Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-05-2012, n. 8636 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In esito a verifiche fiscali condotte dalla Guardia di Finanza ed al PVC redatto in data 14.2.2003 veniva emesso nei confronti di Aitino Ettore titolare della omonima ditta di rivendita di autoveicoli avviso di accertamento con il quale veniva recuperato, per l’anno di imposta 2000, l’importo di Euro 56.258,10 dovuto a titolo IVA – oltre l’importo dovuto a titolo di sanzioni pecuniarie – per indebita applicazione dell’IVA sul margine di utile, in quanto gli autoveicoli usati risultavano, in base alle intestazioni delle immatricolazioni iscritte nelle carte di circolazioni estere, acquistati dalla società LUXDI s.a. con sede in Lussemburgo, che svolgeva attività di noleggio ovvero da questa stessa società acquistati da altre società di noleggio francesi o belghe, in ogni caso trattandosi di soggetti che avevano avuto la possibilità di detrarre l’IVA – costituendo i veicoli beni strumentali all’esercizio di quel tipo di imprese – con la conseguenza che difettava il presupposto (indetraibilità della imposta) richiesto per l’applicazione del regime fiscale speciale, rimanendo assoggettate le operazioni intracomunitarie all’ordinario regime dell’IVA. La sentenza di primo grado, favorevole al contribuente, è stata confermata in appello dalla Commissione tributaria della regione Abruzzo con sentenza 27.10.2009 n. 257 che ha ritenuto non imputabili al contribuente – cessionario eventuali indebite applicazioni del regime di imposta da parte della società – cedente.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione al Agenzia delle Entrate deducendo con due mezzi vizi di violazione di norme di diritto.

Ha resistito con controricorso il contribuente.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata dopo aver illustrato la disciplina normativa che regola l’applicazione dello speciale regime fiscale previsto per gli scambi intracomunitari di beni mobili usati dalla direttiva CE del Consiglio 14.21994 n. 5 e dalle norme statali di attuazione di cui al D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. in L. n. 85 del 1995, successivamente modificato dal D.L. 2 ottobre 1995, n. 415, conv. in L. n. 517 del 1995, e dopo aver rilevato che le caso di specie il regime del margine era stato applicato dal cessionario in quanto il medesimo regime era già stato applicato dalla società – cedente in occasione del proprio acquisto, come risultante dalla annotazione apposta sulla fattura emessa nei confronti del rivenditore, riteneva insufficiente la prova fornita dall’Ufficio della insussistenza delle condizioni di legge per fruire del regime speciale in quanto la qualità soggettiva del cedente (impresa di autonoleggio) non consentiva di ritenere che tale soggetto portasse in ogni caso in detrazione l’IVA assolta al momento del proprio acquisto, ed inoltre non poteva addossarsi al contribuente la responsabilità di eventuali violazioni commesse dal cedente, non essendo posto il cessionario in grado di verificare la ricorrenza dei presupposti applicativi del regime del margine.

2. La Agenzia ricorrente ha impugnato la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. in L. n. 85 del 1995, (primo motivo) e della regola generale del riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c..

Sostiene la Agenzia che il Giudice di appello avrebbe fatto scorretta applicazione delle norme secondo la interpretazione che delle stesse è stata fornita da questa Corte e dalla giurisprudenza comunitaria, atteso che il contribuente che intende avvalersi del regime fiscale volto ad evitare la doppia imposizione è onerato della dimostrazione delle condizioni oggettive e soggettive previste dalla legge, dovendo in particolare impiegare la dovuta attenzione nell’esame dei documenti della operazione negoziale che sono pervenuti in suo possesso (nella specie le carte di circolazione estere indispensabili per la reimmatricolazione dei veicoli in Italia), potendo allegare la propria buona fede, non in base alla mera annotazione sulla fattura della applicazione del regime del margine da parte del cedente, ma soltanto nel caso in cui non sia stato altrimenti in grado di conoscere o poter conoscere la illegittimità fiscale degli atti compiuti da precedenti operatori commerciali.

Erronea inoltre si paleserebbe l’applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la CTR abruzzese avrebbe ritenuto insufficiente la prova offerta dalla PA mediante le risultanze dei libretti di circolazione invertendo peraltro il risultato normale con quello eccezionale che doveva applicarsi alla presunzione di detrazione dell’IVA da parte di società di autonoleggio in relazione all’acquisto di beni strumentali come gli autoveicoli.

3. Il controricorrente contesta le tesi svolte dalla Agenzia, aderendo alla motivazione della sentenza impugnata, rilevando che l’onere della prova della detrazione dell’IVA da parte dei soggetti intervenuti nelle precedenti operazioni di cessione era a carico dell’Ufficio accertatore, e richiamando un precedente di questa Corte n. 9694/2009 a sostegno della tesi difensiva secondo cui il contribuente-cessionario non può essere gravato del sindacato delle qualificazioni giuridiche espresse dal cedente nella fattura.

4. La eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso, per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, "così come interpretato da Cass. sez. trib. con sentenza n. 15180/2010" è manifestamente infondata in quanto richiama un principio affermato dalle SS.UU. non applicabile al caso di specie. Se va, infatti, condivisa l’affermazione secondo cui la mera allegazione al ricorso per cassazione, mediante spillatura, del ricorso proposto in primo grado e di tutti gli atti processuali seguenti (ovvero anche la mera trascrizione nel ricorso per cassazione del contenuto integrale di tutti i predetti atti) non assolve al requisito di autosufficienza prescritto in relazione alla necessaria esposizione dei fatti, in quanto risultando "particolarmente indaginosa la individuazione della materia del contenderè" la norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ("preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura") verrebbe ad essere del tutto disattesa, nel caso di specie il ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia delle Entrate va esente dalla carenza indicata in quanto dopo una premessa nella quale viene descritto il sistema del margine di utile la ricorrente ha riferito delle indagini svolte e dei controlli effettuati sulla base delle segnalazioni ricevute dall’organo collaterale lussemburghese, della maggiore IVA accertata nei confronti del contribuente, dei motivi dedotti con il ricorso introduttivo proposto avverso l’avviso di accertamento e dell’esito del giudizio di primo grado, e conclusivamente a riprodotto la motivazione della sentenza di appello impugnata individuando poi nella esposizione delle singole censure gli argomenti di detta motivazione oggetto di specifica critica.

Il ricorso, pertanto, consente agevolmente di individuare tanto la materia del contendere quanto la critica svolta nei confronti della sentenza di appello, con ciò rispondendo pienamente alla esigenza sottesa al requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. 5. Entrambi i motivi di ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della stretta connessione logica delle argomentazioni giuridiche svolte dalla ricorrente nella parte espositiva – sono fondati.

5.1 Occorre premettere che il regime speciale c.d. del margine di utile disciplinato dall’art. 26 bis della 6^ Direttiva n 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977 (aggiunto dalla Direttiva n. 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994, che ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1994, n. 41, artt. 36 e 40, conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85) si configura come "regime fiscale speciale", di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. terzo considerando dir. CE n. 5 del 1994), assume come condizione indefettibile di applicabilità la indeducibilità dell’iva versata "a monte" dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere esercitato nè avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti "requisiti soggettivi" individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995: 1 – soggetto che sia privato consumatore; 2 – soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3 – soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4 – soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.

Tali condizioni non sono venute meno con l’art. 2 della Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001 (che ha modificato l’art. 28 novies paragr. 3 della citata 6^ direttiva sulla cifra di affari, e che ha ricevuto attuazione, soltanto tre anni dopo, con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21) con il quale è stato introdotto l’obbligo di annotazione in fattura – in caso di applicazione del regime del margine di utile – dell’espresso riferimento agli artt. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977 ovvero "alle corrispondenti disposizioni nazionali", o ancora della specificazione "di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile", atteso che la regolarità formale della fattura recante tali annotazioni, se assolve ad una esigenza di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, non può evidentemente surrogarsi ai presupposti di fatto e diritto che la legge richiede per l’applicabilità del regime fiscale derogatorio.

5.2 Tanto premesso occorre richiamare i principi di diritto espressi in "subiecta materia" da questa Corte:

il regime c.d. del margine rappresenta un regime "speciale" rispetto all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione l’IVA assolta: D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 3): pertanto è onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227, in motivazione).

– il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime "de quo", indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227) – non vale allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando "nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 12.2.2010 n. 3427, in motivazione).

Pertanto il "rischio fiscale" della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari – cedenti), ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore ("diligentia viri eiusdem generis ac professionis").

L’onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale -proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale – in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge rispetto a quello effettuato soltanto ex post dalla Amministrazione finanziaria; sia con la interpretazione del sistema del tributo armonizzato che le sentenze della Corte di giustizia della Unione Europea, richiamate nella decisione del Giudice di appello, hanno fornito in relazione ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da soggetti diversi dal contribuente: l’affermazione secondo cui il soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell’IVA, è mediata infatti nelle pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente "non aveva o non doveva avere conoscenza" della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^ sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che è a dire che soltanto "gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere alfine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode", possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni: un soggetto che "sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA" non può evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE 6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C- 440/04).

La Circolare della Agenzia delle Entrate n. 14/E del 26.2.2008 non esonera affatto l’operatore commerciale dal dovere di diligenza, come vorrebbe ritenere il resistente, ma interviene a disciplinare – in attuazione del principio di collaborazione che presiede ai rapporti tra contribuente e Fisco – condotte volte ad agevolare proprio l’adempimento di tale dovere, subordinando la reimmatricolazione del veicolo importato dall’operatore nazionale alla esibizione o trasmissione agli Uffici della Motorizzazione civile ed agli Uffici locali della Agenzia delle Entrate dei documenti dei documenti concernenti la operazione commerciale tra i quali la carta di circolazione estera e la dichiarazione che il rivenditore – soggetto passivo IVA in Italia – abbia acquistato i veicoli usati da un soggetto in possesso dei requisiti di legge (privato consumatore, operatore economico che non ha potuto portare in detrazione l’IVA o che agisce in regime di franchigia o che ha applicato a sua volta il regime del margine): significativo, in proposito, è che la verifica documentale consiste nel "…b) verificare se tra ì soggetti esteri precedenti possessori dell’autoveicolo figuri almeno una persona fisica, nell’ipotesi, tra le più frequenti, che il nome e cognome riportato sulla carta di circolazione rappresenti un consumatore finale; c) verificare che, nel caso di esibizione di scrittura privata, l’ultimo intestatario riportato sulla carta di circolazione coincida con il dante causa della scrittura privata, a garanzia della continuità dei passaggi". Nel caso in cui, poi, venga esibita o trasmessa una dichiarazione della società cedente-intracomunitaria di essersi avvalsa del regime del margine, "…Qualora dalla carta di circolazione risulti esclusivamente la presenza di società/imprese – considerato che in alcuni Paesi Membri non sussiste l’obbligo giuridico di trascrivere sulla carta di circolazione i successivi proprietari dell’autoveicolo – l’Ufficio procederà, alla predetta comunicazione al C.E.D. degli Uffici della Motorizzazione ndr ai fini della immatricolazione del veicolo dopo aver acquisito la dichiarazione di cui al precedente punto 3), corredata da idonea documentazione (ad esempio, la fattura di cessione tra i due soggetti esteri) dalla quale risulti verosimile, ad un primo esame preliminare, che il veicolo è assoggettabile al regime del margine…".

Appare dunque evidente come la predetta circolare amministrativa, invocata dal resistente, non esoneri affatto l’operatore nazionale dall’onere di fornire la prova della sussistenza delle condizioni di legge per fruire del regime del margine, limitandosi ad agevolarne il compito.

Le osservazioni che precedono rendono inconferente la tesi difensiva del resistente secondo cui il cessionario sarebbe chiamato ad un inesigibile sindacato di merito sulle valutazioni giuridiche compiute dal cedente mediante la dichiarazione apposta in fattura di essersi avvalso del regime del margine ne proprio Paese membro (in proposito il contribuente richiama il precedente di questa Corte n. 19624/2000). Nella specie non si tratta, infatti, di qualificare giuridicamente in modo diverso una fattispecie concreta esattamente definita e rilevata nei suoi elementi costitutivi (e dunque di operare un giudizio di sussunzione di una determinata vicenda economica nella fattispecie astratta descritta dalla norma che disciplina il regime fiscale speciale), quanto piuttosto di verificare se alla formula enunciativa apposta in fattura corrisponda effettivamente un fatto storico quale la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del soggetto-cedente.

5.3 Nello specifico caso la agevole rilevazione dai documenti di circolazione della qualità di autonoleggiatore delle società- cedenti, e quindi della qualità di soggetti "primi immatricolatori" che – secondo l’"id quod plerumque accidit – acquistano autoveicoli da destinare alla propria attività imprenditoriale con conseguente legittimazione a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa sull’acquisto del bene strumentale, doveva indurre quanto meno nel dubbio la ditta cessionaria sulla effettiva applicabilità alla operazione economica del regime del margine, e quindi ad acquisire, preventivamente, dai cedenti ulteriori elementi comprovanti la mancata detrazione della imposta nel Paese membro da cui provenivano i veicoli, rimanendo escluso, in difetto di tale verifica, un incolpevole affidamento della società cessionaria fondato esclusivamente sulla mera annotazione nella fattura emessa dal cedente della applicazione del regime del margine.

Tale annotazione in fattura, infatti, non è sufficiente ad integrare un artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto- cessionario nonostante la dovuta diligenza impiegata (e dunque non costituisce ex se prova adeguata della buona fede del cessionario), laddove questi, sulla scorta degli stessi documenti indispensabili al perfezionamento della operazione commerciale pervenuti in suo possesso, possa agevolmente rilevare ulteriori elementi fattuali (nella specie il tipo di attività imprenditoriale svolta dalle società cedenti, avente ad oggetto il normale impiego dei veicoli come beni strumentali della impresa) che presentino una connotazione antitetica a quelle condizioni soggettive dell’operatore-cedente previste dalla legge per l’applicabilità del regime del margine di utile, e che impongono pertanto al cessionario che intenda beneficiare del regime agevolato l’onere di acquisire con la dovuta diligenza informazioni più dettagliate sull’effettivo assolvimento "a monte" dell’IVA in via definitiva da parte del cedente intracomunitario (ad esempio nel caso in cui gli autoveicoli siano stati utilizzati dalla società di noleggio come "fringe benefit" attribuito ai propri dipendenti e non come bene strumentale destinato -in via esclusiva o promiscua – all’esercizio della impresa) al fine di dirimere ogni possibile futura contestazione in ordine alla correttezza fiscale della operazione intracomunitaria.

Nè può obiettarsi che trattasi di prova diabolica, atteso che, come evidenziato dallo stesso resistente, nel caso in cui l’operatore comunitario – cedente – nella specie società di noleggio soggetto passivo IVA – dichiari in fattura di aver applicato a sua volta nel proprio Paese di residenza il regime del margine di utile, il cessionario dovrà farsi parte diligente ed acquisire le necessarie informazioni attestanti l’utilizzo che del bene acquistato nel proprio Paese di residenza ha fatto in concreto l’operatore comunitario – cedente o le ragioni dell’assolvimento in via definitiva dell’IVA da parte del medesimo soggetto al momento dell’acquisto del veicolo di occasione (come infatti riconosciuto dalla Corte di giustizia, anche la società che, nell’esercizio della propria attività commerciale, acquista veicoli da concedere a noleggio ovvero in leasing, può fruire del regime speciale dell’IVA sul margine di utile, qualora tale società abbia acquistato a sua volta un veicolo di occasione "allorquando, al momento di tale acquisto, la della società non ha potuto dedurre UVA che resta incorporata nel prezzo di acquisto": Corte giustizia UE sez. 3^ sent.

8.12.2005 in causa C-280/04, Jyske Finans, paragr. 38 – nel caso esaminalo dalla Corte di Lussemburgo la società di leasing di autoveicoli aveva acquistato i beni di occasione, poi rivenduti a terzi, "senza possibilità di dedurre l’IVA compresa nel prezzo in quanto i venditori, ai sensi della normativa nazionale, non hanno potuto dichiarare l’IVA sul prezzo del veicolo": paragr. 16-).

5.4 E’ incorsa pertanto in errore di diritto la CTR abruzzese laddove, in contrasto con i principi di diritto affermati da questa Corte, da un lato, ha ritenuto che la applicazione in favore del cessionario del regime fiscale speciale richiedesse quale unica condizione la regolarità formale della fattura emessa dal cedente, con ciò attribuendo al documento contabile una efficacia probatoria di cui è privo (trattandosi di una mera dichiarazione con la quale si attesta che il cedente ha applicato a sua volta nel Paese membro in cui ha sede il regime del margine, senza alcuna specificazione dei presupposti giustificativi della applicazione di tale regime fiscale); dall’altro ha ritenuto che, pure a fronte della oggettiva difformità tra la natura della attività svolta della impresa cedente – soggetto passivo IVA – risultante dai documenti in possesso della ditta cessionaria e la dichiarazione (contenuta in fattura) dell’assolvimento a monte, in via definitiva, dell’IVA versata su acquisti di beni ordinariamente destinati da quel tipo di impresa all’esercizio della propria attività commerciale, fosse la PA a dover fornire la prova della insussistenza del presupposto richiesto dalla legge (indetraibilità dell’IVA a monte), dovendo ribadirsi, dando seguito alla giurisprudenza di questa Corte, che la annotazione apposta in fattura non esonera il contribuente dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del regime del margine, le volte in cui la contestazione della Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi (quali la attività commerciale di vendita veicoli ovvero di autonoleggio svolta dalla impresa cedente – soggetto passivo IVA – e la natura strumentale dei beni-autoveicoli dalla stessa acquistati per essere rivenduti sul mercato, ovvero per essere concessi in godimento dietro corrispettivo) che consentano di inferire, mediante lo schema logico della presunzione, dai fatti noti il fatto ignorato (detrazione dell’IVA corrisposta a monte), determinandosi in tal caso una inversione dell’"onus probandi" a carco del contribuente tenuto a dimostrare la sussistenza delle condizioni di fruibilità del regime del margine mediante la prova del fatto specifico che, nel caso concreto, consente di spiegare la deviazione dalla "normale" inferenza logica che viene tratta dai dati fattuali noti.

6. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale che provvederà ad emendare i vizi riscontrati, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai paragr. 5.2 e 5.4 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regioe Abruzzo che provvederà ad emendare i vizi riscontrati, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai paragr. 5.2 e 5.4 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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