Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-05-2012, n. 8635 Detrazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In esito alle risultanze del PVC redatto in data 23.7.2004 dai funzionar verificatori dell’Ufficio di Lanciano della Agenzia delle Entrate, veniva notificato avviso di accertamento nei confronti di Alfino Ettore con il quale veniva richiesta la complessiva somma di Euro 1.609.815,00 oltre sanzioni per omesso versamento IVA relativa all’anno 2003, contestando al contribuente: a) la indebita applicazione del c.d. "regime del margine" in luogo dell’assoggettamento all’ordinario regime IVA, relativamente all’acquisto intracomunitario di autoveicoli usati, atteso che la società cedente risultava svolgere attività di autonoleggio e pertanto era legittimata a portare in detrazione l’IVA corrisposta al momento dell’acquisto dei veicoli; b) la indebita detrazione di IVA da parte dell’ A. su fatture emesse dalla società Autoimport per operazioni inesistenti aventi ad oggetto la rivendita di autoveicoli acquistati dalla stessa Autoimport presso fornitori intracomunitari.

La decisione di primo grado favorevole al contribuente veniva confermata in grado di appello con sentenza 13.3.2008 n. 12 della Commissione tributaria della regione Abruzzo sez. staccata Pescara che, da un lato, riteneva che non potesse gravare sul contribuente la verifica dei presupposti soggettivi ed oggettivi in capo al soggetto intracomunitario richiesti per l’applicazione del regime del margine;

dall’altro riteneva non provato il carattere fittizio della società interposta.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate affidando la impugnazione a due mezzi, corredati dei quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile "ratione temporis".

Resiste con controricorso il contribuente.

Motivi della decisione

1.1 La eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), proposta dal resistente con il controricorso, è infondata.

La omessa specificazione nel ricorso per cassazione della fase processuale in cui risultano prodotti nel giudizio di merito i documenti invocati a sostegno delle censure svolte dalla Agenzia delle Entrate (PVC 23.7.2004 e prospetti allegati), che porterebbe nella generalità dei casi alla pronuncia di inammissibilità della impugnazione (Cfr. Corte Cass. SU 2.12.2008 n. 28547; id. SU 25.3.2010 n. 7161), non assume, infatti, rilievo nella specie, atteso che i contenuti dei documenti richiamati sono stati integralmente recepiti nell’avviso di accertamento impugnato (debitamente trascritto nel suo integrale contenuto alle pag. 16-20 del ricorso), ed in relazione a detto atto impositivo la esigenza di specifica indicazione ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), si risolve nella esposizione del suo contenuto, dovendo ritenersi superflua la indicazione delle modalità e della fase processuale nella quale è stato prodotto, avuto riguardo alla disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 4, secondo cui il contribuente, costituendosi in giudizio, "deposita il proprio fascìcolo, con l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato, se notificato", potendo dunque ritenersi tale documento prodotto fin dal primo grado e ritualmente acquisito al giudizio di merito.

1.2 I Giudici territoriali hanno rigettato il gravame proposto dall’Ufficio finanziario, ritenendo non provato dall’Amministrazione che la società di autonoleggio-cedente avesse portato in detrazione l’I VA al momento dell’acquisto dei veicolo poi rivenduti all’ A. ed affermando il principio per cui il contribuente – cessionario non può essere chiamato a svolgere, in sostituzione degli uffici finanziari, una attività di accertamento delle qualità soggettive della impresa-cedente, residente in altro Stato membro, e delle condizioni di applicabilità del regime fiscale del margine.

Quanto al recupero di imposta relativo alla contestata inesistenza (soggettiva) delle operazioni commerciali tra Autoimport ed A., la CTR abruzzese rilevava che l’Ufficio appellante non aveva fornito prova della attività meramente "virtuale" svolta dalla Autoimport, quale società c.d. fantasma, nella ipotizzata triangolazione con il fornitore comunitario e con l’acquirente finale A., atteso che dal PVC non emergeva alcuno degli elementi indiziari (mancanza di effettiva sede, assenza di organizzazione o di struttura commerciale, mancanza di risorse finanziarie) che inducevano a ritenere fittizia, e dunque finalizzata a meri scopi evasivi, la attività della società intermediaria, dovendosi all’uopo valorizzare il decreto di archiviazione emesso dal GIP del Tribunale Ordinario di Lanciano nel procedimento penale instaurato nei confronti dell’ A. in seguito alla trasmissione del PVC. 2. Con il primo motivo la Agenzia deduce violazione delle norme di diritto che regolano la applicazione del c.d. regime del margine sostitutivo del regime ordinario TVA e della disciplina normativa in materia di operazioni commerciali intracomunitarie (D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 46 e ss. , conv. in L. n. 427 del 1993; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21; D.L. 23 febbraio 1994, n. 41, art. 36, conv.

In L. 22 marzo 1995, n. 85; in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 10, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62).

Sostiene la Agenzia che se la applicazione della disciplina comunitaria e nazionale relativa ai tributi armonizzati si impone per la mera oggettività delle operazioni concluse tra operatori commerciali, ciò tuttavia non comporta anche un totale esonero dall’impiego della ordinaria diligenza laddove da elementi obiettivi risultanti dagli stessi atti negoziali il contribuente sia in grado di appurare che il proprio cedente non era legittimato a beneficiare del regime fiscale agevolato.

2.1 Il motivo è fondato.

Occorre premettere che il regime speciale c.d. del margine di utile disciplinato dall’art. 26 bis della 6^ Direttiva n 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977 (aggiunto dalla Direttiva n. 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994, che ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1994, n. 41, artt. 36 e 40, conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85) si configura come "regime fiscale speciale", di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. terzo considerando dir. CE n. 5 del 1994), assume come condizione indefettibile di applicabilità la indeducibilità dell’Iva versata "a monte" dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto VIVA in modo definitivo, senza avere esercitato nè avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti "requisiti soggettivi" individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995: 1 – soggetto che sia privato consumatore;

2 – soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3 – soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4 – soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato i proprio acquisto al regime del margine di utile.

Tali condizioni non sono venute meno con l’art. 2 della Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001 (che ha modificato l’art. 28 novies paragr. 3 della citata 6^ direttiva sulla cifra di affari, e che ha ricevuto attuazione, soltanto tre anni dopo, con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21) con il quale è stato introdotto l’obbligo di annotazione in fattura – in caso di applicazione del regime del margine di utile – dell’espresso riferimento agli artt. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977 ovvero "alle corrispondenti disposizioni nazionali", o ancora della specificazione "di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile", atteso che la regolarità formale della fattura recante tali annotazioni, se assolve ad una esigenza di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, non può evidentemente surrogarsi ai presupposti di fatto e diritto che la legge richiede per l’applicabilità del regime fiscale derogatorio.

2.2 Tanto premesso occorre richiamare i principi di diritto espressi in subiecta materia da questa Corte il regime c.d. del margine rappresenta un regime "speciale" rispetto all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione l’IVA assolta: D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 3); pertanto è onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227, in motivazione).

– il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime "de quo", indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227).

– non vale allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando "nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 12.2.2010 n. 3427, in motivazione).

Pertanto il "rischio fiscale" della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari – cedenti), ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore ("diligentia viri eiusdem generis ac professionis").

L’onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale – proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale – in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge rispetto a quello effettuato soltanto ex post dalla Amministrazione finanziaria; sia con la interpretazione del sistema del tributo armonizzato che le sentenze della Corte di giustizia della Unione Europea, richiamate nella decisione del Giudice di appello, hanno fornito in relazione ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da soggetti diversi dal contribuente: l’affermazione secondo cui il soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell’IVA, è mediata infatti nelle pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente "non aveva o non doveva avere conoscenza" della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^ sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che è a dire che soltanto "gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode", possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni: un soggetto che "sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA" non può evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE 6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C- 440/04).

La Circolare della Agenzia delle Entrate n. 14/E del 26.2.2008 non esonera affatto l’operatore commerciale dal dovere di diligenza, come vorrebbe ritenere il resistente, ma interviene a disciplinare – in attuazione del principio di collaborazione che presiede ai rapporti tra contribuente e Fisco – condotte volte ad agevolare proprio l’adempimento di tale dovere, subordinando la reimmatricolazione del veicolo importato dall’operatore nazionale alla esibizione o trasmissione agli Uffici della Motorizzazione civile ed agli Uffici locali della Agenzia delle Entrate dei documenti dei documenti concernenti la operazione commerciale tra i quali la carta di circolazione estera e la dichiarazione che il rivenditore – soggetto passivo IVA in Italia – abbia acquistato i veicoli usati da un soggetto in possesso dei requisiti di legge (privato consumatore, operatore economico che non ha potuto portare in detrazione l’IVA o che agisce in regime di franchigia o che ha applicato a sua volta il regime del margine): significativo, in proposito, è che la verifica documentale consiste nel "…b) verificare se tra i soggetti esteri precedenti possessori dell’autoveicolo figuri almeno una persona fisica, nell’ipotesi, tra le più frequenti, che il nome e cognome riportato sulla carta di circolazione rappresenti un consumatore finale; c) verificare che, nel caso di esibizione di scrittura privata, l’ultimo intestatario riportato sulla carta di circolazione coincida con il dante causa della scrittura privata, a garanzia della continuità dei passaggi". Nel caso in cui, poi, venga esibita o trasmessa una dichiarazione della società cedente-intracomunitaria di essersi avvalsa del regime del margine, "…Qualora dalla carta di circolazione risulti esclusivamente la presenza di società/imprese – considerato che in alcuni Paesi Membri non sussiste l’obbligo giuridico di trascrivere sulla carta di circolazione ì successivi proprietari dell’autoveicolo – l’Ufficio procederà alla predetta comunicazione al C.E.D. degli Uffici della Motorizzazione ndr ai tini della immatricolazione del veicolo dopo aver acquisito la dichiarazione di cui al precedente punto 3), corredata da idonea documentazione (ad esempio, la fattura di cessione tra i due soggetti esteri) dalla quale risulti verosimile, ad un primo esame preliminare, che il veicolo è assoggettabile al regime del margine…".

Appare dunque evidente come la predetta circolare amministrativa, invocata dal resistente, non esoneri affatto l’operatore nazionale dall’onere di fornire la prova della sussistenza delle condizioni di legge per fruire del regime del margine, limitandosi ad agevolarne il compito.

Le osservazioni che precedono rendono inconferente la tesi difensiva del resistente secondo cui il cessionario sarebbe chiamato ad un inesigibile sindacato di merito sulle valutazioni giuridiche compiute dal cedente mediante la dichiarazione apposta in fattura di essersi avvalso del regime del margine ne proprio Paese membro (in proposito il contribuente richiama il precedente di questa Corte n. 19624/2000). Nella specie non si tratta, infatti, di qualificare giuridicamente in modo diverso una fattispecie concreta esattamente definita e rilevata nei suoi elementi costitutivi (e dunque di operare un giudizio di sussunzione di una determinata vicenda economica nella fattispecie astratta descritta dalla norma che disciplina il regime fiscale speciale), quanto piuttosto di verificare se alla formula enunciativa apposta in fattura corrisponda effettivamente un fatto storico quale la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del soggetto-cedente.

2.3 Nello specifico caso la agevole rilevazione dai documenti di circolazione della qualità di autonoleggiatore delle società- cedenti, e quindi della qualità di soggetti "primi immatricolatori" che – secondo l’"id quod plerumque accidit" – acquistano autoveicoli da destinare alla propria attività imprenditoriale con conseguente legittimazione a portare in detrazione l’IVA versata in rivalsa sull’acquisto del bene strumentale, doveva indurre quanto meno nel dubbio la ditta cessionaria sulla effettiva applicabilità alla operazione economica del regime del margine, e quindi ad acquisire, preventivamente, dai cedenti ulteriori elementi comprovanti la mancata detrazione della imposta nel Paese membro da cui provenivano i veicoli, rimanendo escluso, in difetto di tale verifica, un incolpevole affidamento della società cessionaria fondato esclusivamente sulla mera annotazione nella fattura emessa dal cedente della applicazione del regime del margine.

Tale annotazione in fattura, infatti, non è sufficiente ad integrare un artificio o raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto – cessionario nonostante la dovuta diligenza impiegata (e dunque non costituisce ex se prova adeguata della buona fede del cessionario), laddove questi, sulla scorta degli stessi documenti indispensabili al perfezionamento della operazione commerciale pervenuti in suo possesso, possa agevolmente rilevare ulteriori elementi fattuali (nella specie il tipo di attività imprenditoriale svolta dalle società cedenti, avente ad oggetto il normale impiego dei veicoli come beni strumentali della impresa) che presentino una connotazione antitetica a quelle condizioni soggettive dell’operatore-cedente previste dalla legge per l’applicabilità del regime del margine di utile, e che impongono pertanto al cessionario che intenda beneficiare del regime agevolato l’onere di acquisire con la dovuta diligenza informazioni più dettagliate sull’effettivo assolvimento "a monte" dell’I VA in via definitiva da parte del cedente intracomunitario (ad esempio nel caso in cui gli autoveicoli siano stati utilizzati dalla società di noleggio come "fringe benefit" attribuito ai propri dipendenti e non come bene strumentale destinato – in via esclusiva o promiscua – all’esercizio della impresa) al fine di dirimere ogni possibile futura contestazione in ordine alla correttezza fiscale della operazione intracomunitaria.

2.4 E’ incorsa pertanto in errore di diritto la CTR abruzzese laddove, in contrasto con i principi di diritto affermati da questa Corte, da un lato, ha ritenuto che la applicazione in favore del cessionario del regime fiscale speciale richiedesse quale unica condizione la regolarità formale della fattura emessa dal cedente, con ciò attribuendo al documento contabile una efficacia probatoria di cui è privo (nella specie trattandosi di una mera dichiarazione con la quale si attesta che il cedente ha applicato a sua volta nel Paese membro in cui ha sede il regime del margine, senza alcuna specificazione dei presupposti giustificativi della applicazione di tale regime fiscale); dall’altro ha ritenuto che, pure a fronte della oggettiva difformità tra la natura della attività svolta della impresa cedente – soggetto passivo IVA – risultante dai documenti in possesso della ditta cessionaria e la dichiarazione (contenuta in fattura) dell’assolvimento a monte, in via definitiva, dell’IVA versata su acquisti di beni ordinariamente destinati da quel tipo di impresa all’esercizio della propria attività commerciale, fosse la PA a dover fornire la prova della insussistenza del presupposto richiesto dalla legge (indetraibilità dell’IVA a monte), e ciò in difformità dal principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la annotazione apposta in fattura non esonera il contribuente dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del regime del margine, le volte in cui la contestazione della Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi (quali, come nella specie, la attività commerciale di vendita veicoli ovvero di autonoleggio svolta dalla impresa cedente – soggetto passivo IVA – e la natura strumentale dei beni – autoveicoli dalla stessa acquistati per essere rivenduti sul mercato, ovvero per essere concessi in godimento dietro corrispettivo) che consentano di inferire, mediante Io schema logico della presunzione, dai fatti noti il fatto ignorato (detrazione dell’IVA corrisposta a monte), determinandosi in virtù della presunzione una inversione dell’"onus probandi" a carico del contribuente tenuto a dimostrare la sussistenza delle condizioni di fruibilità del regime del margine mediante la prova del fatto specifico che, nel caso concreto, consente di spiegare la deviazione dalla "normale" inferenza logica che viene tratta dai dati fattuali noti. Nè può obiettarsi che trattasi di prova diabolica, atteso che, come evidenziato dallo stesso resistente, nel caso in cui l’operatore comunitario – cedente – nella specie società di noleggio soggetto passivo IVA- dichiari in fattura di aver applicato a sua volta nel proprio Paese di residenza il regime del margine di utile, il cessionario dovrà farsi parte diligente ed acquisire le necessarie informazioni attestanti l’utilizzo che del bene acquistato nel proprio Paese di residenza ha fatto in concreto l’operatore comunitario – cedente o le ragioni dell’assolvimento in via definitiva dell’IVA da parte del medesimo soggetto al momento dell’acquisto del veicolo di occasione (come infatti riconosciuto dalla Corte di giustizia, anche la società che, nell’esercizio della propria attività commerciale, acquista veicoli da concedere a noleggio ovvero in leasing, può fruire del regime speciale dell’IVA sul margine di utile, qualora tale società abbia acquistato a sua volta un veicolo di occasione "allorquando, al momento di tale acquisto, la detta società non ha potuto dedurre l’IVA che resta incorporata nel prezzo di acquisto": Corte giustizia UE sez. 3^ sent.

8.12.2005 in causa C-280/04, Jyske Finans, paragr. 38 – nel caso esaminato dalla Corte di Lussemburgo la società di leasing di autoveicoli aveva acquistato i beni di occasione, poi rivenduti a terzi, "senza possibilità di dedurre VIVA compresa nel prezzo in quanto i venditori, ai sensi della normativa nazionale, non hanno potuto dichiarare l’IVA sul prezzo de veicolo": paragr. 16).

3. Con il secondo motivo la Agenzia ricorrente censura la sentenza di appello per omessa ed insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella parte in cui ha inteso ricollegare la prova della partecipazione – o comunque della consapevolezza – dell’ A. alla frode fiscale perpetrata dall’importatore nazionale società Autoimport di M.P. (che rivendeva alla ditta dell’ A. veicoli acquistati da operatori comunitari francesi ed inglesi, emettendo fattura con addebito di IVA in rivalsa che ometteva di versare all’Erario) esclusivamente alla dimostrazione di fatti indicativi del carattere fittizio della società intermediaria, quali la inesistenza di una sede o locali commerciali, la assenza di strutture organizzative e di personale adeguati, di risorse economiche e finanziarie idonee a supportare l’attività imprenditoriale.

Sostiene la Agenzia da un lato che le operazioni soggettivamente inesistenti possono essere realizzate anche da un soggetto dotato di propria autonomia organizzativa, laddove nei rapporti negoziali si realizzi il fenomeno della interposizione fittizia; dall’altro che la CTR, limitandosi ad accertare la consistenza organizzativa della società intermediaria, aveva del tutto omesso di valutare i numerosi indizi raccolti all’esito delle indagini svolte nei confronti della società Autoimport e dell’ A. dai quali emergeva la connivenza del secondo agli illeciti fiscali commessi dall’intermediario.

3.1 Il motivo è fondato.

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle c.d. "frodi carosello" (caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene da soggetto diverso da quello interposto o c.d.

"fantasma" che ha emesso la fattura incassando PIVA ed omettendo poi di versarla all’Erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, soltanto una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione (fittizia) della società cartiera o fantasma nella operazione che è invece – effettivamente – posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto (cedente/prestatore) che non figura nella fatturazione, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata "realmente" conclusa con esso, non essendo sufficiente all’uopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo "trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode" (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id.

11.3.2010 n. 5912, giurisprudenza costante: id. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id. 23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146). In proposito è stato precisato anche che il contribuente non può limitarsi ad invocare il giudicato penale di assoluzione per difetto dell’elemento soggettivo del reato (dolo), dovendo lo stesso, per far valere la propria buona fede, fornire altresì la prova della "assenza di colpa" in ordine alla ritenuta provenienza della merce dall’apparente cedente (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 9.6.2009 n. 13211 – che richiede la dimostrazione che la parte venditrice appariva – ex art. 1189 c.c. – legittimata a ricevere il pagamento dell’IVA "in base a circostanze univoche"-).

3.2 La prova della interposizione fittizia, diversamente da quanto ritenuto dai Giudici territoriali, non è vincolata alla necessaria assenza degli elementi organizzativi ed economici del soggetto interposto (mancanza di un sede o di locali idonei all’esercizio della impresa; mancanza di personale, di risorse finanziarie o di beni organizzati per l’esercizio della impresa; prolungata inattività commerciale), potendo tale aspetto costituire soltanto uno dei molteplici indizi da cui trarre la dimostrazione che il rapporto negoziale è intercorso realmente tra altri soggetti.

Nella specie la Amministrazione finanziaria aveva evidenziato negli atti difensivi dei precedenti gradi di merito come dal PVC redatto dai verificatori risultava che:

– le operazioni di compravendita veicoli tra Autoimport ed A. erano pari al 90% di quelle complessivamente svolte dalla predetta società – i veicoli venivano acquistati da operatori intracomunitari (prevalentemente dalla società francese AT CAR) dalla società Autoimport, senza applicazione dell’IVA detassata nel Paese di origine, e quindi rivenduti all’ A. sistematicamente ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, con addebito dell’IVA che non veniva tuttavia versata al Fisco.

– presso i locali della ditta dell’ A. sono stati rinvenuti documenti attestanti l’invio di offerte di acquisto di veicoli direttamente effettuate dall’ A. alla società francese AT CAR nonchè le offerte dei prezzi di vendita comunicate da quest’ultima direttamente all’ A. e bolle di consegna degli autoveicoli direttamente consegnati dal fornitore estero alla ditta dell’ A.; inoltre sono stati rinvenuti moduli di conferma di ordini di acquisto intestati alla società Autoimport e ad altra società di importazione dai bonifici bancari emessi dall’ A. sul c/c intestato alla società Autoimport risultava che il contribuente effettuava il pagamento in anticipo non soltanto rispetto alla emissione della fattura da parte di Autoimport, ma anche rispetto alla data delle fatture emesse dagli operatori comunitari nei confronti della società intermediaria Autoimport.

3.3 La valutazione degli indicati rilevanti elementi indiziari (addotti dalla Amministrazione finanziaria a sostegno della pretesa fiscale sul presupposto che l’ A. mediante il conto corrente di transito intestato ad Autoimport di fatto versasse direttamente il prezzo alla società intracomunitaria) è stata del tutto ingiustificatamente pretermessa dal Giudice territoriale sull’assunto motivazionale – non dirimente ai fini dell’accertamento della evasione di imposta, e comunque illogico ed errato ove volto ad ipotizzare la necessità di una prova "esclusiva" non prevista ex lege – che la società intermediaria disponeva di una autonoma organizzazione d’impresa.

La motivazione della sentenza impugnata risulta, pertanto, affetta dal vizio denunciato in quanto fondata su elementi di valutazione probatoria illogici e lacunosi, ed in quanto tale deve essere cassata.

4. In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale che, attenendosi ai principi di diritto enunciati al paragr. 2.2. della motivazione, provvederà ad emendare i vizi logici riscontrati nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Abruzzo che, attenendosi ai principi di diritto enunciati al paragr. 2.2. della motivazione, provvederà ad emendare i vizi logici riscontrati nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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