Cassazione Civile, Sentenza n. 12788 del 2011 Interposizione fittizia di società. Per l’avviso basta la presunzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

La sentenza
Nel ricorso dell’Amministrazione è stato rappresentato il fatto che dietro le triangolazioni commerciali si nascondeva un unico imprenditore. Questi, come evidenziava tra l’altro la verifica fiscale, era proprietario e amministratore della società svizzera, nonché socio di quelle italiana e tedesca. In definitiva, era in grado di stabilire le strategie economiche e di vendita di tutte e tre le società.

L’Amministrazione ribadisce anche “l’inefficienza economica, finanziaria e commerciale” delle operazioni commerciali realizzate dalle società.

Dalla documentazione contabile della società italiana, è emerso che la triangolazione posta in essere dalle imprese non rispondeva ad alcuna esigenza produttiva: la Srl italiana trasferiva i prodotti a una delle due società estere che, a sua volta, cedeva all’altra i beni che venivano poi venduti nel mercato tedesco. La società svizzera non partecipava affatto al ciclo di produzione e, dunque, la ripartizione secondo percentuali prestabilite del margine dell’utile conseguito tra le tre società non trova alcuna giustificazione se non nella volontà di eludere l’imposta da parte delle imprese.

Gli ispettori del fisco avevano accertato che il reddito prodotto dalla Srl italiana veniva depurato, in base al regime del margine lordo, dai ricavi conseguiti dalla società svizzera, in quanto la tassazione del paese elvetico, come noto, è più favorevole di quella italiana.

La Suprema corte, nella sentenza, ha voluto ribadire il principio (antielusivo) di diritto dell’imputazione diretta al contribuente “dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. Il fine della norma è proprio quello di evitare che, attraverso il compimento di azioni fraudolente che aggirerebbero il divieto imposto dalla normativa tributaria, venga sottratto a tassazione il reddito prodotto.

La Corte di cassazione non ha condiviso la nozione di interposta persona fornita nel giudizio di secondo grado. Ha chiarito che non si può semplicemente fare riferimento “alla presenza di uno schermo societario esclusivamente preordinato al fine della elusione della normativa tributaria”, perché la semplice presenza di un soggetto societario distinto da quello cui i redditi devono essere imputati non è sufficiente a far configurare il fenomeno dell’interposizione atteso che, come emerge dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione, “l’interposizione fittizia di persona costituisce dissimulazione parziale di una delle parti contraenti, nel senso che i diritti nascenti dal contratto sono effettivamente acquistati dall’interponente e non già dal contraente simulato (interposto): essa ha come necessario presupposto la partecipazione all’accordo simulatorio non soltanto dell’interponente e dell’interposto, ma anche del terzo contraente, la cui volontà negoziale deve, in ogni caso, essere diretta non solo a considerare la funzione meramente figurativa del contraente apparente, ma anche ad assumere diritti e obblighi nei confronti dell’interponente” (Cassazione 723/1979 e 8843/2007).

I giudici d’appello, nell’interpretare in modo restrittivo la norma sull’interposizione, non hanno valutato correttamente la rilevanza probatoria delle risultanze degli accertamenti fiscali da cui emergeva lo svolgimento di un’attività elusiva finalizzata alla sottrazione di ricavi dal reddito d’impresa.

In conclusione, osservano dai giudici di piazza Cavour, “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, prevede che gli uffici competenti, al fine di accertare la manovra elusiva del contribuente, possano avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 12.7.1999 n. 7338; id. 5^ sez. 7.5.2007 n. 10345; id. 5^ sez. 30.12.2009 n. 27964) e che tale prova può ritenersi raggiunta ove l’Amministrazione in base agli elementi indiziari offerti individui e precisi gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere che le operazioni, attuate mediante utilizzo di schemi negoziali tipici od atipici, debbano essere considerate come irragionevoli in una normale logica di mercato e dunque prive di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 17.10.2008 n. 25374; id. 5^ sez. 21.1.2009 n. 1465; id. 5^ sez. 22.9.2010 n. 20029)”.

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