Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 18-11-2011, n. 42695

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del 19 novembre 2001 con cui il Tribunale di Palmi aveva dichiarato F.A. responsabile del reato di calunnia, così riqualificata l’originaria contestazione di simulazione di reato, condannandolo alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.

Secondo la sentenza l’imputato avrebbe denunciato falsamente, in data 26 luglio 1999, lo smarrimento di un assegno, che invece aveva consegnato a A.G. in pagamento di merce acquistata, come risultava da una fattura esibita dal prenditore del titolo.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato.

Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 179 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 178 c.p.p., per avere la Corte d’appello definito il giudizio in assenza del difensore dell’imputato legittimamente impedito a comparire all’udienza del 24.9.2009.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza sancito dall’art. 521 c.p.p., comma 1. Assume il ricorrente che la riqualificazione del fatto da simulazione di reato a calunnia ha determinato una compromissione delle garanzie difensive, in quanto tra i due reati non vi sarebbe alcun rapporto di continenza, implicando la calunnia un quid pluris rispetto all’altro delitto, con particolare riferimento all’elemento soggettivo consistente nella volontà e consapevolezza di incolpare qualcuno della commissione di una fatto-reato sapendolo innocente, aspetto questo fondamentale per la configurabilità del reato di cui all’art. 368 c.p., ma rispetto al quale l’indagato non ha potuto espletare pienamente tutte le possibili difese.

Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto l’imputato, nel giudizio d’appello, risultava difeso da due legali, sicchè correttamente la Corte d’appello ha respinto l’istanza di rinvio formulata dall’avvocato Veneto ai sensi dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, essendo il F. difeso anche dall’avvocato Collia.

Del tutto infondato è anche l’altro motivo.

Il fatto oggetto della contestazione è lo stesso fatto ritenuto in sentenza, solo che è stato diversamente qualificato.

Infatti, in tema di obbligo di correlazione tra sentenza ed accusa contestata, il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica purchè il fatto storico addebitato rimanga identico, in riferimento agli elementi della condotta, dell’evento e dell’elemento psicologico dell’autore, al punto che, per effetto delle divergenze introdotte, la difesa apprestata dall’imputato non abbia potuto utilmente sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi globalmente considerati (Sez. 6^, 14 settembre 2007, n. 34879, Sartori e altri). Di conseguenza per mutamento del fatto si deve intendere "una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa" (Sez. 2^, 10 dicembre 2007, n. 45993, Cuccia).

Nel caso in esame non può sostenersi che tra la simulazione di reato e la calunnia sussista una assoluta "eterogeneità", tale che la riqualificazione abbia determinato una compromissione delle garanzie difensive. Al contrario, deve ritenersi che il fatto addebitato sia il medesimo e che il giudice lo abbia diversamente riqualificato, da simulazione di reato a calunnia, una volta acquisite le dichiarazioni di A.G., prenditore del titolo, il quale ha riferito di averlo ricevuto dall’imputato in pagamento di merce acquistata.

Tale modifica della qualificazione giuridica del medesimo fatto è avvenuta per effetto della valutazione delle dichiarazioni rese da un testimone (nella specie assistito) ed alla luce degli altri elementi probatori del processo. Non si è pertanto verificata alcuna violazione del diritto di difesa dell’imputato, che ha potuto difendersi nel corso del giudizio, esercitando il diritto alla prova, in ordine a tutte le circostanze di fatto e di diritto.

In conclusione, il giudice ha fatto una corretta applicazione dell’art. 521 c.p.p., comma 1, sicchè non è invocabile la mancata correlazione tra l’imputazione e la sentenza.

La manifesta infondatezza dei motivi proposti determina l’inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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