Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-05-2012, n. 8648 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/5/01 il giudice del lavoro del Tribunale di Caltagirone rigettò la domanda, diretta alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni consequenziali, proposta T.G. nei confronti del Comune di Palagonia, presso il quale il medesimo aveva svolto le mansioni di Dirigente dell’ufficio tecnico comunale fino al momento del licenziamento intimatogli il 15/3/99, e per l’effetto condannò il ricorrente al pagamento dell’importo indebitamente ricevuto a titolo di retribuzione per le giornate lavorative in cui non aveva reso la prestazione.

Tale decisione fu confermata con sentenza del 24/1 – 28/3/02 dalla Corte d’appello di Catania che era stata investita dall’impugnazione del T..

A seguito di ricorso per cassazione di quest’ultimo la Corte di legittimità, con sentenza n. 250/2005 dell’11/11/04 – 7/1/05, accolse solo il primo motivo dell’impugnazione, col quale si era posto in dubbio la ritenuta tempestività della contestazione disciplinare di cui alla nota n. 30550 del 9/12/1998, e cassò la sentenza esclusivamente in relazione a tale motivo, rinviando la causa, per il prosieguo del giudizio, alla Corte d’appello di Messina, affinchè riesaminasse la questione della sussistenza della giusta causa del licenziamento con riferimento alla sola contestazione o alle contestazioni di addebito che sarebbero risultate tempestivamente formulate.

Riassunto il giudizio da parte del T., la Corte d’appello di Messina -sezione lavoro, con decisione del 2/2 – 17/3/10, ha respinto l’impugnazione di quest’ultimo avverso la sentenza del Tribunale di Caltagirone dopo aver accertato sia la tempestività delle contestazioni disciplinari n. 30550 del 9/12/98 e n. 31640 del 22/12/98, sia la legittimità del licenziamento. A quest’ultimo riguardo la Corte territoriale ha rilevato che era stata comprovata l’assenza dal lavoro del T. nei giorni in cui egli risultava figurare presente in servizio o in missione, come rispettivamente specificato nelle note di contestazione n. 31640 e n. 30550;

inoltre, era stato appurato che in quelle circostanze il ricorrente aveva contemporaneamente svolto attività lavorativa in favore della società privata Manutengas, percependo indebitamente dall’amministrazione comunale la retribuzione non dovutagli e ponendo in essere, in tal modo, un comportamento fraudolento di indubbia gravità per la posizione apicale dal medesimo ricoperta all’interno dell’amministrazione comunale.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il T., il quale affida l’impugnazione a quattro motivi di censura.

Resiste con controricorso il Comune di Palagonia che deposita anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Col primo motivo è dedotta l’insufficiente e carente motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè l’illogicità manifesta della decisione impugnata. Si censura, in particolare, la parte della decisione con la quale si è ritenuto che la contestazione disciplinare n. 30550 del 9/12/98 fosse da considerare tempestiva, avendo l’amministrazione comunale di Palagonia potuto avviare la relativa procedura solo a seguito dell’acquisizione dei verbali della riunione del 25/10/96 della Manutengas ai quali aveva partecipato il T. e dai quali era stato possibile evincere l’orario della sua presenza a quella riunione che portava ad escludere che egli potesse figurare, nonostante le formali apparenze, in missione. Sostiene il ricorrente che, in realtà, quei verbali, dai quali l’amministrazione comunale aveva tratto cognizione del fatto che egli non poteva essere contemporaneamente altrove in missione, erano stati protocollati presso il Comune di Palagonia solo il 21/12/98, cioè in data successiva a quella della contestazione disciplinare del 9/12/98. Ne conseguiva, secondo tale assunto difensivo, che la stessa amministrazione non poteva aver tratto spunto per l’inizio del procedimento disciplinare dal fatto certificato dai predetti verbali della Manutengas, quando era certo che sin dal 7/4/98 la stessa amministrazione aveva appreso dalla Manutengas che i verbali del 25/10/96 e del 6/11/96 erano stati sottoscritti da esso ricorrente.

Il motivo è infondato.

Invero, il nucleo centrale della "ratio decidendi" su cui riposa l’impugnata decisione è rappresentato dalla rilevata tempestività della nota di addebito del 9/12/98 rispetto a quegli atti che la resero possibile, vale a dire la prima verifica interna al comune, risalente al mese di ottobre del 1998, sull’esistenza dell’annotazione della "missione" nell’elenco del personale presente in ufficio, e la successiva segnalazione del capo dell’ufficio del personale del 7/12/98 al segretario generale, inerente la riscontrata mancanza di autorizzazione della annotata missione del 25/10/96.

Inoltre, il giudice d’appello mette in rilievo anche la circostanza che fino ad allora il Comune di Palagonia aveva avuto notizia solo della presenza del T. alle riunioni svoltesi presso l’Azienda del Gas di (OMISSIS), ma senza alcuna specificazione sugli orari e sulle modalità di partecipazione del medesimo dipendente, tanto che alla specifica richiesta di invio dei predetti verbali, inoltrata nel marzo del 1998 alla predetta azienda, quest’ultima aveva risposto nel successivo mese di aprile, ma senza trasmetterli.

Evidenzia il giudicante che una tale situazione non aveva consentito all’amministrazione procedente di eseguire subito i puntuali riscontri indispensabili per l’effettuazione della specifica contestazione di assenza ingiustificata dal servizio, contestazione che presupponeva la conoscenza esatta dell’orario e della durata dell’impegno del dipendente presso la predetta azienda del gas, per cui la situazione di incompletezza documentale perdurò fino al 7/12/1998, data in cui, grazie alla relazione del capo del servizio dell’ufficio del personale, fu possibile attestare compiutamente la situazione addebitata al ricorrente.

Trattasi, in definitiva, di argomentazioni logiche ed immuni da vizi giuridici che nel loro complesso si rivelano atte a giustificare la ritenuta tempestività della contestazione in esame, l’unica che nella pregressa fase rescindente era stata ritenuta non motivata in ordine a tale criterio temporale, per cui le stesse sfuggono alle censure avanzate nel presente giudizio di legittimità. 2. Col secondo motivo si segnala la violazione ed erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2118 e 2119 c.c., L. n. 604 del 1996, artt. 1 e 3 e artt. 24 e 25 del CCNL – Dipendenti Enti Locali – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. Inoltre, si deduce la insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Con tale motivo il ricorrente censura la decisione impugnata anche nella parte in cui è stata ritenuta tempestiva la contestazione disciplinare di cui alla nota n. 31640 del 22/12/98 inerente la sua assenza dal servizio nel giorno 6/11/96, sostenendo, come per il caso di cui al primo motivo, che sin dal mese di aprile del 1998 l’amministrazione comunale era a conoscenza della sua assenza.

Aggiunge il ricorrente che il registro delle presenze dell’U.T.C., dal quale figurava la sua presenza in servizio nel giorno 6/11/96, era sempre stato a disposizione dell’amministrazione comunale, e che il permesso da lui esibito per giustificare la sua assenza in data 6/11/96, seppur non protocollato in Comune, recava, comunque, la firma del medesimo sindaco di Palagonia; inoltre, la Delib. Giunta Municipale 21 aprile 1998, n. 220,, con la quale era stato disposto il suo recesso per aver partecipato alle riunioni della Manutengas nei giorni 25/10/96 e 6/11/96, era stata annullata dal TAR di Catania, la cui decisione era stata impugnata il 10/10/98 innanzi al C.G.A.R.S. di (OMISSIS), per cui l’amministrazione comunale non poteva non essere a conoscenza da tempo dei fatti che avevano dato stura alla contestazione di cui oggi si dibatte.

Il motivo è inammissibile per la semplice ragione che la censura in esame è stata già esaminata e risolta da questa Corte nella pregressa sede rescindente con la sentenza n. 250/05 dell’1/11/04 – 7/1/05.

In tale sentenza è stato, infatti, spiegato che la censura inerente le denunziate violazioni di legge, oltre quella di cui all’art. 2697 c.c., ed il vizio di motivazione con riferimento alla contestazione disciplinare di cui alla nota n. 31640 del 22/12/1998 è inammissibile sotto un duplice aspetto: anzitutto, nella parte in cui tende a disconoscere l’effetto della ricezione da parte dell’amministrazione della comunicazione in data 16 dicembre 1998 del difensore del Comune relativa a produzioni avversarie in un procedimento amministrativo, circostanza, questa, oggetto di un accertamento di fatto logicamente motivato per quel che attiene alla contestazione del 22/12/98, posteriore alla notizia data dai difensori; in secondo luogo, perchè tende ad anticipare al periodo marzo-aprile 1998 la collocazione del momento della conoscenza da parte del Comune della partecipazione del T. ad altre attività lavorative, mentre la verifica della fondatezza dell’assunto implicava accertamenti su nuovi fatti e dati temporali non dedotti nei giudizi di merito, nei quali l’amministrazione aveva sostenuto di essere stata avvertita solo il 16 novembre 1998.

D’altronde è il medesimo ricorrente a dichiarare, nel presente ricorso, che con riferimento al permesso rilasciato dal Sindaco e prodotto in copia all’udienza del 16/12/98 davanti al C.G.A.R.S. la relativa circostanza era stata segnalata, nella prospettazione datane dalla difesa del Comune, mediante trasmissione via "fax" a firma dell’avv. Di Giovanni, datato 16/12/1998. 3. Oggetto del terzo motivo sono la denunzia di violazione ed erronea applicazione degli artt. 24 e 25 del CCNL Dipendenti Enti Locali, del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59 e L. n. 300 del 1970, art. 7, con riferimento alla L. n. 604 del 1996, artt. 1 e 3, agli artt. 2106, 2118 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., oltre che della omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 4 e n. 5.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato le norme del CCNL di riferimento nella valutazione del fatto oggetto del licenziamento, trascurando, altresì, di verificare la sussistenza e l’intensità dell’elemento intenzionale riferibile all’addebito contestato, oltre che la proporzionalità della sanzione inflitta; si evidenzia, inoltre, che l’autenticità della firma del sindaco in calce ai permessi del 25/10/96 e 6/11/96 non era stata messa in discussione e che l’assenza contestata non era, perciò, da ritenere ingiustificata; in ogni caso, un tale addebito, che poteva integrare, tutt’al più, una ipotesi di mera irregolarità, non avrebbe potuto legittimare, alla luce delle disposizioni collettive di riferimento, l’adozione della sanzione espulsiva.

Osserva la Corte che tali questioni sono state già esaminate e ritenute infondate nella precedente fase rescindente del procedimento attraverso la summenzionata sentenza n. 250/05, per cui sotto tale aspetto le stesse si rivelano inammissibili.

Con tale sentenza si è, infatti, spiegato che il licenziamento era stato motivato non in riferimento a mere violazioni o irregolarità formali dei permessi, bensì per la ragione sostanziale che il T. si era assentato dal lavoro, pur figurando presente sui fogli di presenza, ed aveva, in tal modo, egualmente percepito la retribuzione per prestazioni non eseguite in favore del Comune, ma di una società privata.

Ma anche per quel che concerne la questione esaminata in sede di rinvio non può non evidenziarsi l’infondatezza degli attuali rilievi, posto che la Corte d’appello ha posto in evidenza, con argomentazione assolutamente logica ed immune da vizi giuridici, la gravità del fatto, atto a giustificare la sanzione espulsiva, rappresentato dall’accertato svolgimento, da parte del T., di attività privata negli orari di ufficio in cui il medesimo risultava essere stato presente o in missione, con conseguente indebita percezione della retribuzione non dovutagli. La stessa Corte di merito ha, poi, spiegato, con motivazione congrua ed immune da vizi di natura logica-giuridica, che la gravità del comportamento del T. appariva evidente per la posizione apicale dal medesimo ricoperta all’interno dell’ufficio, oltre che per il fatto che l’autorizzazione a prestare attività lavorativa a favore di terzi, cioè quella non protocollata prodotta dal ricorrente, non avrebbe potuto mai consentire la prestazione di attività lavorativa negli orari d’ufficio.

4. Con l’ultimo motivo è denunziata la violazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 59, comma 2, oltre che l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5.

Attraverso quest’ultima doglianza il T. censura la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha escluso la sua buona fede sulla scorta del rilievo che non risultavano essere state mai presentate da parte sua richieste di permesso per i giorni 25/10/96 e 6/11/96 negli appositi moduli, con autorizzazione del segretario generale e visto del sindaco. Ritiene il ricorrente che in tal modo la Corte territoriale ha trascurato l’importanza dell’elemento psicologico ai fini della valutazione della gravità dell’addebito facendo, invece, derivare in modo quasi automatico la carenza di buona fede e la legittimità dell’impugnato licenziamento dalla violazione di prescrizioni formali.

Il motivo è infondato. Invero, contrariamente all’assunto difensivo appena menzionato, traspare chiaramente dalla sentenza impugnata che la Corte d’appello non ha valutato gli addebiti alla luce di violazioni di tipo semplicemente formale, bensì alla stregua del dato sostanziale rappresentato dalla accertata esistenza di un comportamento doloso e fraudolento del dipendente diretto al conseguimento di una retribuzione non dovuta. Infatti, tale comportamento doloso emergeva dalla comprovata assenza dal lavoro in giorni in cui il T. figurava essere presente o in missione, mentre svolgeva, contemporaneamente, attività lavorativa in favore di una società privata, come da relative specifiche contestazioni, percependo, in tal modo, una indebita retribuzione, il tutto aggravato dal fatto di rivestire un ruolo apicale all’interno dell’ufficio. La stessa Corte di merito ha, altresì, evidenziato, nel sottolineare la fondatezza della contestazione n. 31640, che con riguardo all’assenza del 6/11/96 il ricorrente aveva addirittura firmato il registro delle presenze in ufficio, mentre dal verbale di riunione della Manutengas, dal medesimo prodotto nel giudizio davanti al giudice amministrativo, emergeva che egli si trovava presso l’Azienda del gas in Catania. In definitiva, le valutazioni operate dal giudice d’appello in ordine alla fondatezza e gravità degli addebiti mossi al T. appaiono sorrette da motivazioni congrue ed immuni da vizi di tipo logico-giuridico, per cui sfuggono alle censure avanzate nel presente giudizio di legittimità.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario e di Euro 40,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2012

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