Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 18-11-2011, n. 42668

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 28/9/06, dichiarava P. G. responsabile del reato di cui all’art. 609 bis c.p. e lo condannava alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile. La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza dell’11/10/2010. ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, con i seguenti motivi:

– nullità della notifica del decreto di citazione in giudizio di appello, rilevato che la stessa è stata effettuata con consegna alla moglie convivente in busta chiusa, senza poi procedere ad avvisare lo stesso a mezzo raccomandata della avvenuta notificazione dell’atto:

– erronea argomentazione motivazionale posta a sostegno della affermata colpevolezza del P.. determinata da una non corretta ed illogica valutazione delle emergenze istruttorie, in particolare delle dichiarazioni rese nella immediatezza del fatto dalla presunta parte lesa e dall’imputato.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dalla Corte territoriale a sostegno della affermazione di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ad esso ascritto, si palesa logica e corretta.

Non ha ragion d’essere la eccezione di nullità della notifica della citazione in appello, visto che l’atto è stato consegnato alla moglie convivente.

Osservasi sul punto che è da considerare valida ed efficace la notificazione dell’atto di citazione effettuata a mani del coniuge convivente, quando la convivenza risulti indicata nella relata dell’ufficiale giudiziario e dagli atti non emerga che la stessa manchi.

Peraltro, la presunzione di veridicità che assiste la relata, in cui l’ufficiale giudiziario attesta che il consegnatario dell’atto è convivente con l’interessato, può essere da questi contrastata, attesa la libera valutazione attribuita al giudice, ma solo a condizione che venga fornita una prova contraria. precisa e rigorosa, la quale in nessun caso può consistere in una autocertificazione della insussistenza della situazione di convivenza (Cass. 15/6/2001, n. 24575; Cass. 30/7/99, n. 2183); di poi, nel caso di notifica eseguita a mani di soggetti) convivente non necessita alcun ulteriore adempimento, quale l’invio della raccomandata al destinatario, prevista dall’art. 157 c.p.p., comma 3.

Del pari manifestamente infondata si rivela la seconda censura, attinente al vizio di motivazione sulla sussistenza degli elementi probatori suffraganti la sussistenza del reato di cui all’art. 609 bis c.p..

Sul punto, dal vaglio di legittimità compiuto sulla impugnata pronuncia, emerge, in maniera in equivoca, la compiutezza del discorso giustificativo, sviluppato dal decidente, nonchè l’esatta applicazione del metodo valutativo sulla piattaforma probatoria.

Il giudice di merito evidenzia come le forze dell’ordine, nella immediatezza dei fatti, siano stati destinatari delle dichiarazioni accusatorie della vittima, che ha affermato di essere stata costretta dall’imputato ad un rapporto sessuale non protetto, dopo essere stata immobilizzata ed afferrata alla gola dallo stesso, comportamento questo che ha procurato alla p.o. contusioni in quella parte del corpo.

Peraltro, in ricorso si tende ad una rivisitazione delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è preclusa ogni rianalisi estimativa.

Osservasi che la indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato a riscontrare la esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, esulando dai poteri della Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione. la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Cass. S.U. 2/7/97, n. 6402).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186. della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il P. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, a norma dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *