Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-05-2012, n. 8655 Diritti e doveri del lavoratore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Venezia, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva in parte la domanda degli aventi causa di Br.Ma., ex dipendente della società Fincantieri deceduto per mesotelioma pleurico, avente ad oggetto il risarcimento jure hereditatis del danno biologico e morale sofferto in vita dal de cuius e tanto sul presupposto che il decesso era ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro che non aveva rispettato le prescrizioni generali di cui all’art. 2087 c.c., e quelle specifiche poste dalla legislazione speciale. Con la predetta sentenza, inoltre, la Corte territoriale respingeva la domanda di manleva avanzata dalla società Fincantieri nei confronti terza chiamata Assicurazioni Generali S.p.A..

La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede ed in via di estrema sintesi, rilevava, innanzitutto, che il giudice di primo grado aveva fondato la responsabilità della società, non sulla mancata eliminazione dell’amianto, bensì sulla omessa adozione di tutte le misure all’epoca dei fatti conosciute per rispettare la legge antinfortunistica. Precisava, poi, la Corte territoriale che una volta assodata, alla stregua dei rilievi di cui alla sentenza di primo grado, la consapevolezza fin dagli inizi del 1900 della dannosità per la salute umana dell’amianto e la sua correlazione con patologie tumorali non poteva ritenersi esente da responsabilità il datore di lavoro che non aveva approntato le tutele in chiave preventiva conosciute all’epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica (mesotelioma) non era compiutamente correlata all’amianto perchè, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne derivava.

Conseguentemente, rilevava la Corte di Appello, atteso che nella specie non risultava rispettata da parte datoriale la normativa – specificamente individuata – esistente all’epoca in termini di prevenzione rispetto alla patologia che aveva determinato la morte di Br.Ma. ne derivava la responsabilità della società anche se tali misure preventive avrebbero potuto solo ridurre il rischio di contrarre la patologia rivelatasi letale. Quanto alla criticata decisione del giudice di primo grado di aderire ad una teoria scientifica contrastante con le conclusioni del CTU, la Corte del merito, assumeva che detto giudice aveva adeguatamente motivato, nell’affrontare la teoria delle esposizioni successive o multistrato, la valutazione delle conclusioni del CTU e, quindi, ben poteva dalla stesse discostarsene. Rispetto, poi, alla riproposta questione del mancato superamento dei c.d. valori limiti la Corte territoriale, osservava che prima del D.Lgs. n. 277 del 1991 detti valori servivano per il pagamento del premio supplementare per asbestosi, ma non a far scattare l’obbligo di ottemperare a misure generali di prevenzione che riguardavano qualsiasi lavorazione a rischio polveri e, nella specie, era risultato che non erano state adottate nemmeno quelle misure minime richieste dalla legislazione all’epoca vigente.

Il rigetto della domanda di manleva, proposta dalla società Fincantirei nei confronti della società Assicurazioni Generali, veniva, poi, confermato dalla Corte veneziana sul rilievo che la polizza – ed anche il relativo rinnovo- era riferibile solo a malattie manifestatesi successivamente alla stipula dell’originario contratto e, comunque, in conseguenza di fatti avvenuti durante il periodo di assicurazione. Pertanto, trattandosi di malattia insorta antecedentemente alla stipula della polizza e per fatti avvenuti prima, la domanda in parola non poteva essere accolta.

La Corte territoriale, infine, relativamente al quantum del risarcimento, rilevato che bisognava tener conto della durata della malattia sofferta dal de cuius e di un dato rapportabile a tutte le voci del danno non patrimoniale considerate unitariamente, riteneva equo di valutare come importo unitario di liquidazione del complessivo danno non patrimoniale la somma di Euro 4.500,00 al mese in considerazione della estrema gravita e della afflittività della patologia e della consapevolezza del malato della ineludibile infausta conclusione della stessa.

Avverso questa sentenza la società Fincantieri ricorre in cassazione sulla base di otto motivi.

Resistono con controricorso gli aventi causa di Br.Ma. i quali impugnano in via incidentale con un unica censura la predetta sentenza. Si oppone all’impugnazione incidentale la Società Fincantieri con controricorso. La società Assicurazioni Generali non svolge attività difensiva.

La società Fincantieri deposita memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente va respinta l’eccezione, sollevata dalla società Fincantieri, d’improcedibilità/inammissibilità del controricorso per non essere stato depositato nella cancelleria e, comunque nel termine perentorio di 20 giorni dall’avvenuta notifica (avvenuta il 23.12.2010) prescritto dall’art. 369 c.p.c..

Invero dal certificato a firma del Direttore della Cancelleria civile di questa Corte – Ufficio Depositi- agli atti e dal timbro del deposito apposto a margine del controricorso si evince che questo è stato depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 11 gennaio 2011 e, quindi, nel termine di cui al richiamato art. 369 c.p.c..

In ricorsi vanno riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la estinzione e/o la sospensione del giudizio in ragione della sovrapposizione tra azione civile ed azione penale. Evidenzia al riguardo la società che, successivamente alla introduzione della presente causa civile, gli attuali resistenti hanno presentato al Tribunale penale di Venezia una costituzione di parte civile nei confronti di O. M., R.C.M., G.R., C. A., Bo.En., A.C. e Bi.Ma. che sono stati identificati nella sentenza del Tribunale ordinario di Venezia del 22 luglio 2008 per i rispettivi ruoli rivestiti, nei vari periodi, nell’ambito di essa società e che nel detto procedimento penale veniva citato anche il responsabile civile della Fincantieri che rimaneva però contumace. Il procedimento penale,prosegue la società ricorrente, è arrivato alla declaratoria di condanna dei predetti imputati al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili liquidando altresì un provvisionale relativa "tuttavia al diverso danno jure proprio", ed avverso la suddetta sentenza è stato proposto appello.

Tanto comporta, secondo la società ricorrente, che esistendo, tra le domande proposte dagli eredi di Br.Ma. nel presente processo e-quale parte civile- nell’ambito del processo penale, identità di petitum e causa petendi, trova applicazione l’art. 75 c.p.p., che impedisce il proseguimento del processo civile, ovvero l’art. 211 disp. att. c.p.p., che impone la sospensione del processo civile fino alla definizione del processo penale, facendo, nel presente procedimento stato la sentenza penale di condanna o di assoluzione degli imputati ex dirigenti ed amministratori della Fincantieri ai sensi degli artt. 651 e 652 c.p.p.. La società deposita a conforto delle su esposte osservazioni: dichiarazione di costituzione di parte civile degli attori datata 24 maggio 2005;

sentenza del Tribunale penale di Venezia n. 1196/2008; lettera 30.7.2008 e copia contabile bancaria attestante il pagamento della provvisionale del danno; atto di appello contenente impugnazione da parte di tutti gli imputati della sentenza n. 1196/2008; estratti ceni Dirigenti industria. La deduzione non è accoglibile.

Invero la società ricorrente fonda il proprio assunto -svolto per la prima volta solo in questa sede di legittimità- su documenti atti a comprovare la costituzione di parte civile degli attuali resistenti nel processo penale a carico degli indicati imputati (di cui prospetta per la carica di Dirigenti dagli stessi rivestita nel tempo la coincidenza con essa ricorrente), la pendenza del procedimento penale, l’identità del petitum e della causa pretendi dell’azione civile esercitata in sede penale con quella nella presente sede, ecc. – che devono ritenersi, in assenza di diversa specificazione, prodotti per la prima volta in sede di ricorso per cassazione e come tali vanno considerati inammissibili.

Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte non è consentito produrre nel giudizio di Cassazione documenti che non riguardino l’ammissibilità del ricorso o la nullità in senso formale della sentenza impugnata e, quindi, neppure quei provvedimenti del giudice penale in data posteriore a tale sentenza, intesi a corroborare ex post, con l’esito di un giudizio penale o di una fase o di un grado dello stesso, tanto una censura attinente alla mancata sospensione del giudizio civile di merito, quanto una censura attinente ad un preteso error in iudicando della decisione che lo abbia definito (V. per tutte Cass. 15 giugno 1981 n. 3894, 5 gennaio 1980 n. 38 cui adde Cass. 21 aprile 1975 n. 1524 secondo cui la sospensione necessaria del giudizio per la pendenza di processo penale, di cui all’art. 295 c.p.c. e art. 3 c.p.p., non può essere invocata e disposta in sede di legittimità, ove la dimostrazione della pendenza del processo penale debba essere fornita con la produzione di nuovi documenti, essendo questa preclusa dall’art. 372 c.p.c., salvo che per i documenti riguardanti la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso o del controricorso). Ciò naturalmente vale anche in ordine alla prospettazione concernente la pretesa estinzione del presente giudizio.

Con il secondo motivo del ricorso principale, denunciandosi illogicità ed omissioni nella motivazione, si assume che la Corte del merito nell’aderire alla teoria della dose-indipendenza non ha tenuto conto dei chiarimenti forniti dal CTU su tale punto secondo il quale la vera prevenzione del mesotelioma può passare solo attraverso l’abolizione dell’amianto. Richiama la società ricorrente, altresì, la sentenza di questa Corte n. 20142 del 2010 e la circostanza secondo la quale la Corte del merito avrebbe dedotto la rilevanza della dose dalla legislazione in materia di benefici contributivi che subordina i medesimi ad una esposizione decennale.

Con la terza censura del ricorso principale, allegandosi violazione dell’art. 421 c.p.c., art. 420 c.p.c., comma 6, art. 115 c.p.c. e art. 97 disp. att. c.p.c., si assume che la Corte di appello ha errato nel non rilevare che l’autonomia del giudice di dissentire rispetto al parere del CTU è limitata, per la salvaguardia del principio del contraddittorio, alla cultura medica espressa dal CTU o dalle parti.

Con il quarto motivo del ricorso principale, prospettandosi violazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 2043, 2087 c.c., nonchè artt. 40 e 41 c.p.c., si critica la sentenza impugnata laddove "fa capire che la responsabilità del datore di lavoro deriverebbe dalla semplice omissione di misura di cautela che avrebbe potuto ridurre il rischio" senza quantificare la riduzione del rischio come se la responsabilità ex art. 2087 c.c., fosse di natura oggettiva.

Con la quinta critica del ricorso principale, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul nesso di causalità e tanto sul presupposto che, come precisato dal CTU in sede di chiarimenti, l’abbattimento del rischio per il mesotelioma non è importante e, quindi, non rileva ai fini della sussistenza del nesso di causalità in mancanza anche di una indagine probabilistica. Con il sesto motivo del ricorso principale, si allega omessa motivazione in relazione all’asserita violazione di cautele rivolte alla riduzione della polverosità.

Con la settima censura del ricorso principale, deducendosi violazione del D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 21, 4, 9, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 387, artt. 2087, 1218, 2043, 125 e 1176 c.c., si assume l’erroneità della sentenza impugnata in relazione all’affermazione della colpa a prescindere dai limiti soglia ed alla non prevedibilità del rischio mesotelioma fino a tutto il 1960.

Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate.

Preliminarmente occorre rilevare che costituisce principio di diritto nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice del merito il quale può legittimamente disattenderle semprechè fornisca, in ogni caso, una adeguata motivazione del suo convincimento, rispondente ad una attenta valutazione di tutti gli elementi concreti sottoposti alla sua delibazione, indicando i criteri logici e giuridici che hanno determinato il suo giudizio (V. per tutte Cass. 6 luglio 2007 n. 15263, Cass. 17 dicembre 2010 n. 25569 e Cass. 3 marzo 2011 n. 5148) Nella specie la motivazione della sentenza della Corte di Appello, che condivide le osservazioni critiche svolte dal giudice di primo grado alla tesi scientifica sostenuta dall’ausiliare, è congruamente e logicamente argomentata risultando indicati gli elementi di cui il Collegio si è avvalso per ritenere non condivisibili alcuni degli argomenti sui quali il consulente si è basato.

Del resto, e a confutazione di quanto sostenuto dalla società ricorrente secondo la quale il giudice di appello disattendendo le conclusioni del CTU avrebbe violato il principio del contraddittorio, mette conto annotare che, nella specie, la Corte del merito, nel dissentire da alcune teorie scientifiche esposte dal CTU, non elabora per così dire una terza via, ma quella alternativa le cui basì scientifiche sono tratte proprio, a contrario, dalle osservazioni tecniche dell’ausiliario e con riferimento a specifici autori della scienza medica.

D’altro canto lo stesso CTU, come ne da atto il Collegio di appello, non esclude del tutto la validità è l’incidenza, nel caso di specie, della teoria c.d. dose-indipendente. La Corte del merito, infatti, nel riportare quanto osservato sul punto dal giudice di primo grado, sottolinea che il CTU precisa che idonee misure preventive di tipo ambientale (aspiratori e separazione delle lavorazioni) e di tipo personale (dispositivi di protezione) sicuramente importanti per l’abbattimento del rischio soprattutto per le patologie fortemente dose dipendenti quali asbestosi e tumore polmonare, sono di qualche utilità anche per evitare l’insorgenza del mesotelioma.

Nè può in questa sede valutarsi la decisività dei chiarimenti del CTU essendosi la società ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, limitata a riportare di tali chiarimenti solo alcuni stralci che non consentono, come tali, un pieno sindacato di legittimità.

Il richiamo, poi, alla sentenza della Cassazione n. 20142 del 2010 non è dirimente in quanto in tale occasione questa Corte ha sì confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dagli eredi di un lavoratore, già addetto alla lavorazione dell’amianto, deceduto per mesotelioma ed esposto al rischio tra il 1953 ed il 1962, ma tanto in ragione esclusivamente della ritenuta congruità della motivazione posta a supporto del giudizio secondo il quale il rispetto delle limitate prescrizioni cautelative praticabili all’epoca dello svolgimento dell’attività lavorativa, non avrebbe impedito l’insorgere del mesotelioma in quanto malattia dose-dipendente.

Il riferimento, inoltre, contenuto nella sentenza di appello, alla normativa concernente i benefici contributivi è meramente rafforzativo dell’argomentazione fondamentale posta a base della motivazione sul punto in questione, sicchè lo stesso non riveste un ruolo decisivo ai fini della valutazione della congruità della motivazione della sentenza impugnata.

Neppure può fondatamente assumersi, contrariamente a quanto prospettato dalla società ricorrente, che la Corte del merito abbia fondato la propria decisione sull’affermazione, ex art. 2087 c.c., di una responsabilità oggettiva del datore di lavoro.

La Corte territoriale, invero, sul punto asserisce, con motivazione coerente ed adeguata, che una volta assodato che fin dagli inizi del 1900 vi era la consapevolezza della dannosità per la salute umana dell’amianto e la sua correlazione con le patologie tumorali non può ritenersi immune da responsabilità il datore di lavoro che non appronti tutte le cautele in chiave preventiva conosciute all’epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica (mesotelioma) non era stata ancora compiutamente correlata all’amianto perchè, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne è derivata.

Su tale premessa la Corte del merito accertato che nella specie, come asserito dal giudice di primo grado, l’ambiente di lavoro in cui il B. aveva svolto la propria attività non aveva i caratteri della salubrità necessari per garantire una piena tutela della salute ed accertato il mancato rispetto da parte datoriale della normativa -specificamente individuata- esistente all’epoca in termini di prevenzione rispetto alla patologia che aveva determinato la morte di Br.Ma., ritiene, anche in considerazione di quanto asserito dal CTU secondo il quale – come visto in precedenza- idonee misure preventive di tipo ambientale (aspiratori e separazione delle lavorazioni) e di tipo personale (dispositivi di protezione) sono di qualche utilità anche per evitare l’insorgenza del mesotelioma, la responsabilità della società Fincantieri.

Tanto da conto non solo della adeguatezza e coerenza della motivazione della sentenza impugnata, ma anche della sua correttezza giuridica. E’, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte l’affermazione del principio secondo il quale la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio (Cass. 1 febbraio 2008 n. 2491-dove sulla base del richiamato principio questa Corte ha confermato la sentenza della Corte territoriale che, con completa e coerente motivazione, aveva affermato la responsabilità, ex art. 2087 c.c., del datore di lavoro, esattamente considerando come noto al tempo dei fatti di causa – 1975/1995 – il rischio da inalazione di polveri di amianto e rilevando l’insufficienza di un torrino d’aspirazione predisposto dall’imprenditore nonchè ravvisando il danno biologico nel semplice pericolo cagionato da un’alterazione anatomica pur non avente attuale incidenza funzionale"; Cass. 17 luglio 2011 n.15156 e, sostanzialmente nello stesso senso, Cass. 14 gennaio 2005 n. 644).

Nè può non rilevarsi che tutte le altre diffuse argomentazioni della società ricorrente tendono ad ottenere da questa Corte di legittimità una nuova, impossibile valutazione delle prove e dei fatti di causa.

Con l’ottavo motivo del ricorso principale, allegandosi violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione alle all’interpretazione del contratto di assicurazione nonchè, sullo stesso punto, vizio di motivazione, si deduce, innanzitutto, che non è logicamente compatibile con l’affermazione relativa alla dose dipendenza la motivazione della sentenza impugnata secondo la quale la polizza sarebbe inoperante avendo preso effetti diversi anni dopo l’inizio dell’esposizione del B.. Si assume poi, che l’interpretazione fornita dalla Corte del merito della polizza è contraddetto dalla lettera dell’11 maggio 1992 che genericamente fa riferimento a tutti i danni e le malattie verificatesì antecedentemente alla riforma della polizza, senza limitazioni al periodo successivo al 1987.

La censura non è scrutinabile.

Invero la società ricorrente pur deducendo che l’interpretazione fornita dalla Corte del merito della polizza è contraddetta dalla lettera dell’11 maggio 1992, non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso il testo di tale missiva impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimità al riguardo.

Nè risultano riportato nel ricorso le clausole della polizza.

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso principale va rigettato.

Con il ricorso incidentale, denunciandosi violazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., si allega l’inadeguatezza del quantum liquidato dalla Corte del merito a titolo di risarcimento del danno sottolineandosi che in siffatta quantificazione non si è tenuto conto della peculiarità del caso concreto ed in particolarità della gravita delle lesioni, degli eventuali postumi permanenti, dell’età, dell’attività espletata e delle condizioni familiari e sociali del danneggiato. Si richiamano al riguardo le tabelle indicative del Tribunale di Venezia.

La censura è infondata.

La Corte del merito,infatti, procedendo, alla stregua della sentenza Sezioni Unite civili di questa Corte dell’11 novembre 2008 n. 26972, alla liquidazione del danno non patrimoniale senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, ha adottato il criterio equitativo puro (art. 1226 c.c.) – ossia svincolato da tabelle standardizzate e criteri automatici – tenendo conto in particolare della estrema gravita ed afflittività della patologia e della consapevolezza da parte del malato della ineludibile conclusione infausta della stessa.

La sentenza della Corte del merito è, quindi, corretta in diritto essendo conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice, nella liquidazione del danno, deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal punto di vista oggettivo e soggettivo ben potendo legittimamente far ricorso al richiamato criterio equitativo puro (cfr. per tutte Cass. 21 aprile 2011 n. 9238 e Cass. 14 settembre 2010 n. 19517).

La sostanziale soccombenza della società Fincantieri giustifica la sua condanna al pagamento in favore dei resistenti delle spese del giudizio di legittimità.

Nulla deve disporsi in relazione alla società Assicurazioni Generali non avendo questa società svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e condanna la società Fincantieri al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorario oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Nulla per le spese nei confronti della società Assicurazioni Generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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