Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 18-11-2011, n. 42696

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza assolutoria emessa il 13 aprile 2007 dal Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Castelvetrano, ha condannato N.S. alla pena di sette mesi di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

I giudici di primo grado avevano assolto l’imputato ritenendo inutilizzabili ex art. 512 c.p.p. le dichiarazioni accusatorie rese alla polizia giudiziaria da S.L., perchè rilasciate da un cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno, sicchè era prevedibile, sin dalla fase procedimentale, la futura irreperibilità del teste e la sua indisponibilità a rendere testimonianza in dibattimento.

La Corte d’appello, invece, censurate tali affermazioni in ordine all’art. 512 c.p.p., ha ritenuto che nella specie andasse applicato l’art. 512 bis c.p.p., riferito alla persona residente all’estero, affermando così la piena utilizzabilità probatoria di tali dichiarazioni dalle quali è risultato che l’imputato ebbe a vendere a S.L. e a T.M.R. un piccolo quantitativo di hashish.

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato e con un unico motivo deduce la contraddittorietà della sentenza che, da un lato, critica l’applicazione fatta dai primi giudici dell’art. 512 c.p.p. e, dall’altro, ricorre alla diversa disposizione di cui all’art. 512 bis c.p.p., con l’effetto del tutto illogico di ritenere applicabili entrambe le disposizioni.

Sotto un altro profilo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 512 bis c.p.p., che disciplina la lettura delle dichiarazioni rese da persona residente all’estero e che per questo non può essere applicato al cittadino straniero domiciliato in Italia o che abbia dimora in Italia per un periodo di tempo apprezzabile, come nel caso di S.L., che dimorava in Castelvetrano.

Infine, censura la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni di T.M.R., rilevando come correttamente il Tribunale avesse ritenuto di non utilizzarle perchè aventi contenuto autoindiziante.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

La Corte territoriale ha escluso, sulla base di valutazioni di merito non censurabili in questa sede, che per il solo fatto che S. L. era cittadino extracomunitario, privo di permesso di soggiorno, fosse prevedibile la sua irreperibilità in dibattimento;

ma dopo tali considerazioni, che avrebbero potuto giustificare l’utilizzazione delle dichiarazioni del teste ai sensi dell’art. 512 c.p.p., ha invece ritenuto applicabile l’art. 512 bis c.p.p. e, considerando il teste "persona residente all’estero", ha utilizzato le sue dichiarazioni, pervenendo all’affermazione di responsabilità dell’imputato.

Tuttavia, l’utilizzazione delle dichiarazioni è avvenuta senza il rigoroso rispetto delle condizioni indicate dal citato art. 512 bis c.p.p., ritenuto applicabile alla fattispecie. Infatti, per l’acquisizione e la lettura dibattimentale ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p. delle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini, da persona residente all’estero è necessario innanzitutto accertare l’effettiva e valida citazione del teste non comparso, seguendo le modalità previste dall’art. 727 c.p.p. per le rogatorie internazionali o dalle convenzioni di cooperazione giudiziaria, per poi verificarne l’eventuale irreperibilità mediante gli opportuni accertamenti.

Inoltre, l’impossibilità di assumere in dibattimento il teste deve essere assoluta e oggettiva, non potendo consistere nella mera impossibilità giuridica di disporre l’accompagnamento coattivo; in altri termini, deve risultare "assolutamente impossibile la escussione del dichiarante attraverso una rogatoria internazionale, concelebrata o mista, secondo il modello previsto dall’art. 4 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959" (così, Sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918, De Francesco).

Di tali condizioni, il cui accertamento è preliminare per l’utilizzazione della dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p., non vi è traccia nella sentenza impugnata, da cui non risulta neppure se il teste sia stato in qualche modo citato.

Peraltro, la responsabilità dell’imputato sembrerebbe essere stata affermata sulla base delle sole dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da S.L., dal momento che in sentenza si è dato atto che l’altra testimone, T.M.R., sentita in dibattimento, ha detto di non ricordare nulla. Se questo è il quadro probatorio su cui si è basata la decisione impugnata, allora si pone il problema della idoneità della dichiarazione predibattimentale a poter fondare, da sola, il giudizio di colpevolezza dell’imputato.

Come è noto, le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo, recentemente, di intervenire su questo tema, affermando che "le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorchè legittimamente acquisite, non possono fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale" (Sez., un., 25 novembre 2010, n. 27918, De Francesco). In questo modo, la sentenza citata si è allineata alla giurisprudenza Europea, secondo cui "i diritti della difesa sono limitati in modo incompatibile con le garanzie dell’art. 6 CEDU quando una condanna si basa, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l’imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare nè nella fase istruttoria nè durante il dibattimento" (Corte Europea diritti dell’uomo, 14 dicembre 1999, A.M c, Italia; sent. 9 febbraio 2006, Cipriani c., Italia, sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c, Italia; Sent. 5 dicembre 2002, Craxi c, Italia), recependo un livello di tutela del cd. giusto processo superiore ai canoni costituzionali (art. 111 Cost. e art. 526 c.p.p., comma 1 bis) per giungere ad una interpretazione convenzionalmente adeguatrice del sistema normativo nazionale, conforme alle norme della CEDU. Tenendo conto di questo approdo interpretativo, si deve muovere una doppia critica alla sentenza impugnata: innanzitutto essa contiene una motivazione meramente apparente sulla effettività e regolarità della notificazione della citazione al teste residente all’estero, che rende incerta l’esistenza stessa del presupposto per l’applicazione dell’art. 512 bis c.p.p.; in secondo luogo, una volta verificata la corretta applicabilità della norma citata, i giudici avrebbero dovuto accertare la sussistenza di altri elementi probatori di riscontro alle dichiarazioni rese dal teste alla polizia giudiziaria, da sole inidonee a costituire prova della responsabilità dell’imputato.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata per violazione di legge e per vizio di motivazione, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, che si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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