Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-10-2011) 18-11-2011, n. 42702

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il processo in questione ha origine da indagini svolte in ordine ad ipotizzate irregolarità nel rilascio dei permessi di soggiorno nell’ambito della Questura di Bergamo, nonchè nei rapporti di alcuni agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria, appartenenti all’Arma dei carabinieri ed alla Polizia di Stato, con R.F. (gestore di due night club siti nei Comuni (OMISSIS)) e con l’attività di prostituzione che in tali locali veniva svolta da ragazze non italiane.

Con sentenza del 9.11-13.12.2010 la Corte d’appello di Brescia, tra l’altro, deliberava la conferma delle condanne:

– di M.C. e Z.C. per il capo F (concorso in corruzione) limitatamente ai fatti commessi dopo il maggio 2003 confermando la riqualificazione ai sensi degli artt. 318 e 321 c.p.;

del sovrintendente capo D.D.E. (Uff. immigrazione della Questura di Bergamo) per i reati di corruzione di cui ai capi C e R, limitatamente ai fatti successivi al maggio 2003, confermata l’ipotesi dell’art. 318 c.p., e per il delitto di concorso in favoreggiamento della prostituzione di cui al capo R bis;

– dell’agente B.A. (dello stesso ufficio) per il reato di favoreggiamento della prostituzione di cui al capo Sbis;

– del comandante della Polizia stradale di Bergamo B. F. per il reato di favoreggiamento della prostituzione (capo Y bis) e per il reato di corruzione di cui al capo Y limitatamente ai fatti successivi al 9.5.2003;

dell’appuntato dei carabinieri della Stazione di Albino T. C. per il reato di favoreggiamento della prostituzione (capo U bis) e per il reato di corruzione di cui al capo U limitatamente ai fatti successivi al 9.5.2003;

dell’appuntato dei carabinieri della Stazione di Albino G. G. per il reato di favoreggiamento della prostituzione (capo Z bis) e per il reato di corruzione di cui al capo 2 limitatamente ai fatti successivi al 9.5.2003;

2. Così i ricorsi.

2.1 + 2.2 M. e Z., entrambi difesi dall’avv. Olivati, hanno presentato due distinti atti di impugnazione dal medesimo contenuto (tanto che l’atto in favore della M. inizia parlando di posizione del signor Z., e tuttavia poi svolgendo le deduzioni con riferimento ad entrambi i nominativi, il che lo rende ammissibile), deducendo con unico articolato motivo violazione dell’art. 318 c.p. e dell’art. 192 c.p.p. nonchè vizi di motivazione, perchè la Corte d’appello non avrebbe argomentato in ordine alla sussistenza di un accordo corruttivo, non confrontandosi con la tesi difensiva: di relazioni solo lavorative – in relazione all’attività imprenditoriale dello Z. ed alla sua necessità di regolarizzare i dipendenti non comunitari – ed amicali extralavorative, anche vdatatè, tra D.D., M. e Z., cui avrebbero dovuto essere ricondotte sia le cene o feste – anche "spinte" – che il pagamento di colazioni di lavoro (questo risultato avvenire a rotazione, con assegni anche emessi dal D.D.); di compatibilità tra le (sole) nove pratiche con il timbro del D.D. nel biennio e la peculiare competenza istituzionale del sovrintendente; di insussistenza del rapporto corruttivo proprio in ragione della mera e lecita amicizia extralavorativa; di mancata individuazione di atti d’ufficio rilevanti, tenuto conto della competenza prefettizia nel rilascio dei permessi di soggiorno da regolarizzazione e della mancanza di condotte anomale nella parte di competenza della Questura;

dell’alternativa dedotta lettura delle rimostranze del D.D. per i riferiti favori largiti alla M., in relazione alle difficoltà del suo rapporto con la J., comunque sentimentalmente legata al poliziotto. In particolare, le dichiarazioni del coimputato B. sulle cene sarebbero isolate e non riscontrate, le foto avrebbero ricevuto spiegazione nell’iniziativa del titolare del locale, comunque nulla ricondurrebbe la sollecitazione a disponibilità per eventuali atti sessuali, non provati, alla coppia dei ricorrenti. La Corte distrettuale avrebbe poi errato nel ritenere sussistente il requisito della indebita retribuzione, invece non rinvenibile nei meri "oboli" proporzionati ai lavori ricevuti. Mancherebbe comunque prova del compimento di pratiche dopo il maggio 2003, non essendo stato identificato un particolare momento consumativo e non trattandosi di condotte permanenti.

2.3 D.D., con l’avv. Del Villano, deduce tre motivi:

-1. mancanza o illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo R bis, ed al punto della consapevolezza dell’attività di meretricio svolta dalle ballerine, contrastata dalle deposizioni assunte e dalla relazione intercorsa con una delle ragazze; meritorio sarebbe poi il costante atteggiamento di disponibilità dell’imputato nell’espletamento del proprio servizio;

-2. mancanza o illogicità della motivazione in relazione all’attendibilità delle ‘testimonianzè dibattimentali dei coimputati;

-3. violazione dell’art. 192.3 c.p.p., per la mancata motivazione della credibilità "del dichiarante"’ e dell’esistenza di riscontri.

2.4 B. propone a mezzo dell’avv. Ilaria Crema due motivi:

-1. erronea applicazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, contraddittorietà e illogicità della motivazione sul punto perchè, assolto dai reati di corruzione, non sarebbe rinvenibile la condotta agevolatrice; sarebbe stata poi omessa la motivazione sul "nodo cruciale della consapevolezza … di ciò che avrebbe costituito il prezzo della sua mancata attivazione in qualità di p.u., e cioè la gratuità della prestazione sessuale ricevuta"; l’inosservanza dell’art. 55 c.p.p. avrebbe rilievo solo disciplinare, i rapporti comprovati sarebbero frutto solo di reciproca simpatia;

-2. erronea applicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 4 e art. 133 c.p., per la diminuzione di pena di soli cinque mesi nonostante le assoluzioni.

2.5 BR., con l’avv. Monaco, deduce tre motivi di ricorso:

-1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta configurabilita di responsabilità del ricorrente ex art. 40 c.p., comma 2, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sotto tre profili distinti:

– perchè a fronte di una contestazione, per i delitti di prostituzione, di concorso ai sensi dell’art. 110 c.p., la Corte distrettuale avrebbe escluso la sussistenza di condotte attive concorsuali, ma affermato la colpevolezza ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2 e art. 55 c.p.p., nonostante il ricorrente – che rivestiva all’epoca la qualifica di comandante della Polizia stradale di Bergamo (secondo il motivo zona diversa da quella in cui si trovavano i locali notturni) – avesse frequentato i locali mentre non era in servizio, e quindi non nell’esercizio delle sue funzioni. In definitiva si sarebbe trattato di mera e penalmente irrilevante inerzia, mancando alcuna competenza funzionale o territoriale idonea a configurare una posizione di garanzia che imponesse l’obbligo di una sua attivazione o denuncia, nè l’art. 55 c.p.p. potendo fondare un obbligo permanente ed indiscriminato di interventi e per qualsiasi tipo di reato. Il precedente richiamato in sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 3100/1996) non sarebbe pertinente perchè relativo a caso dove proprio l’appartenente alla polizia giudiziaria era immediatamente coinvolto nella gestione del giro di prostituzione;

– perchè la clausola di equivalenza ex art. 40 c.p., comma 2 sarebbe applicabile solo a fattispecie diverse da quelle ed causali pure, con evento naturalistico specifico, nella specie non configurabile per la condotta di favoreggiamento;

– contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 40 c.p., comma 2 e L. n. 75 del 1958, art. 3 perchè per la condotta di sfruttamento la Corte distrettuale si sarebbe invece correttamente limitata ad escludere la sussistenza del contestato concorso ex art. 110 c.p., senza ricorrere al ed concorso omissivo ex art. 40 c.p.;

-2. vizi di legittimità e motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilita del reato di corruzione ex art. 319 c.p. perchè, per le medesime ragioni di carenza di ogni qualifica pertinente e di alcun obbligo giuridico di intervento, sarebbe mancato il dovere funzionale secondo i Giudici del merito volontariamente omesso, venendo così meno ogni atto del proprio ufficio, neppure individuabile: quel night sarebbe stato frequentato da privato cittadino. Mancherebbe comunque la prova di un accordo criminoso tra i soggetti interessati, affermato sulla base di sillogismi che illogicamente avrebbero svalutato la relazione sentimentale intercorsa con una delle ragazze che lavoravano nel locale;

-3. violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., per il diverso apprezzamento della gratuità della prestazione sessuale quanto ai due delitti (corruzione e sfruttamento) e per il ritenuto carattere "significativo" del suo contributo di silenzio in relazione alla notorietà dell’esercizio di prostituzione in quei locali.

2.6 T., con l’avv. Managò, deduce vizi di motivazione in ordine all’art. 192 c.p.p., n. 2 in relazione agli artt. 81 e 319 c.p., art. 110 c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 8 e art. 4, n. 7, quanto ai punti dell’attendibilità attribuita alle dichiarazioni del coimputato R., mancando riscontri, in particolare le dichiarazioni di H.G. confermando il rapporto sentimentale che giustificava le presenze del ricorrente ed era incompatibile con relazioni di meretricio, mentre l’esito negativo dei numerosi controlli, non tutti preavvertiti dal T., suffragava la versione difensiva; in ogni caso la relazione sentimentale escluderebbe la configurabilità delle prestazioni sessuali quale prezzo della corruzione, tenuto anche conto dell’assoluzione in appello dal reato di sfruttamento.

2.7 G., con l’avv. Bruni, propone tre motivi:

-1. mancata correlazione della sentenza con l’accusa contestata, vizi della motivazione in punto affermazione della responsabilità, perchè la Corte distrettuale avrebbe omesso di argomentare sul punto essenziale della natura e della frequenza dei controlli di polizia cui aveva partecipato anche il ricorrente e sul loro esito, illogicamente ignorando le deposizioni delle ragazze che avevano escluso "uscite" con il carabiniere, non argomentando sull’attendibilità della teste A. e "bypassando" il rilievo del tipo di effusioni scambiate dall’imputato con la D.;

secondo il ricorrente, la Corte distrettuale proprio perchè non avrebbe potuto provare la gratuita frequentazione di indole sessuale, quale contropartita della corruzione, avrebbe quindi mutato la struttura della contestazione, valorizzando una condotta di omesso pagamento delle consumazioni mai oggetto dell’imputazione sub Z; in ordine al delitto di favoreggiamento mancherebbe la prova della consapevolezza dell’illecita attività del R., mentre il timore sulla pubblicizzazione della sua frequentazione del locale sarebbe spiegabile con le opposte indicazioni del comandante la Stazione;

contraddittorio sarebbe infine il rilievo del "personale godimento" della prostituzione organizzata dal R., alla luce dell’assoluzione dalla condotta di sfruttamento;

-2. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione di diniego del beneficio della non menzione;

-3. violazione del divieto di reformatio in peius ex art. 597 c.p.p., commi 3 e 4, perchè nel rideterminare la pena la Corte bresciana avrebbe illegittimamente ampliato la parte di pena corrispondente all’aumento per la continuazione (quattro mesi di reclusione e 100 Euro di multa, in luogo dei due mesi e 200 Euro deliberati dal Tribunale).

3. Per esigenze di economia argomentativa va trattata in premessa una questione che riguarda tutti i ricorrenti che sono stati condannati per delitti di corruzione.

La Corte distrettuale, ritenuta contestata in tutti i casi l’ipotesi della corruzione continuata, in luogo di quella di un’unica messa a disposizione della propria funzione, concretizzantesi poi in singoli momenti di un unico reato, ha dichiarato prescritti i fatti/reato commessi fino alla data della sentenza di appello. Analoga statuizione deve pertanto essere adottata da questa Corte per tutti i ricorrenti per le condotte fino al 4.4.2004, posto che i singoli ricorsi superano la soglia dell’ammissibilità originaria, pur essendo infondati (ad eccezione di quello di G. in relazione al punto della quantificazione del trattamento sanzionatorio nel giudizio di appello).

Da qui l’annullamento con rinvio limitatamente ai delitti di corruzione, come rispettivamente ascritti agli imputati M., Z., D.D., B., T. e G., per la rideterminazione della pena relativa ai delitti di corruzione continuata rispettivamente ascritti (e, quanto al G., anche per quanto argomentato sub 3.7).

In proposito, va solo osservato che l’unico motivo, tra tutti i ricorsi, che poneva la questione della mancanza di prova delle condotte oltre il maggio 2003 ( M. e Z.), è manifestamente infondato, posto che la sentenza di primo grado indicava specificamente date di atti, ricondotti alla corruzione, posti in essere oltre data (pag. 10 e 17 sent. Trib. Bergamo). Nè, a fronte delle attuali contestazioni, per le quali è intervenuta condanna, sussistono altre deduzioni specifiche sul punto delle decisioni relative al momento di conclusione delle condotte.

3.1 – 3.2 I ricorsi di M. e Z., che possono essere trattati insieme stante la rilevata omogeneità dei contenuti, sono infondati.

Essi in realtà ripropongono le articolate censure di merito contenute nei motivi d’appello, volte alla ricostruzione alternativa del rapporto tra questi ricorrenti e D.D. in termini di conoscenza pluriennale sorta prima tra D.D. e la M. e quindi anche con Z. – divenuto convivente della donna – con rapporti e incontri extra lavorativi per ragioni amicali e lavorativi per le esigenze organizzative dell’imprenditore Z., senza alcuna regalia o prestazione diverse da quelli consuetudinarie in contesti del genere.

Ma la Corte distrettuale ha autonomamente rivalutato la complessiva impostazione difensiva (pag. 27, in relazione anche a pag. 23), condividendo la lettura probatoria del Tribunale (pag. 13-14), che già aveva evidenziato il dato probatorio emergente dalle dichiarazioni dei coimputati BR., BE. e R. (richiamate espressamente anche dalla Corte d’appello), commentandole nel senso di conferma dell’uso di attenzioni nei confronti anche dei funzionari e appartenenti in genere alla Questura di Bergamo al di fuori dell’usualità e, quindi, non spiegabili con il mero rapporto amicale del duo D.D. – M. e del trio D.D. – M. – Z., in un contesto complessivo nel quale, come comprovato dalle anomale modalità della frequentazione dell’ufficio stranieri da parte della M. (tali da sollecitare rimostranze del personale, quindi – osservavano i giudice del merito – caratterizzato da modalità affatto diverse da quelle proprie della invece mera diligenza generalizzata del D.D., propugnata dalle difese di tale coimputato e in definitiva anche di questi ricorrenti), risultava confermato un rapporto del D.D. privilegiato e non adeguato all’imparzialità nell’esercizio della funzione, a fronte del quale le "offerte" dei pranzi pubblici e di occasioni private con la presenza di compiacenti ragazze, disponibili a contatti fisici, costituiva "retribuzione" nell’accezione tipica per il reato di corruzione impropria per o favori ricevuti; favori "confessati" dal D.D., con una ritenuta autoreferenziale qualificazione giuridica della propria attività verso la coppia (p. 27 sent. appello).

Ora, a fronte di una duplice conforme lettura del materiale probatorio da parte dei Giudici del merito, come detto la Corte d’appello avendo rinnovato in modo autonomo tale apprezzamento in relazione all’essenza delle censure difensive, non compete a questa Corte la scelta della ricostruzione ritenuta in ipotesi più adeguata tra quelle possibili, e, in particolare, tra quella deliberata dai Giudici del merito e quella prospettata dalla difesa (esemplare la questione sull’interpretazione del termine "favori" utilizzato da D. D. nella narrazione di R.), al giudice di legittimità competendo solo la verifica che l’apprezzamento di merito sia stato sorretto da motivazione non apparente e non incongrua ai dati probatori richiamati, complessivamente non silente alle deduzioni difensive autonomamente determinanti, immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà soli rilevanti ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e il che è nella fattispecie.

3.3 Il ricorso di D.D. è infondato.

La Corte distrettuale ha espressamente argomentato su tutti i tre aspetti dedotti nei motivi, con specifici apprezzamenti di merito sorretti da motivazione non apparente ed immune dai soli vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che rilevano in questa sede di legittimità (del resto dedotti in termini sostanzialmente generici, nel ricorso). In definitiva l’impugnazione è volta ad ottenere una non consentita rivalutazione nel merito del materiale probatorio acquisito al processo.

3.4 Il ricorso di B. è infondato.

Quanto al primo motivo, la Corte distrettuale ha specificamente argomentato che la contestazione in fatto rivolta a questo imputato, in ordine al delitto di corruzione, era limitata a condotte risultate non provate. La Corte ha anche spiegato che le dichiarazioni accusatorie dell’attendibile R. erano state confermate dalla teste A. (richiamando le affermazioni di questa pertinenti al punto) e perchè B. era informato dell’attività di prostituzione in corso, da lui favorita per l’inosservanza degli obblighi che gli competevano ai sensi dell’art. 55 c.p.p., norma che, lungi dall’avere solo rilievo disciplinare, attribuisce all’agente e all’ufficiale di polizia giudiziaria specifici obblighi di intervento, anche quando non comandati in specifico servizio (Sez. 6, sent. 42630/2009).

Il secondo motivo è diverso da quelli consentiti prospettando una censura di merito, a fronte di specifica motivazione della Corte distrettuale sul punto.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

3.5 Gli articolati e pur stimolanti motivi del ricorso proposto in favore di BR. sono infondati.

Vi è una premessa in fatto che – per il vero palese in atti – rende non rilevanti al caso la maggior parte delle pur interessanti deduzioni teoriche proposte dal difensore. Ed invero: le condotte ascritte al BR. si sono svolte nella provincia di Bergamo;

questo imputato risulta essere stato all’epoca comandante della polizia stradale della sezione provinciale di Bergamo; la polizia stradale è specialità della polizia di Stato che "oltre a svolgere le funzioni tipiche che le derivano dalle norme ordinamentali della Polizia di Stato, dal Codice di Procedura Penale, che disciplina l’attività ed i compiti della polizia giudiziaria, e dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza, è competente in via principale all’espletamento dei servizi di polizia stradale"; essa, in definitiva, aggiunge alle normali competenze proprie della polizia giudiziaria ordinaria quelle specifiche, anche di prevenzione e amministrative, in materia di circolazione stradale.

Risulta da tali elementi l’insussistenza del fatto "assenza di competenza funzionale e territoriale", che appunto costituisce la premessa necessaria delle deduzioni difensive sull’inapplicabilità dell’art. 40 c.p., comma 2 e sulla non configurabilità del delitto di corruzione (secondo motivo). Del resto, sul punto, il Tribunale aveva espressamente richiamato le ragioni indicate dal R. per il trattamento preferenziale del BR., connesse proprio alla sua funzione ed alla sua competenza speciale, in quel territorio (pag. 30 sent. Trib.).

Correttamente, allora, entrambi i Giudici del merito hanno fondato la loro decisione sulla piena applicabilità, nella specie, dei principi di diritto insegnati per gli ufficiali di polizia giudiziaria, quali appartenenti alla polizia di Stato, in servizio permanente (Sez. 6, sent. 42639/2009; Sez. 1, sent. 11709/2005; Sez. 2, sent. 38735/2004;

Sez.l, sent. 21730/2001).

Quanto alle due diverse deduzioni ulteriori, quella relativa alla non configurabilità della clausola di equivalenza è manifestamente infondata laddove pare sovrapporre l’evento prostituzione alla condotta di favoreggiamento propria dell’imputato; quella sull’asserita contraddittorìetà tra l’assoluzione dal concorso nello sfruttamento e la condanna per l’agevolazione (appunto attraverso il meccanismo di attribuzione ex art. 40 c.p., comma 2) è da un lato infondata (la Corte di merito ha chiarito di aver qui ritenuto insussistente alcuna partecipazione del BR. a profitti provenienti dalla prostituzione, tanto più sotto il profilo del dolo specifico) e, dall’altro, non determinante, posto che la contraddizione logico/sistematica evidenziata dalla difesa ben potrebbe risolversi nel senso di un’erronea applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2 e L. n. 57 del 1958, art. 3, quanto allo sfruttamento delle ragazze da parte del R., non rilevante in assenza di impugnazione della parte pubblica.

Il terzo motivo, a fronte di specifica motivazione della Corte distrettuale sul punto devolutole (pag. 37), che non illogicamente ha valorizzato la qualifica direttiva e la permanenza della condotta, è diverso da quelli consentiti, proponendo in realtà censure di merito volte a ottenere un diverso apprezzamento, precluso in questa sede di legittimità. 3.6 Il ricorso di T. è infondato.

La Corte distrettuale ha specificamente argomentato sui punti dedotti nell’articolato motivo, espressamente confrontandosi con le deduzioni difensive nell’atto di appello (sostanzialmente riproposte nel ricorso), in particolare sulle ragioni dell’attendibilità del R. sotto il profilo intrinseco ed estrinseco, sul ruolo e sulle dichiarazioni della H. (che laddove ha ricordato la sollecitazione di R. ad "essere gentile" con questo ricorrente e il mancato divieto da parte del T. di uscire con altri uomini, sono state ritenute, certo senza manifesta illogicità rispetto al dato come richiamato, da un lato riscontro alle dichiarazioni di R. e dall’altro sintomatiche della consapevolezza dell’attività svolta dalla ragazza e della disponibilità a lasciarle proseguire il mercimonio di sè nell’ambito dei locali del R.) e su previo avviso e partecipazione quanto ai controlli di polizia. Il ricorso quindi in definitiva è volto a contestare nel merito tale articolato apprezzamento, motivato in modo non apparente ed immune dai soli vizi qui rilevanti, di manifesta illogicità e contraddittorietà, non incongruamente al contenuto delle prove richiamate e descritte, apprezzamento che ha negato la riferibilità del rapporto T. – H. alla mera effettiva relazione sentimentale (ciò quanto al delitto di corruzione) spiegando altresì le ragioni dell’assoluzione dal delitto di sfruttamento rispetto alla condanna per il favoreggiamento.

3.7 Il ricorso di G. è fondato nei termini che seguono.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto diverso da quelli consentiti proponendo censure di merito, avendo la Corte distrettuale motivato in modo non apparente nè manifestamente illogico o contraddittorio la propria deliberazione sul punto, sicchè in definitiva il motivo si risolve nella mera sollecitazione a diversa decisione.

Il terzo motivo è fondato. Il Tribunale aveva determinato la pena finale in 1 anno 8 mesi di reclusione e 700 Euro di multa, muovendo da una pena base di 2 anni e 700 Euro, riducendo per le attenuanti generiche a un anno cinque mesi 15 giorni e 500 Euro, aumentando per la complessiva continuazione alla pena finale indicata. La Corte d’appello, con l’assoluzione da un reato ed un parziale proscioglimento per prescrizione, è pervenuta alla pena finale di un anno otto mesi di reclusione (quindi la stessa pena detentiva del primo grado) e 3 50 Euro di multa, in particolare nell’ultimo passaggio del percorso logico-sistematico di determinazione aumentando da un anno 4 mesi e 200 Euro alla pena finale, così in effetti aumentando di un mese e quindici giorni la pena detentiva inflitta a titolo di continuazione, in assenza di impugnazione della parte pubblica sul punto. La violazione di legge, per mancato rispetto del divieto di riforma peggiorativa ai sensi dell’art. 597 c.p.p., commi 3 e 4, andrà tenuta presente dalla Corte del rinvio (la necessità di rideterminare comunque l’aumento per la continuazione in relazione al parziale proscioglimento per prescrizione impone infatti il complessivo rinvio, non sussistendo la possibilità di un intervento ex art. 620 c.p.p., lett. L) che, nell’operare l’ulteriore riduzione per la sopravvenuta parziale prescrizione, curerà che la pena finale non sia superiore a quella inflitta con la sentenza di primo grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli episodi di corruzione come rispettivamente ascritti agli imputati M., Z., D.D., BR., T. e G. fino al 4.4.2004 perchè estinti per prescrizione, nonchè, nei confronti del G., anche in relazione al trattamento sanzionatorio, e rinvia per la rideterminazìone delle pene ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati.

Rigetta il ricorso di B., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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