Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-05-2012, n. 8641 Simulazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.S., con atto di citazione dell’aprile 2000 innanzi al Tribunale di Verona (causa n. 2168/2000 r.g.), espose: che il 5 ottobre 1996 si era aperta la successione ab intestato del padre Fa.Ar.; che chiamati all’eredità erano la moglie del predetto, R.A.M. ed i figli An., A., essa S. e M.; che il 22 marzo 1997 la madre aveva rinunziato all’eredità, per poi revocare detta rinunzia il 15 dicembre 1998; che il 23 luglio 1999 la R. aveva alienato al figlio A. la quota dell’immobile ereditata dal marito e che analoga cessione, riguardo alla propria quota e con il medesimo atto, aveva fatto Fa.An. in favore del germano; che con atto del 24 giugno 1999 la R. aveva ceduto a G.R., – moglie dello stesso germano- ed alla sorella Fa.An. alcuni immobili siti in (OMISSIS); che prima di formalizzate dette vendite, il 21 giugno 1999, la genitrice aveva acceso, presso la Rolo Banca, un conto corrente ed un deposito titoli; che in tali conti erano transitate le somme che il fratello assumeva di aver pagato quale prezzo della cessione e successivamente ne erano state prelevate.

Su tali premesse citò in giudizio i germani e la madre chiedendo:

che venisse accertata l’illegittimità della revoca della rinunzia all’eredità e la nullità della vendita del luglio 1999, con conseguente ricomprensione dei beni nell’asse ereditario ai fini della divisione, la quale avrebbe dovuto essere effettuata in quattro quote uguali tra tutti i fratelli.

A. ed Fa.An. nonchè la R. si costituirono, contrastando la domanda e sostenendo invece l’inefficacia della stessa rinunzia all’eredità, avendo la genitrice posseduto parte di un immobile ereditario senza redigere l’inventario entro i tre mesi dall’apertura della successione, come disposto dall’art. 485 cod. civ., divenendo dunque erede pura e semplice; i convenuti non contestarono comunque le richieste di divisione, aggiungendo che nella determinazione del valore delle quote si sarebbe dovuto tener conto anche dei miglioramenti apportati agli immobili da F. A. e delle spese anche funerarie dal medesimo sostenute.

F.M. non si costituì.

Interrotto il giudizio a seguito del decesso della R., lo stesso venne riassunto; si costituì F.M., aderendo – quale erede del padre – alle domande della sorella S. e rinunziando – quale erede della madre – a quelle da quest’ultima proposte. Nelle more della disposta sospensione consensuale del procedimento – al fine di addivenire ad una divisione negoziale- le sorelle S. e M., con citazione del febbraio 2004, instaurarono autonoma causa (n. 2144/2004 r.g.) citando gli altri due germani al fine di procedere alla divisione anche dell’asse della genitrice; in particolare chiesero, nell’ipotesi in cui non fosse stata pronunziata la inefficacia della revoca della rinunzia all’eredità del marito, che fosse accertata e dichiarata la simulazione della vendita del luglio 1999, in realtà dissimulante una donazione; su questo presupposto chiesero la collazione della quota compravenduta à sensi dell’art. 737 cod. civ.; in via gradata, qualora fosse risultato che la surriferita donazione fosse stata lesiva della quota di legittima di competenza delle attrici, instarono affinchè fosse disposta la riduzione della donazione stessa sino al reintegro della quota di legittima.

I germani A. ed Fa.An. si costituirono, resistendo anche a tali domande, sostenendo che con atto del 24 giugno 1998 la R. si sarebbe riconosciuta debitrice del figlio A. dell’importo di L. 140 milioni; chiesero che le attrici fossero condannate a soddisfare il credito del fratello A. -derivante dalla menzionata scrittura- in proporzione delle quote ereditarie ed a restituire la quota di spettanza delle spese funerarie.

Riunite le due cause, effettuata la istruttoria, nell’ambito della quale fu depositata una relazione di consulenza tecnica da valere come progetto divisionale, l’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 1489/2008, accertò l’avvenuta accettazione ex lege dell’eredità del coniuge da parte della R. à sensi dell’art. 485 cod. civ., comma 2, e la natura simulata dell’atto di vendita del luglio 1999, dissimulante una donazione -valida quanto a forma, avendo partecipato due testimoni; ricomprese il bene ceduto nell’asse ereditario in via di collazione; procedette alla divisione secondo l’ipotesi n. 2 elaborata dal CTU, tenuto altresì conto della cessione, avvenuta nel gennaio 2008, da F.M. alla sorella S., di tutti i diritti di spettanza della prima sulle eredità dei genitori; ripartì pro quota i debiti verso F. A. (per anticipazione di spese funerarie e per il riconoscimento del debito della R.) condannando le sorelle S. e M. a pagare Euro 24.101,00 ciascuna.

La Corte di Appello di Venezia, pronunziando sentenza n. 614/2010, respinse l’appello di An. ed F.A. e, in parziale accoglimento di quello delle altre sorelle, riformò il capo di decisione attinente al riconoscimento del debito , ritenendo provata l’inesistenza del rapporto sottostante tra madre e figlio.

La Corte territoriale pervenne a siffatta decisione osservando – per quanto ancora interessa alla decisione del ricorso: a – che le parti attrici non erano soggette alle limitazioni probatorie circa la dimostrazione dell’esistenza di un accordo simulatorio, dal momento che esse avevano agito, da un lato, come eredi legittime, al fine di far rientrare, con la collazione, dei beni nel patrimonio ereditario da dividere, dall’altro – con deduzione difensiva subordinata che doveva ritenersi riprodotta in sede di appello – come eredi legittimane (e quindi assumendo la posizione di terzo nei confronti della successione della madre), avendo chiesto la eventuale reintegra della propria quota di legittima, così che, à sensi dell’art. 1417 cod. civ., doveva dirsi ammesso ogni mezzo di prova, anche per presunzioni, non potendosi assumersi, per uno stesso atto, la limitazione di prova della simulazione nel primo caso e non nel secondo; b – che condivisibile era l’analisi delle emergenze istruttorie compiuta dal Tribunale che aveva escluso: sia l’esistenza di un rapporto di creditorio tra madre e figlio, sottostante al riconoscimento del debito della prima nei confronti del secondo, sia il mancato pagamento del prezzo per la cessione di quota dell’immobile caduto in successione paterna.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso A. ed Fa.An., sulla base di quattro motivi; ha resistito con controricorso F.S.; F.M. non ha svolto difese. Le parti costituite hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo viene denunziata la violazione o la falsa applicazione delle norme relative ai limiti della prova per presunzioni del negozio simulato – art. 1417 c.c. e art. 2729 c.c., comma 2 – osservando che l’intrapresa azione era diretta, attraverso la declaratoria di simulazione, ad un’azione di collazione, nel cui ambito vigeva la confusione della personalità dell’erede con quella del de cujus, che avrebbe impedito l’applicazione del minore rigore probatorio stabilito dall’art. 1417 cod. civ., rispetto ai soggetti estranei all’accordo simulatorio.

1/a – Sottolineano parti ricorrenti, al proposito, che le controparti avevano proposto due distinte domande – di collazione e di riduzione- rispetto alle quali l’azione di simulazione rivestiva la medesima funzione strumentale: essendo però stata accolta solo la domanda di collazione – venendo assorbita la subordinata di riduzione- sarebbe venuto meno il fondamento dell’argomentazione della Corte veneziana, che aveva sottolineato, sulla scorta di una interpretazione di legittimità, la contraddittorietà logica di ritenere, con riferimento ad uno stesso atto simulato, che esso fosse sottoposto alle limitazioni probatorie di cui all’art. 1417 cod. civ., a seconda che fosse o meno collegato ad un’azione di collazione o piuttosto ad una di riduzione, nel caso in cui le stesse fossero state proposte entrambe nel medesimo giudizio.

2 – Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme sulle prove presuntive – art. 2729 c.p.c., comma 1 – in relazione all’esistenza sia della simulazione della vendita del luglio 1999 sia del rapporto sottostante al riconoscimento del debito – disciplinato dall’art. 1988 cod. civ., nonchè delle disposizioni in materia di ripartizione dell’onere della prova e della valutazione delle emergenze istruttorie – art. 2697 cod. civ. e art. 116 c.p.c. – in ordine all’espletato interrogatorio formale; è altresì denunziata una carenza motivazionale in ordine a ciascuno di tali profili ed un error in procedendo.

2/a – Assumono parti ricorrenti che la Corte distrettuale si sarebbe limitata ad esaminare le prove – oltretutto inammissibili perchè derivanti da argomentazioni presuntive – dedotte dalle allora appellate a sostegno della sussistenza di un accordo simulatorio, senza soffermarsi sulle motivate critiche svolte nel gravame principale avverso l’utilizzazione dei medesimi argomenti da parte del Tribunale, in particolare non valutando che ciascuno degli elementi indiziari posti a base della decisione potevano avere una diversa collocazione logica.

2/b – Viene altresì fatto valere un error injudicando in cui sarebbe incorsa la Corte veneziana là dove avrebbe ritenuto di trarre argomento di conferma dell’inesistenza di un pregresso credito da parte di F.A. nei confronti della madre – oggetto poi di riconoscimento di quest’ultima – dalle risposte dell’interrogatorio formale dello stesso e dalla prova per testi della moglie del medesimo assumendo, contrariamente allo svolgimento del mezzo istruttorio come consacrato in atti, che entrambi non avrebbero spiegato l’origine del debito della de cujus mentre chiaramente era stato dichiarato che esso derivava da pregresse dazioni di somme di denaro dal figlio alla madre.

2/c – Viene infine dedotta una violazione dei confini applicativi dell’art. 1988 cod. civ. là dove si sarebbe onerato il creditore, agente in forza di un riconoscimento del debito, della dimostrazione dell’esistenza dello stesso, al tipica della fattispecie.

3 – Con il terzo motivo si denunzia la violazione dell’art. 346 c.p.c. – sotto il profilo di un error in judicando e di una connessa erronea applicazione della norma sul processo – assumendosi che la Corte veneziana avrebbe ritenuto riproposta la domanda di riduzione delle disposizioni lesive della legittima (in funzione della quale avrebbe ammesso la prova per presunzioni della, strumentalmente connessa, simulazione) senza però fornire alcun elemento testuale dal quale potersi ricavare detta conclusione, a fronte di una comparsa di risposta avversaria – contenente appello incidentale- in cui la relativa questione non solo non sarebbe stata riproposta ma neppure richiamata.

4 – Con il quarto motivo parti ricorrenti fanno valere la violazione e la falsa applicazione delle norme sulla ripartizione dell’onere delle spese – art. 91 c.p.c. – non avendo la Corte territoriale dato applicazione del principio della soccombenza in ragione del fatto che la res controversa avrebbe riguardato due questioni temporalmente e logicamente separate: quelle fatte valere con la citazione del 2000 – in cui era in discussione la inefficacia della revoca della rinunzia alla successione del marito da parte della R. e rispetto alla quale le parti originarie attrici risultarono totalmente soccombenti- e quelle oggetto della citazione del 2004, oggetto precipuo del ricorso in sede di legittimità. 5 – Esaminando congiuntamente il primo ed il terzo motivo di ricorso -stante la loro stretta connessione logica a fini argomentativi- deve accogliersi la prima censura e rigettarsi il terzo mezzo.

5/a – Dall’esame degli atti emerge, conformemente all’assunto da cui è partita la Corte distrettuale, che l’azione di riduzione fu sostanzialmente portata nuovamente all’attenzione del giudice dell’impugnazione ex art. 346 c.p.c., per la sua incidenza sul regime della prova della simulazione – ex art. 1417 cod. civ. – se proposta dal legittimario pretermesso: invero dalla lettura dell’appello incidentale – consentito in questa sede, data la natura processuale del vizio lamentato- emerge l’insistenza delle parti allora appellate a sostenere gli effetti della, subordinatamente proposta, azione di riduzione al fine dell’applicazione di un’ipotesi di progetto divisionale che di ciò tenesse conto.

5/b – Nè potrebbe sostenersi che la mancata specificazione, nel gravame incidentale, della lesione della quota di riserva – con la deduzione analitica di quali elementi potessero trarsi a sostegno della incidenza della donazione sulla quota di legittima- costituente il presupposto per l’azione di riduzione, sarebbe stata idonea a far escludere la riproposizione della relativa domanda, interessando invece la fondatezza della richiesta e quindi condizionandone l’accoglimento.

5/c – E’ invece fondato il primo motivo di ricorso, dal momento che, al fine di impedire che la mera e formale riproposizione della domanda di riduzione possa consentire di travolgere, anche ai fini probatori, l’originaria impostazione della causa in primo grado – in cui gli odierni contro ricorrenti, chiesero l’accertamento della simulazione al fine di far emergere un atto di disposizione che, alterando la presunzione di proporzionalità di quote tra eredi, avrebbe costituito il presupposto per la collazione- sarebbe stato necessario che sin dall’inizio F.S. avesse articolato le proprie difese allegando i presupposti dell’azione di riduzione, non relegando quest’ultima a mera enunciazione subordinata: sul punto concorda la Corte con la critica, esposta in ricorso, all’interpretazione che il giudice di appello ritenne di dare alla richiamata giurisprudenza – Cass. 19.468/2005- in merito all’impossibilità logica che uno stesso atto di disposizione – di cui si predicava la simulazione- fosse ad un tempo soggetto (se fatto valere nella prospettiva della collazione) o non soggetto (se posto a fondamento di un’azione di riduzione) alle preclusioni probatorie di cui all’art. 1417 cod. civ..

5/d – Invero la richiamata decisione – a cui va aggiunta Cass. Sez. 2^, 2009/24134- si è occupata della diversa ipotesi in cui il legittimario, agente in riduzione, che fosse al contempo erede legittimo del de cujus, con l’accoglimento della domanda di simulazione, conseguisse anche l’effetto di recuperare al patrimonio comune il bene oggetto di disposizione impugnata, così traendone giovamento come successore a titolo universale e non già come terzo:

solo in tale caso questa Corte ha statuito il principio che "il legittimario si giova della maggiore libertà di prova, che come terzo gli compete, per tutto intero il beneficio che, in quanto sia anche erede legittimo, riceve dal recupero al patrimonio ereditario dei beni apparentemente fatti oggetto di disposizione, e non, invece, limitatamente all’effetto della reintegrazione della quota di riserva: ciò in quanto non può applicarsi, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria, e per un’altra parte una regola diversa" (così cass. 2009/24134 cit.; e, tra quelle citate nel ricorso: Cass. sez. 2^, 14562/2004; Cass. Sez. 2^, 19468/2005; Cass. Sez. 2^, 6078/2002): in sostanza dunque il fondamento del richiamato indirizzo di legittimità riposta sulla duplicità di effetti derivante – nell’ipotesi appena sopra indicata- dall’accoglimento della domanda di riduzione in termini di reintegra del patrimonio da dividere, e non può dunque essere applicato allorchè, come nel caso di specie, la domanda proposta -e concretamente oggetto di allegazioni difensive- sia volta alla ricostruzione della proporzionalità tra le quote dei coeredi.

5/e – Ragionando altrimenti potrebbe facilmente essere eluso il divieto della prova per testi o presunzioni della simulazione da parte dell’erede che agisca per il ristabilimento della proporzionalità delle quote in sede di divisione, sol che lo stesso assuma la possibile idoneità del negozio ad incidere anche sulla quota di legittima.

5/f – A quanto precede deve altresì aggiungersi che l’effetto recuperatorio alla massa da dividere del bene oggetto di cessione – che si assume simulata e, allo stesso tempo producente una lesione della legittima- sarebbe comunque stato condizionato al fatto che non vi fosse stato alcun negozio dissimulato -ipotesi di simulazione assoluta- o che lo stesso fosse stato nullo per una delle cause di cui all’art. 1418 cod. civ., ipotesi entrambi qui non ricorrenti.

6 – Il secondo motivo è assorbito, quanto alla valutazione delle prove in merito alla ritenuta simulazione dell’atto di cessione di quota di immobile, dalla ritenuta inammissibilità dei mezzi di prova; quanto invece alla dedotta lesione del principio dell’astrattezza processuale della causa, non può validamente formare oggetto di ulteriore scrutinio in sede di legittimità la valutazione della Corte distrettuale circa la scelta dei mezzi di prova a sostegno della insussistenza del rapporto sottostante, rientrando tale delibazione nell’ambito esclusivo commesso al giudice del merito, sorretto da motivazione: sufficiente; congrua rispetto allo scopo dimostrativo commessole; non affetta da apode logiche tra premesse e conclusioni. Il fatto poi che non sia logicamente dedotta -a sostegno della carenza del rapporto di debito sottostante al riconoscimento da parte della defunta genitrice in favore del figlio A.- la mancata menzione di esso in sede di comparsa di risposta nella causa n. 2168/2000 (ciò a cagione del fatto che della collazione si parlò solo con riferimento alla successione della Pezzato e quindi nel giudizio – poi riunito – n. 2144/2004) non vulnera la tenuta logica complessiva della decisione a cui è pervenuto il giudice dell’appello, trattandosi di argomentazione a rinforzo delle già raggiunte e sufficienti conclusioni argomentative.

6/a – Ad analogo rigetto del mezzo in esame deve pervenirsi anche in ordine al denunziato fraintendimento delle risposte rese da F. A. e dalla moglie in sede, rispettivamente, di interpello e di esame testimoniale, in merito alla mancanza di spiegazioni in merito alla causa del riconoscimento del debito: invero se è indubbio che le parti affermarono la fondatezza del riconoscimento del debito sulla base di pregressi prestiti fatti dal figlio alla genitrice- dunque rispondendo alle interrogazioni proposte loro – è altrettanto vero che tali risposte, per la loro genericità, vennero interpretate nel senso della non riscontrabilità delle circostanze addotte, dunque formando oggetto di valutazione complessiva – assieme alle altre emergenze istruttorie- della sussistenza di una prova indiziaria della mancanza del rapporto sottostante.

7 – Assorbito è infine il quarto motivo, relativo alla ripartizione delle spese, stante la cassazione parziale della gravata decisione.

La sentenza va dunque cassata nei limiti del motivo accolto e la causa va rinviata a diversa sezione della Corte di Appello di Venezia che provvederà altresì alla ripartizione dell’onere delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo motivo del ricorso; rigetta il secondo ed il terzo;

dichiara assorbito il quarto; cassa la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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