Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-10-2011) 18-11-2011, n. 42710

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. il Tribunale di Catanzaro con ordinanza del 15.3-21.4.2011 ha confermato la custodia cautelare carceraria deliberata dal locale GIP il 10.1.2011 nei confronti, tra gli altri, di V.F. per reati in materia di stupefacenti (capi 28, 29 e 30), di estorsione (capi 34 e 35) e di cui all’art. 513 bis c.p. (capo 36).

2. Due i ricorsi proposti nel suo interesse.

2.1 Quello sottoscritto dai difensori fiduciari propone sei motivi:

– 1 violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla mancata traduzione dell’indagato all’udienza camerale davanti al Riesame nonostante l’espressa richiesta dell’interessato di presenziare, con conseguente nullità dell’udienza e dell’ordinanza ed omessa declaratoria di perdita di efficacia della misura: perchè, essendo il V. detenuto a Bologna, il presidente del Riesame ne aveva disposto l’audizione da parte del magistrato di sorveglianza di Bologna anzichè la traduzione, come imposto da Corte Cost. 45/1991 e SU 22.11.1995, Carlutti e dalla struttura del rito, che consente la presentazione di motivi di impugnazione anche in udienza; nella fattispecie, poi, fissata in data 16.2.2011 l’udienza del 22.2.2011, in realtà la decisione era stata poi deliberata solo il 15.3.2011, a seguito di due rinvii per omessa notifica ai difensori e quindi per vizi della costituzione del rapporto processuale davanti al magistrato di sorveglianza, con i quali illegittimamente sarebbe stata disposta la sospensione dei termini ai sensi dell’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2;

– 2 violazione dell’art. 309 c.p.p., commi 9 e 10 e art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2 con vizi di motivazione, perchè il termine ex art. 309, comma 10 sarebbe perentorio e nell’interesse dell’indagato e quindi non sospendibile o superabile anche nel caso di audizione delegata fuori circoscrizione e di vizi della medesima; in particolare, il disposto dell’art. 101 disp. att. c.p.p., comma 2 non potrebbe vanificare termini perentori posti nell’interesse dell’indagato; in ogni caso, poichè con atto indirizzato al Riesame del 4.3.2011 alle ore 16, dalla Casa circondariale di vibo Valentia dove nel frattempo era stato tradotto, il V. aveva dichiarato espressamente "di rinunciare a qualsiasi interrogatorio (peraltro mai richiesto) o a rendere dichiarazioni davanti al magistrato di sorveglianza per rogatoria" "delegando il proprio difensore a proporre motivi nel merito", da tale data avrebbe dovuto riprendere il decorso del termine per la deliberazione e quindi la deliberazione in data 15.3.2011 sarebbe in ogni caso tardiva;

– 3 vizi di motivazione in ordine all’eccezione relativa all’omesso rilascio di copia dei nastri magnetici delle intercettazioni relative ai capi 28, 29 e 30, quanto all’omessa documentazione della mancata evasione della relativa domanda, non documentabile secondo il ricorrente, tenuto conto della mancanza di deduzioni contrarie del pubblico ministero di udienza; da qui l’inutilizzabilità delle conversazioni per le valutazioni contingenti del tribunale;

– 4 vizi di motivazione in ordine all’attribuzione al V. dei contestati atti intimidatori, perchè il dato della contemporaneità temporale tra i contrasti del ricorrente con la LIDL e le condotte intimidatorie ai danni degli autisti della ditta Conserva sarebbe stato valutato senza confrontarsi con la deduzione difensiva sulla presenza di intimidazioni simili a tali autisti anche in epoca precedente tali contrasti;

– 5 violazione di legge e vizi di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla circostanza aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 perchè il Tribunale avrebbe attribuito al V. frasi pronunciate nei confronti degli autisti un anno e mezzo prima da altri ignoti soggetti, nè sarebbe ipotizzabile – in relazione al suo effettivo contenuto (sull’impossibilità che non calabresi lavorassero in Calabria) – una sorta di generalizzato principio di territorialità, nè il ricorrente sarebbe destinatario di contestazione ex art. 416 bis c.p. come invece presupposto dal Tribunale;

– 6 violazione dell’art. 274 c.p.p. e vizi di motivazione, in relazione ai capi 28, 29 e 30, quanto alle esigenze cautelari, tenuto conto della evidente continuazione con i reati di precedente condanna già espiata.

2.2 Il ricorso sottoscritto personalmente dal V. consta di 89 pagine che trattano più argomenti, con modalità espositive invero tumultuose e deduzioni di non sempre agevole comprensione, anche per lo stile grafico dell’atto, che non consente di cogliere con chiarezza la costante correlazione tra quanto apparentemente richiesto e quanto dedotto.

I punti trattati sembrano comunque afferire a:

– 1 mancanza e manifesta illogicità della motivazione (pag. 1-6), con generica deduzione di insufficienza o mancanza degli elementi di responsabilità per i vari reati;

– 2 violazione di legge in ordine ai singoli reati e vizi di motivazione: ma le censure attengono al merito, con continuo richiamo di dati probatori valutati nel loro presunto significato corretto, e colpiscono l’ordinanza del GIP senza alcun confronto argomentativo con l’articolata ordinanza del Tribunale (pag. 6 – 47); ciò vale anche per il paragrafo relativo alle esigenze cautelari (pag. 47) che incidentalmente appare nel testo, prima di riprendere la critica di merito al GIP sui reati di estorsione (pag. 51-55);

3. rideduzione di violazione di legge e vizi di motivazione, sempre apparentemente nei confronti dell’ordinanza del GIP (pag. 55-58);

4. violazione di legge processuale in relazione alle intercettazioni, perchè al Riesame non sarebbero stati trasmessi tutti i decreti di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche utilizzate dal GIP (pag. 59-75), decreti che comunque (PM e GIP) sarebbero mancanti di motivazione effettiva;

5. perdita di efficacia della misura per l’omessa trasmissione al Tribunale dell’interrogatorio di garanzia disposto per rogatoria a Bologna il 29.1.2011 (pag. 75-84);

6. violazione di legge per l’omessa traduzione all’udienza e il decorso del termine per l’utile decisione in relazione alle nullità che avevano determinato i rinvii delle udienze in rogatoria davanti al magistrato di sorveglianza di Bologna; comunque tardività dell’udienza 15.3.2011 anche in relazione alla rinuncia all’interrogatorio resa il 4.3.2011 all’ufficio matricola e, nella medesima data, depositata con propria nota in cui avrebbe riferito quanto dettogli oralmente dall’assistito – se si è compreso l’assunto sul punto – dall’avv. Stilo;

7. violazione di legge per l’impedimento all’esercizio del diritto di accesso del difensore a bobine e decreti intercettivi, in relazione alla duplicazione richiesta il 4.2.2011, e comunque omessa trasmissione di tali copie (nonchè degli interrogatori resi dal collaboratore di giustizia F.) al Tribunale da parte della Procura.

3.1 Quanto all’atto di ricorso proposto dai difensori, i primi due motivi vanno trattati congiuntamente.

3.1.1 E’ fondata la censura relativa all’omessa traduzione dell’indagato, detenuto fuori della circoscrizione del giudice che procede, che la abbia chiesta.

Pur dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 17- 31.1.1991, vi è stato contrasto nella giurisprudenza di legittimità sul punto dell’applicabilità o meno anche della seconda parte dell’art. 127 c.p.p., comma 3 alle procedure ex art. 309, in ragione del richiamo esplicito che all’art. 127 opera il comma 8 dell’art. 309.

Così, Sez. 1^, sent. 4786/1993 aveva addirittura ritenuto indebita la traduzione avanti il Riesame, in luogo dell’interlocuzione davanti al magistrato di sorveglianza territorialmente competente; nel senso della permanente legittimità di tale interlocuzione territoriale, anche Sez. 1^ sent. 563/1996, Sez. 5^ sent. 603/1997; Sez. 5^ ord. 1006/1997, Sez. 5^ sent. 3910/1999, Sez. 4^ sent. 39834/2007.

In particolare, la sentenza 603/1997 ha affermato essere comunque sussistente, pur dopo la richiamata sentenza della Corte costituzionale, la facoltà del giudice di disattendere "istanze di audizione formulate genericamente o defatigatorie senza violazione del diritto di difesa" (conclusione fatta propria dalla sentenza 39834/2007).

La maggioritaria giurisprudenza di legittimità, invece, dopo la sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 40/1996 che ha parificato la posizione del detenuto ristretto nell’ambito o fuori della circoscrizione del tribunale in ordine agli effetti della richiesta di traduzione, ha aderito al diverso insegnamento.

In tal senso le sentenze Sez. 2^, n. 11/1997, Sez. 2^, n. 42158/2002, Sez. 1^ n. 21015/2004, Sez. 4^ n. 24376/2004, Sez. F. n. 36630/2005, Sez. 5^ n. 37034/2006, Sez. 2^ n. 32666/2006, Sez. 2^ n. 1099/2007, Sez. 6^ n. 10319/2008.

Va richiamata anche la recente sentenza SU n. 35399/2010 che, sia pure per il diverso caso della partecipazione al giudizio camerale d’appello, ha valorizzato la miglior corrispondenza al generale principio costituzionalizzato del contraddittorio di fronte al giudice che deve decidere e dell’irrilevanza della detenzione fuori dalla circoscrizione.

Quest’ultima maggioritaria giurisprudenza ha altresì precisato due punti essenziali: la nullità del provvedimento del riesame per omessa traduzione del richiedente non determina l’inefficacia del provvedimento cautelare originario; a fronte della specifica richiesta di traduzione, il tribunale non ha alcuna discrezionalità nel sindacare le ragioni della richiesta ed in particolare di accoglierla solo se essa già contenga specifiche manifestazioni della volontà di interloquire sugli aspetti probatori pertinenti alla misura (conclusione che risulta del tutto coerente alle caratteristiche di oralità e immediatezza richiamate nella motivazione della sentenza della Corte costituzionale richiamata, nonchè alla possibilità del tutto fisiologica che l’interesse a contraddire sorga in relazione al contenuto degli interventi orali delle parti nel corso della discussione in camera di consiglio, comunque essendo prevista la possibilità di proporre motivi nuovi anche alla stessa udienza, ex art. 309, comma 6).

Sono certo tutt’altro che irrilevanti le esigenze, evidenziate da talune delle sentenze del primo orientamento, di evitare condotte solo defatigatorie o strumentali (basti pensare al caso di una richiesta di traduzione che venga proposta il giorno prima dell’udienza, o comunque in termini oggettivamente incompatibili con l’utile suo espletamento). Ma sul punto va confermata la necessità della tempestività di adempimento dell’onere di richiedere la traduzione (onere che nella procedura ex art. 309 sussiste, in quanto in essa opera l’art. 127, comma 3, quindi di norma essendo previsto il solo essere sentito dal magistrato di sorveglianza della diversa circoscrizione, sicchè non sussiste alcun generalizzato obbligo di traduzione d’ufficio), onere il cui inadempimento impedisce che possa configurarsi alcuna nullità (e, ciò, prescindendo dalla questione del tipo di nullità che sia configurabile nella specie): in proposito vanno richiamate le comunque pertinenti argomentazioni svolte ai punti 8 e 9 della richiamata sentenza SU n. 35399/2010.

La concretizzazione della nozione di tempestività, nella specie, trova soddisfazione non incoerente al contenuto dell’orientamento maggioritario nella conclusione che, nel caso in cui il richiedente il riesame sia detenuto fuori del circondario del tribunale, la scelta tra l’essere sentito dal magistrato di sorveglianza territorialmente competente ovvero l’essere tradotto davanti al tribunale per l’udienza ex art. 309 c.p.p., comma 8 debba essere compiuta nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza medesima.

Tenuto infatti conto della peculiarità della procedura di riesame, caratterizzata dalla ristrettezza dei tempi e dalla rilevanza determinante della loro osservanza ai fini dell’efficacia stessa della decisione, solo tale "ragionevole immediatezza" (che dovrà essere oggetto di specifica argomentazione, ove necessario) individua il punto di bilanciamento tra il diritto fondamentale dell’imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito e di assicurare che l’esito del procedimento non sia influenzato da condotte dell’imputato maliziose o non giustificate (arg. ex sent. SU 35399/2010 cit.).

Debbono pertanto essere innanzitutto affermati i seguenti principi di diritto:

– nell’ambito della procedura di riesame ex art. 309 c.p.p., comma 8, se l’interessato detenuto in altra circoscrizione richiede specificamente la traduzione per l’udienza camerale, il tribunale deve disporla prescindendo dall’indicazione delle ragioni eventuali di tale richiesta; l’omessa traduzione determina la nullità dell’ordinanza del riesame;

– nella procedura di riesame, quando l’interessato è detenuto in altra circoscrizione la richiesta di traduzione va proposta nella ragionevole immediatezza della ricezione della notificazione dell’avviso della data fissata per l’udienza davanti al tribunale.

Nel caso di specie, risulta dal provvedimento impugnato (pag. 2) che la richiesta di traduzione è stata presentata l’indomani della ricezione di tale notificazione, sicchè essa è stata sicuramente tempestiva.

Sussiste pertanto la nullità dedotta, il che assorbe – per la priorità logico sistematica della questione – l’aspetto relativo alle censure di tardività della decisione per i rinvii effettuati a seguito delle irregolari notificazioni nella subprocedura avanti il magistrato di sorveglianza, da ritenersi, per le ragioni esposte, globalmente irregolare.

3.1.2 Tale nullità, tuttavia (ed ecco la ragione del raccordo tra i due primi motivi), non ha rilevanza nella fattispecie.

Ricordato che per la richiamata costante giurisprudenza di questa Corte essa non determina per sè l’inefficacia della misura custodiale originaria, ma solo la necessità di rinnovare l’udienza camerale, va infatti osservato che il V. è stato presente all’udienza del 15.3.2011 in tale sede producendo dichiarazioni scritte (pag. 9 ordinanza Riesame).

Non vi è pertanto alcun attuale interesse (giuridicamente tutelato) alla dichiarazione di nullità che, irrilevante sul piano dell’inefficacia del provvedimento originario, condurrebbe solo alla rinnovazione dell’udienza per consentire all’interessato l’esercizio di un diritto che egli ha già efficacemente esercitato.

Non è infatti fondata la successiva eccezione, di autonoma tardività dell’ordinanza 15.3.2011 in relazione alla dichiarazione resa dal V. il 4 marzo all’ufficio matricola della casa circondariale di Vibo.

E’ assorbente la circostanza che tale dichiarazione risulta resa all’ufficio matricola della casa circondariale di Vibo Valentia alle ore 16.

Orbene, è vero che l’art. 123 c.p.p., comma 1 prevede che le impugnazioni/dichiarazioni/richieste dell’imputato (o sottoposto alle indagini) detenuto hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria, ma tale norma vuole estendere la disciplina generale prevista per il caso del cittadino libero, sostanzialmente con tale equiparazione rimuovendo le implicazioni negative per l’esercizio delle facoltà difensive proprie della restrizione di libertà, non già prevedere un trattamento privilegiato per il ristretto, tale addirittura da influire sull’effettiva quantificazione del termine.

Che sussista infatti il principio generale, secondo il quale i momenti essenziali della decorrenza e della scadenza dei termini sono correlati – strutturalmente, razionalmente – all’attività degli uffici giudiziari secondo le norme processuali o i regolamenti specifici, si desume, sistematicamente, dal fatto che l’effettivo utile decorso del termine non può che comportare l’evenienza – anche solo astratta o potenziale – di un immediato conseguente e pertinente provvedimento giudiziale, coerente alla dichiarazione o istanza depositata.

In altre parole, il decorso del termine processuale non può che essere sistematicamente correlato all’utile, ancorchè solo astratta, possibilità concreta di adottare provvedimenti: per questo, in assenza di una disciplina che imponga agli uffici giudiziari un’organizzazione di apertura/efficacia sulle 24 ore/die, e, comunque, di un’affermazione positiva che legittimi l’eccezione al principio generale, l’equiparazione del deposito delle richiamate tipologie di atti presso le cancellerie degli uffici giudiziari a quello presso gli uffici matricola degli istituti carcerari non può comportare, per il secondo, la, pur non necessariamente strumentale, consumazione inefficace di uno dei giorni di cui il singolo termine per provvedere si compone, secondo la disciplina generale.

Costituisce significativo riscontro di questa ricostruzione sistematica il disposto dell’art. 172 c.p.p., u.c., secondo cui il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti presso un ufficio giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l’ufficio viene chiuso al pubblico.

Nel caso concreto, essendo notoria l’attuale disciplina regolamentare che non consente depositi di impugnazioni/dichiarazioni/richieste presso gli uffici giudiziari nelle ore pomeridiane, la decorrenza del termine di dieci giorni per provvedere si è concretizzata il giorno 5 marzo, primo utile in ragione del deposito pomeridiano del giorno 4 (essendo qui poi irrilevante – ma proprio per il principio di equiparazione che comporta l’assorbimento in danno dell’amministrazione pubblica di ogni disfunzione – che tale richiesta sia poi pervenuta al Tribunale in realtà il successivo giorno 7).

In definitiva, il motivo di ricorso è infondato, alla luce del principio di diritto che deve essere affermato, secondo il quale nel caso di presentazione di dichiarazioni o richieste formulate dal detenuto con atto ricevuto dal direttore dell’istituto penitenziario in orario pomeridiano, ai sensi dell’art. 123 c.p.p., il termine a provvedere decorre dal giorno successivo.

3.1.3 Anche gli altri motivi sono infondati.

Quanto al terzo, il Tribunale ha argomentato della mancanza di prova documentale circa il mancato rilascio delle copie dei file richieste (possibile attraverso la produzione di attestazione di segretaria sul mancato rilascio), correttamente giudicando assorbente in fatto il rilievo.

Nè la mera presenza del p.m. in udienza camerale ha efficacia probatoria sul punto, quantomeno in assenza di un effettivo e specifico interpello della parte pubblica sul punto.

Va invece corretta la seconda parte della motivazione, posto che il diritto all’accesso ai file audio delle intercettazioni poste a base dell’ordinanza cautelare genetica sussiste a prescindere dalla presenza, tra gli atti trasmessi al GIP, della trascrizione integrale delle conversazioni.

Ciò che solo rileva è che l’ordinanza abbia argomentato da conversazioni intercettate, pur conosciute dal gip solo attraverso brogliacci o note di polizia.

In tal caso, poichè di fatto la conversazione è stata considerata elemento probatorio, pur nel suo riassunto o mero richiamo, sussiste appunto il diritto all’estrazione di copia che, consentendo alla difesa l’ascolto diretto della conversazione integrale, consente alla stessa di acquisire elementi idonei ad eventualmente contrastare la "lettura" della conversazione quale operata negli atti di polizia e comunque argomentata dal medesimo gip. Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili perchè, a fronte di motivazione articolata del Riesame, che ha prima dato conto delle dichiarazioni accusatorie, poi espressamente ed autonomamente valutate anche con specifico confronto con le ampie deduzioni difensive ritenute assorbite, con un apprezzamento complesso e congruo ai dati probatori richiamati, sorretto da motivazione tutt’altro che apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà, soli che rilevano in questa sede, le censure difensive si risolvono nella mera sollecitazione ad una preclusa rivalutazione dell’ampio materiale probatorio (del tutto apodittica essendo la deduzione di un’influenza determinante del richiamo all’ipotesi associativa, contenuta nel paragrafo che tratta delle questioni cautelari, pag. 77 ordinanza).

L’ultimo motivo è inammissibile per la genericità delle deduzioni, a fronte di una specifica e articolata valutazione di merito del Tribunale sul punto.

3.2 I motivi del ricorso personale diversi da quelli sopra esposti sub 2.2.5, 2.2.6 e 2.2.7 sono inammissibili per genericità o perchè diversi da quelli consentiti, proponendo, nei termini già commentati sui" 2.2, censure o direttamente avverso l’ordinanza genetica, così non confrontandosi specificamente con il contenuto dell’ordinanza del Riesame (Sez. 6^, sent.), o afferenti aspetti di stretto merito, preclusi in questa sede di legittimità.

Infatti anche il motivo indicato sub 2.2.4 è manifestamente infondato – in relazione alla pretesa di acquisizione dei decreti autorizzativi (non necessaria in questa fase, nei termini dedotti) ed alle censure di difetto di motivazione (del tutto generiche) – mancando comunque ogni specifico confronto con quanto argomentato sul punto dal Tribunale ai paragrafi 3.5 e 3.6 della propria ordinanza.

All’infondatezza dei tre motivi richiamati conducono le argomentazioni svolte in relazione ai comuni motivi del ricorso "tecnico". 4. I due atti di ricorso, essendo stati proposti nell’interesse della medesima persona sottoposta alle indagini, articolano, nel loro insieme, le difese per un’unica posizione processuale.

L’ammissibilità dell’atto di ricorso proposto dai difensori impone pertanto l’applicazione della disciplina delle spese processuali prevista per il caso del rigetto: consegue la condanna del ricorrente al solo pagamento delle spese processuali, non ricorrendo ragioni peculiari per l’applicazione dell’ultima parte dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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