Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-05-2012, n. 8645

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’architetto Z.M. citò innanzi al Tribunale di Forlì G.E. per sentirlo condannare al pagamento di L. 23.807.035 quale corrispettivo per prestazioni professionali consistite nella progettazione di un edificio il convenuto, costituendosi, contestò di aver mai conferito l’incarico progettuale, specificando che il proprietario del lotto ove si sarebbe dovuta erigere la costruzione era il padre, G.A. e che esso convenuto si sarebbe interessato della possibile edificabilità del terreno solo in nome e per conto del genitore;

aggiunge che, in ogni caso, l’incarico sarebbe stato conferito non già all’architetto Z. bensì a tale geometra M., titolare dell’impresa edile intenzionata a lottizzare l’intera area.

Il Tribunale adito, con sentenza 323/2002 accolse la domanda – sulla base della valutazione della condotta del convenuto – che si era dichiarato disposto a conciliare la lite anche mediante il pagamento di acconti – ed alle dichiarazioni dello stesso M. – che aveva dichiarato che l’incarico alla Z. sarebbe stato conferito da G.E. nel corso di un incontro congiunto – condannando il convenuto a pagare la minor somma di Euro 7.903,45 oltre interessi L. n. 143 del 1949, ex art. 9, ed alla rifusione delle spese di lite.

La Corte di Appello di Bologna respinse l’impugnazione del G., ritenendo provato il conferimento dell’incarico dello stesso sulla base delle risposte, ritenute con valenza confessoria, date dallo stesso appellante in sede di interrogatorio formale – relative ai rapporti avuto con il geometra M. ed alle pretese della stessa Z. rivolte all’esponente ed al padre – sia infine per la contradditorietà della linea difensiva del medesimo appellante rispetto a quella seguita in primo grado – in cui aveva dichiarato di aver conferito l’incarico al geometra M. e non giudicando rilevante al fine dell’accoglimento del gravame la produzione, in grado di appello, di una missiva indirizzata dalla Z. ad G.A., con la quale la prima chiedeva direttamente al secondo il pagamento del dovuto.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso B. C. e G.F., nella dichiarata qualità di eredi di G.E., sulla base di un unico motivo illustrato da memoria: la Z. non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1 – Con unico motivo viene fatta valere la insufficienza e la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata decisione, laddove avrebbe fatto discendere, per ineluttabilità logica, il conferimento dell’incarico da parte di esso ricorrente, da circostanze che non possedevano il ritenuto stringente collegamento argomentativo: osserva al proposito il ricorrente che nessun contributo alla tesi del professionista sarebbe potuto venire dalle risposte date in sede di interrogatorio formale atteso che, da un lato, esso interpellato aveva innanzi tutto escluso di aver conferito l’incarico alla professionista e, dall’altro, aveva sempre sottolineato di aver partecipato alla riunione – alla quale era presente anche il M. – quale rappresentante del padre; deduce poi che l’esser stato destinatario di una richiesta di pagamento, non avrebbe costituito circostanza da cui trarre l’esistenza di un indizio di conferimento dell’incarico; rileva altresì che dall’assenza del genitore agli incontri con la Z. non sarebbe derivata univocamente la conclusione che l’incarico fosse stato conferito dall’esponente, proprio per la sua riaffermata qualità di rappresentante del padre; priva infine di nerbo logico sarebbe stata la constatazione della differente linea difensiva in grado di appello rispetto a quella svolta in prime cure – in cui si era sostenuto che fosse stato il M. a conferire l’incarico alla Z..

1/a – Da tali considerazioni sarebbe derivato che la produzione della missive con la quale la Z. sollecitava il pagamento al padre del ricorrente, avrebbe riacquistato valenza asseveratoria dell’assenza di incarichi conferiti dal deducente al professionista.

Il motivo è infondato.

2 – Innanzi tutto il fatto controverso – rispetto al quale la motivazione sarebbe stata contraddittoria od omessa, secondo quanto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., all’epoca vigente – è stato esposto in modo del tutto generico, ponendosi in rilievo la valutazione di una parte sola delle risposte all’interrogatorio formale e la conseguente irrilevanza delle missive di sollecito di pagamento prodotte in grado di appello, privando altresì la deduzione dello stesso della caratteristica della decisività, vale a dire del rapporto di causalità logica, in termini di certezza assoluta, con la soluzione giuridica data dal giudice alla controversia (verifica da effettuare in base al giudizio c.d. contro fattuale, diretto a valutare se la motivazione resista pur prescindendo dal fatto controverso: v. Cass. Sez. 3^, n. 2007/14138);

in secondo luogo dalla lettura della gravata decisione emerge che la decisione impugnata si basò anche sulla condivisione delle valutazioni operate dal giudice di primo grado delle emergenze probatorie e queste non hanno formato oggetto di rivisitazione critica nel ricorso, così che, anche sotto questo aspetto, non sarebbe rispettato il paradigma normativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 366 bis c.p.c., in merito alla decisività del fatto storico – inteso in senso processualmente rilevante – posto a base della decisione; in terzo luogo, e più in generale, ritiene la Corte di dar continuità all’indirizzo interpretativo, secondo il quale l’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. In particolare, ove il giudice di merito abbia basato il proprio convincimento su di una prova presuntiva, un’eventuale censura per vizio di motivazione può sussistere solo nel caso in cui emerga una assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (così, ex multis: Cass. sez. 2^, n. 15188/2011).

2/a – Nella fattispecie, come visto, la Corte territoriale ha desunto la prova della esistenza di un incarico professionale conferito dal ricorrente alla Z. da una valutazione complessiva delle emergenze di causa con una motivazione che, per le ragioni sopra indicate, non consente diverso scrutinio in questa sede: giova solo sottolineare che la contraddittorietà della motivazione – che può formare oggetto di sindacato di legittimità- si rinviene solo quando non siano rispettate le norme della logica formale che impongono che tra la premessa maggiore del ragionamento giudiziale e le sue conclusioni – vale a dire: la premessa minore- sussista un ragionato nesso logico e non già quando venga contestata la rilevanza dei fatti oggetto di analisi al fine di richiedere una diversa delibazione dei medesimi alla Corte

P.Q.M.

La Corte Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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