Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-10-2011) 18-11-2011, n. 42701

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. M.M. è stata condannata alla pena di giustizia per il delitto di calunnia in danno di C.D. – nominato amministratore giudiziario della ditta Mirto Maria in una procedura afferente misura di prevenzione – in relazione alla denuncia presentata il 3.8.2004 nella quale, secondo l’imputazione, lo accusava tra l’altro, sapendolo innocente, di essersi appropriato dei proventi di alcuni terreni dissequestrati e della documentazione contabile. La sentenza 29.2.2008 del Tribunale di Palermo/Monreale è stata infatti confermata l’8.10.2010 limitatamente a tali aspetti dalla Corte d’appello di Palermo (che ha invece prosciolto la M. dall’accusa al C. di aver deteriorato un fondo di sua proprietà).

2. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputata il difensore fiduciario, con unico articolato motivo deducendo vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 368 c.p., perchè entrambi i Giudici del merito avrebbero argomentato dell’innocenza del C. rispetto ai reati di cui era stato accusato, ma non pure della falsità intenzionale dell’incolpazione.

In particolare (pag. 5 ric.) "il Giudice non avrebbe dovuto verificare la consapevolezza in capo all’imputata dell’irrilevanza penale della condotta da questa addebitata al C., ma piuttosto l’eventuale non veridicità delle affermazioni contenute nella denuncia e, ove tali affermazioni fossero risultate false, la prova della consapevolezza dell’imputata di tale falsità". Invece, il Tribunale si sarebbe limitato ad argomentare dell’intenzione del C. di restituire i libri contabili oggetto di reiterate richieste dell’imputata e delle ragioni del diniego di restituzione delle rendite, mentre la Corte distrettuale avrebbe argomentato solo della consapevolezza dell’irrilevanza penale dei fatti denunciati, senza verificare la veridicità dei fatti narrati. In particolare, secondo il ricorrente il fax richiamato dalla Corte non smentirebbe l’assunto del motivo del ritardo nella consegna dei libri contabili, mentre il "fitto carteggio" intercorso quanto ai proventi dei fondi dissequestrati atterrebbe ancora alla giustificazione del C., senza inficiare la circostanza che la M. ritenesse illegittimo il comportamento del C. e si fosse lecitamente determinata a rappresentare l’accaduto all’autorità di polizia giudiziaria, sul punto in particolare la Corte d’appello avendo travisato il "tono sarcastico" della missiva 23 luglio 2004. 3. Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente rilevato che l’originario atto di appello, che delimitava il devoluto alla cognizione della Corte distrettuale, era composto da cinque motivi (gli ultimi due sul trattamento sanzionatorio). Il primo ed il secondo così indicavano nell’iniziale grassetto il punto della decisione "attaccato": Ha errato il Giudice a ritenere che l’imputata fosse consapevole dell’innocenza "del dr. C. circa la denunciata appropriazione indebita dei libri contabili dell’impresà (il primo motivo, pag. 2 atto di impugnazione,), "della parte civile circa l’indebita appropriazione dei proventi ricavati dalla coltivazione dei fondi agricoli dissequestrati" (il secondo motivo, pag. 5). Il terzo motivo, invece, contestava l’insussistenza del reato di calunnia in relazione al danneggiamento del fondo, affermando inesistente una tale denuncia (come poi in effetti giudicato dalla Corte d’appello).

I primi due motivi, poi, contestavano che l’imputata avesse avuto chiarimenti tempestivi sui due punti; il primo, deducendo in particolare in modo anche contraddittorio (pag. 4) prima dell’effettiva conoscenza dell’intenzione/spiegazione di restituire (del resto consapevolezza espressamente argomentata dal Tribunale con richiamo a pertinente documento non contestato) al momento della denuncia, poi della mancanza di prova di una tale conoscenza; il secondo, di una genuina convinzione di esser stata privata del diritto alla corresponsione dei proventi (fg.7), contestando la configurabilità di ogni malafede della donna ed evidenziando la prospettazione della convinzione di esercitare un proprio diritto.

Sostiene ora il ricorso, invece, che la Corte distrettuale, e prima il Tribunale, avrebbero argomentato solo dell’innocenza dell’incolpato, rispetto alle condotte attribuitegli dalla donna, sostanzialmente ignorando la "lettura dei fatti" che la donna legittimamente poteva aver fatto.

L’assunto è però infondato.

La Corte distrettuale, insieme con il Tribunale, ha ricostruito i fatti – relativi ai rapporti intercorsi tra la M. e il C. proprio in relazione ai documenti aziendali ed ai frutti – spiegando non già l’"innocenza" del C. ma la sussistenza di ragioni oggettive che avevano impedito la restituzione dei documenti dissequestrati, con l’elusione da parte della donna della partecipazione all’incontro fissato pochissimi giorni prima della denuncia per la loro restituzione, e che rendevano inaccoglibile la richiesta di ottenere i proventi del fondo. Ragioni non pretestuose, ed anzi fondate, secondo i Giudici di merito, delle quali la donna era espressamente avvertita, e che tuttavia aveva del tutto taciuto nella propria denuncia, costruita in termini tali da rendere inevitabili gli accertamenti cui il C. era stato sottoposto.

In definitiva, i Giudici del merito hanno evidenziato la consapevole ed oggettiva maliziosità della rappresentazione dei fatti, consapevolmente silente in ordine agli aspetti problematici del tutto omessi e formulata invece in termini di apparente indiscussa responsabilità. E proprio tale ritenuta maliziosità, lungi dall’attenere agli aspetti di innocenza del C., è stata giudicata – certo non in termini di manifesta illogicità o contraddittorietà, sotto il profilo della motivazione, e di illegittimità, quanto all’applicazione dell’art. 368 c.p. (arg. ex Sez. 6, sent. 16161/2011 e 3489/2000) – anche integrare la consapevolezza dell’innocenza di colui del quale si chiedeva la punizione. Del resto, a fronte di elementi descritti dalla Corte quale il non accettare l’appuntamento concordato per la consegna dei documenti immediatamente prima della presentazione della denuncia per la loro mancata riconsegna, ovvero il contenuto del fax 23.7.2004 (che la difesa indica come manifestazione di sarcasmo e non riconoscimento delle ragioni altrui), le prospettazioni in ricorso si risolvono in generiche critiche di merito volte, in definitiva, ad affermare apoditticamente la sussistenza di buona fede sulle proprie ragioni, in definitiva – tenuto conto del contenuto degli atti di appello e delle motivazioni dei due Giudici del merito – questione di mero fatto.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalla costituita e presente parte civile, liquidate come da dispositivo tenuto conto della tariffa forense e dell’attività prestata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.000 oltre accessori, in favore della parte civile c.D..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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