. è in contrasto con le previsioni normative delle rispettive connotazioni professionali.

2.- Il ricorso incidentale dell’Università degli Studi comprende due motivi.

2.1.- Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 31 cit., si rileva che l’equiparazione fra le diverse figure professionali – del personale universitario e di quello del S.S.N. – deve avvenire mediante valutazione delle effettive mansioni, sì che, nella specie, doveva essere esclusa la corrispondenza delle mansioni dell’ A. a quelle proprie del profilo professionale compreso nell’ex nono livello del personale S.S.N..

2.2.- Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata, ancora in relazione al citato art. 31, per avere erroneamente escluso la rilevanza del titolo di studi ai fini della equiparazione al predetto livello professionale.

3.- L’unico motivo del ricorso incidentale dell’ A. censura la liquidazione delle spese processuali operata dalla Corte d’appello, che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto considerare l’esito del gravame, interamente a lui favorevole, nonchè la rilevanza delle questioni, sì che gli onorari dovevano essere calcolati nella misura massima, mentre, al contrario, la liquidazione censurata è incorsa nella violazione dei minimi della tariffa professionale.

4.- Il primo motivo del ricorso principale, riguardante la giurisdizione, non è fondato. E infatti, nelle controversie relative a rapporti di impiego pubblico contrattualizzato, la individuazione del giudice fornito di potestas judicandi, in relazione alla previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, discende dal perfezionamento della fattispecie attributiva della pretesa fatta valere in giudizio. In base a tale criterio, anche in controversie analoghe a quella in esame, la cognizione è stata devoluta al giudice amministrativo, ovvero al giudice ordinario, a seconda che il diritto fosse, o meno, riferito alla illegittimità di atti della pubblica amministrazione, emessi in epoca anteriore alla "privatizzazione" del rapporto, e, in particolare, a provvedimenti di inquadramento in una determinata qualifica o area professionale (cfr.

Cass., sez. un., n. 750 del 2007; n. 14611 del 2010; n. 12894 del 2011; n. 6104 e 6105 del 2012).

Nella specie, la domanda del dipendente è diretta al riconoscimento di differenze di retribuzione in conseguenza della equiparazione al personale del ruolo sanitario (cd. indennità di equiparazione) e, dunque, non rilevano, in via diretta, gli atti di inquadramento precedenti, poichè il fatto costitutivo del diritto alla maggiore retribuzione si identifica nel possesso – incontestato – di una certa qualifica, corrispondente al profilo professionale del ruolo del S.S.N. (cfr. Cass., sez. un., n. 8159 del 2002; n. 11560 del 2007; n. 6104 e 6105 del 2012, cit.); e in tali termini, peraltro, la domanda è stata qualificata nella decisione qui impugnata.

5.- Ugualmente infondata è la censura con cui la Azienda Ospedaliera contesta la sussistenza della propria legittimazione passiva (prima parte del secondo motivo del ricorso principale).

5.1.- La sentenza d’appello ha accertato che l’ A. ha mantenuto fino al momento della proposizione della domanda la condizione di dipendente dell’Università degli Studi. La configurazione del rapporto di impiego, non di meno, se vale a fondare l’obbligazione di quest’ultima di corrispondere l’indennità di equiparazione, secondo un meccanismo che prevede una provvista che, in ipotesi di tal tipo, viene assicurata dal finanziamento pubblico esterno (cfr. Cass., sez. un., n. 439 del 2000), non esclude, di per sè, la legittimazione passiva di altri soggetti, cui debba invece ricondursi un rapporto di servizio connesso al particolare meccanismo che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti universitari "strutturati" in organismi distinti dall’Università. Se, infatti, secondo le modalità del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, per cui veniva attribuito alle Università il potere di stabilire in via autonoma le modalità organizzative dei Policlinici, la prestazione di attività assistenziale in tale struttura faceva comunque capo all’Università, una conclusione diversa deve trarsi dacchè la prestazione viene eseguita, secondo quanto prevede il D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, con modalità per cui essa si inserisce nei lini istituzionali e nella organizzazione autonoma dell’Azienda Ospedaliera Universitaria (come il giudice di merito ha accertato nel caso di specie).

5.2.- Mette conto precisare che l’autonomia gestionale delle distinte strutture ospedaliere universitarie consegue ad un lungo processo normativo, dacchè con la cd. terza riforma del Servizio sanitario nazionale, dopo quella del 1978 e quella del 1992, la L. 30 novembre 1998, n. 419 ha previsto l’emanazione di decreti legislativi volti a ridefinire i rapporti fra tale Servizio ed Università secondo criteri di rafforzamento dei processi di collaborazione e anche mediante l’introduzione di nuovi modelli gestionali e funzionali, integrati tra regione e università, con l’istituzione di aziende dotate di autonoma personalità giuridica.

La prima attuazione della delega si è realizzata con il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229. Vi si prevedono protocolli d’intesa costitutivi delle Aziende (Aziende Integrate e Aziende Ospedaliere Universitarie), le quali, in sintonia con quanto richiesto dal processo di aziendalizzazione che le norme del 1992-93 avevano già sancito e avviato, sono dotate di completa autonomia statutaria, gestionale, organizzativa e finanziaria, oltre ad essere dotate di personalità giuridica pubblica.

La seconda fase si realizza con il D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 che ridisegna la disciplina dei rapporti tra S.S.N. e Università mediante la definizione dei rapporti giuridici ed economici del personale assegnato o trasferito alle nuove aziende ed estensione dell’esclusività del rapporto di lavoro. Ed al riguardo il Legislatore, mirando ad una sorta di cogestione tra l’Università e il S.S.N. mediante un’evoluzione organizzativa incentrata sul contributo apportato dalle università, contempla, a regime, una nuova tipologia di Ospedali superando così la situazione previgente per pervenire al modello aziendale unico di Azienda Ospedaliero- Universitaria (AOU), caratterizzata da un’organizzazione conseguentemente più complessa per cui i principali atti aziendali sono adottati dal Direttore Generale d’intesa con il Rettore secondo modalità di cogestione, anche attraverso un organo di indirizzo nel quale i due enti, che apportano ciascuno proprie risorse, sono rappresentati nella funzione unitaria di controllo.

5.3.- La ricognizione normativa consente di configurare la legittimazione passiva dell’Azienda Ospedaliera Universitaria in ragione del descritto assetto organizzativo e del diretto coinvolgimento nella gestione dei rapporti di lavoro, tanto che la giurisprudenza di questa Corte non ha dubitato che il rapporto si instauri direttamente con l’Azienda quanto alla prestazione del servizio e alle responsabilità connesse alla gestione dell’attività lavorativa (cfr. Cass., sez. un., n. 26960 del 2009).

6.- Proprio la particolarità del servizio prestato – con la descritta "strutturazione" all’interno di ospedali organizzati secondo le regole del Servizio sanitario nazionale – giustifica la previsione legislativa di "equiparazione" dei profili professionali e dei trattamenti economici a quelli, corrispondenti, del personale ospedaliero.

Le modalità della equiparazione del personale non medico, e le ricadute in materia di inquadramento e trattamento economico, hanno suscitato notevoli difficoltà di concreta applicazione dando luogo ad un rilevante contenzioso.

Se per il personale medico docente e ricercatore l’applicazione delle norme di riferimento ha sempre, poi, visto raggiungere un accordo reciproco tra Università ed Aziende Sanitarie coinvolte, per il personale tecnico-amministrativo del comparto universitario la vicenda si è rivelata ben più complessa.

Nella controversia in esame, il merito della divergenza è rappresentato dalle censure contenute nel secondo (ultima parte), terzo e quarto motivo del ricorso dell’Azienda Ospedaliera, nonchè nei due motivi del ricorso incidentale proposto dall’Università degli Studi.

Tali censure conviene ora esaminare congiuntamente, per l’oggettiva connessione dei rispettivi contenuti.

6.1.- La norma che per prima sancisce il diritto del personale universitario a vedersi riconoscere un’indennità che remuneri la prestazione assistenziale svolta dal personale non medico, che opera nelle cliniche e negli istituiti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente con le Università, è la L. 15 maggio 1974, n. 200, recante disposizioni concernenti il personale non medico degli istituti universitari (cd. indennità piccola D.M.).

Il diritto è poi precisamente disciplinato dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31 (stato giuridico del personale delle Unità Sanitarie Locali), che al comma 1 prevede che al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura, convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, è corrisposta un’indennità, non utile per la pensione (diviene pensionabile a seguito della Sent. della Corte Cost. 126/81), nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unita sanitarie locali, di pari funzioni, mansioni e anzianità; analoga integrazione è corrisposta sui compensi per lavoro straordinario e per le altre indennità previste dall’accordo nazionale unico, escluse le quote per le aggiunte di famiglia.

Il comma 4 dell’art. 31 vincola la corresponsione di tale indennità (cd. indennità D.M.) all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità secondo apposite tabelle contenute negli schemi tipo di convenzione di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 39.

Con il D.I. 9 novembre 1982, recante l’approvazione degli schemi tipo di convenzione tra Regione e Università e tra Università e Unità Sanitaria Locale, tali schemi vengono approvati e con l’art. 7 si introduce una specifica disciplina per il personale universitario non medico, prevedendo che "…ai fini previsti dalla presente convenzione la corrispondenza del personale universitario a quello delle USL viene stabilita nell’allegata tabella D…". 6.2.- L’efficacia della normativa precedente alla c.d. privatizzazione, in relazione alla sopravvenuta disciplina contrattuale, è stata ampiamente ricostruita da queste Sezioni unite (cfr. sentenze n. 6104 e 6105 del 2012, cit.) nei termini seguenti.

6.2.1.- Occorre partire dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, (riproducente precedenti norme di legge), secondo cui le disposizioni degli accordi sindacali recepiti in D.P.R. in base alla L. n. 93 del 1983 e le norme generali e speciali del pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 "sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994- 1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre affetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001".

Sulla base di tale presupposto, e tenuto altresì conto di quanto disposto dall’art. 71, comma 1, D.Lgs. citato (secondo cui "ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun ambito di riferimento le norme di cui agli all. A e B al presente decreto, con le decorrenze ivi previste, in quanto contenenti le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi"), occorre procedere in primo luogo all’esame del C.C.N.L. di comparto relativo al primo dei quadrienni indicati.

L’art. 53 del contratto stabilisce al comma 1 che "Fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50, al personale che presta servizio presso le Aziende policlinico, i policlinici a gestione diretta, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le Usi, ovvero al personale incluso nominativamente nelle convenzioni tra le università e le regioni e le Aziende policlinico, i policlinici e le cliniche convenzionate e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, continua ad applicarsi il D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31".

Il comma 2, dell’art. in esame aggiunge che "Al personale che presta servizio presso le strutture di assistenza, ancorchè non ricompreso fra quello previsto al comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.P.R. 3 agosto 1990, n. 319, art. 22, comma 7, con riferimento al C.C.N.L. nel tempo vigente per il comparto sanità.

All’art. 53 del C.C.N.L. così riprodotto è stato successivamente aggiunto il 25 marzo 1997, previa autorizzazione del Presidente del consiglio dei ministri 8 novembre 1996 (vedi G.U. 14 aprile 1997 n. 86, S.O.), un terzo comma del seguente tenore:

"Le parti si impegnano alla ridefinizione, entro tre mesi dalla stipulazione del presente contratto, delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale del S.S.N., al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e l’inserimento delle nuove figure professionali. Le parti si danno atto che, nelle more, vengano conservate le indennità di cui al D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, con riferimento alle collocazioni professionali alla data 31 dicembre 1995 e alle corrispondenti figure del S.S.N., anche per coloro che alla data della stipulazione del presente contratto svolgono funzioni assistenziali mediche e odontoiatriche ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6, comma 5, e successive modificazioni".

Infine nella dichiarazione congiunta n. 1, "Le parti concordano sulla necessità di un progressivo adeguamento, in concomitanza e in linea con l’evoluzione del servizio sanitario nazionale, dell’ordinamento professionale e del sistema retributivo attualmente in essere presso le aziende universitarie policlinico, i policlinici universitari e le strutture convenzionate di ricovero e cura. Ciò nel senso di addivenire ad una ricollocazione professionale di tutto il personale ivi impiegato, che nel salvaguardare le specificità del comparto, consenta anche di recuperare l’attuale sistema retributivo fondato su indennità con funzione perequativa.

Le parti si danno reciprocamente atto che, nelle more, non possono che essere conservate le collocazioni in essere e le connesse indennità, riferite ai trattamenti del comparto sanità".

Dunque, per effetto delle disposizioni contrattuali citate, non solo continuava ad applicarsi transitoriamente il D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 31, ma nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., venivano conservate le indennità di perequazione in godimento secondo le collocazioni in essere.

Mette conto rilevare che, all’epoca, le equiparazioni dovevano essere ampiamente differenziate fra le diverse Università, dato il carattere non cogente – e comunque senza sanzioni per il caso di inosservanza – del D.I. 9 novembre 1982 (peraltro non esplicitamente indicato negli all. A e B al D.Lgs. n. 165) e considerata la ricaduta dell’onere economico dell’indennità di perequazione sulle regioni e sulle ASL, con le quali l’Università avrebbe dovuto stipulare in proposito apposite convenzioni.

La norma dell’art. 53 del C.C.N.L. citato aveva pertanto lo scopo di congelare provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto utili per la determinazione dell’ammontare delle indennità di perequazione nelle varie realtà geografiche, in attesa di stabilire in proposito tabelle di equiparazione uniformi a livello nazionale, che tenessero altresì conto dell’evoluzione delle professionalità e delle relative classificazioni nei comparti considerati.

Siffatto assetto viene ribadito dall’art. 51 del C.C.N.L. 1998-2001 del comparto sanità, secondo il quale:

"… 2 – Ai fini di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio nazionale e di tenere conto delle evoluzioni delle professioni sanitarie, sarà definita entro 12 mesi" (termine poi prorogato dall’art. 21 del C.C.N.L. relativo al biennio economico 2000-2001 fino all’approvazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 2002-2005) una tabella nazionale delle corrispondenze tra le figure professionali previste dal presente contratto e quelle previste dal C.C.N.L. del comparto sanità…

Dalla data di definizione della tabella di cui al comma 1 verrà corrisposta l’indennità di equiparazione di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 calcolata con riferimento alle corrispondenze professionali definite dalla suddetta tabella.

4 – Fino alla definizione della tabella di cui al comma 2, al predetto personale di cui al comma 1, in servizio alla data di stipula del presente C.C.N.L., continuano ad essere corrisposte le indennità di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 con riferimento alle collocazioni professionali in essere e alle corrispondenze in essere con le figure del personale del servizio sanitario nazionale e con riferimento al trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali nel tempo vigenti del comparto sanità".

Infine, il C.C.N.L. del quadriennio 2002-2005, nello stabilire, all’art. 28, la tabella di equiparazione annunciata dai contratti precedenti, fece peraltro esplicitamente salve, al comma 6, "le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L." e dispose, al secondo comma, che le A.O.U. (Aziende ospedaliere universitarie) provvedessero alla collocazione del personale nelle fasce di equivalenza stabilite, "dopo l’applicazione del successivo comma 6…, con riferimento al trattamento economico in godimento".

Nè, in proposito, assume rilievo pertinente la dichiarazione congiunta annessa al C.C.N.L. di comparto relativo al biennio economico 2000-2001, secondo cui le parti stipulanti "convengono di precisare che le collocazioni professionali e le corrispondenze di cui all’art. 51, comma 4" del C.C.N.L. 9 agosto 2000" (quadriennio 1998-2001) "si intendono quelle effettuate sulla base di provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza di cui allo stesso art. 51, comma 2".

Trattasi infatti di provvedimenti di ordine generale assunti quantomeno prima della stipulazione del C.C.N.L. relativo al quadriennio 1998-2001 (contenente la norma di salvaguardia dei livelli di equiparazione raggiunti, anche in maniera diversificata rispetto agli schemi approvati col D.I. 9 novembre 1982) e con riferimento al futuro ed eventuale trattamento perequativo, con finalità di conservazione dei trattamenti perequativi già riconosciuti.

6.2.2.- Conclusione obbligata è dunque che la equiparazione è concretamente stabilita nell’allegato "D" del D.I. 9 novembre 1982, che contiene gli schemi tipo di convenzione previsti dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31. 6.3.- Corollario di tale regola è che la corrispondenza con il personale di pari qualifica e mansione del ruolo sanitario ex D.I. 9 novembre 1982 deve essere determinata in base all’inquadramento del personale universitario nelle aree funzionali, nelle qualifiche e per profili professionali secondo le mansioni svolte ed i compiti assegnati in base al D.P.C.M. 24 settembre 1981. E, inoltre, rilevano a tali fini le norme di legge particolari di cui ha beneficiato il personale suddetto, e precisamente la L. n. 312 del 1980, art. 85, in base al quale il personale universitario in servizio alla data del 1 luglio 1979 è stato inquadrato nei profili professionali di collaboratore e funzionario tecnico secondo le mansioni svolte a prescindere dal titolo di studio.

In conseguenza, se si considera che la normativa primaria non recava una disciplina specifica circa i criteri di equiparazione, si deve convenire con la consolidata giurisprudenza amministrativa che il decreto in esame costituisce esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità; in quest’ottica non appare censurabile la decisione di attribuire rilievo essenziale al dato fattuale dell’equivalenza delle mansioni proprie delle qualifiche e delle posizioni funzionali coinvolte, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio posseduto, o meno, dal dipendente che, comunque, quella determinata posizione rivesta. Si deve ancora ribadire l’irrilevanza della sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 cit. – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola. Allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta, come s’è visto, limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo.

Alla stregua di ciò, poi, occorre chiarire che le mansioni di riferimento per accertarne la corrispondenza sono quelle ricomprese nella qualifica professionale di appartenenza – quelle, cioè, tipicamente svolte dal collaboratore tecnico – poichè il raffronto è, appunto, fra le funzioni proprie di determinate qualifiche, sì che essendo il dipendente inquadrato al settimo livello del ruolo universitario come collaboratore tecnico dell’area scientifica la corrispondenza in base al predetto D.I. è con il dipendente del ruolo sanitario inquadrato come assistente tecnico.

6.4- Alla luce di tali conclusioni le censure qui in esame si rivelano infondate in ognuno dei profili dedotti, essendo la sentenza impugnata del tutto conforme ai principi sopra enunciati.

7.- Non fondato è anche il ricorso incidentale. E infatti, in primo luogo, come risulta dalla statuizione adottata dalla Corte di merito in materia di attribuzione delle spese processuali, l’esito del giudizio d’appello è stato inteso come interamente favorevole all’appellato, mentre nessun effetto è stato riconosciuto, ai fini della liquidazione delle spese, al parziale rigetto dell’appello incidentale. In secondo luogo, l’entità della liquidazione, in relazione alla rilevanza delle questioni, è rimessa alla valutazione del giudice del merito, essendo censurabile solo in caso di violazione della tariffa professionale; ma, con riguardo alla censura in proposito sollevata, occorre osservare che nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico il principio secondo cui la parte che intende impugnare per cassazione la liquidazione degli onorari ha l’onere della analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè la (eventuale) violazione delle tariffe professionali integra un’ipotesi di error in judicando:

onere non adempiuto nella specie che nel ricorso non viene in alcun modo precisata la violazione specifica nei termini indicati, tendendosi, inammissibilmente, ad una nuova e diversa liquidazione.

8.- In conclusione, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e vanno respinti sia il ricorso principale che quelli incidentali, come distintamente proposti.

9.- Si compensano fra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione, in ragione della complessità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rigetta il ricorso principale, nonchè quelli incidentali, come distintamente proposti. Compensa fra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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