Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-09-2011) 18-11-2011, n. 42605

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 23 agosto 2010, emessa su accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., il Tribunale monocratico di Ravenna applicava a A.A., esclusa la contestata recidiva, la pena di mesi dieci di reclusione per i reati, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 quater, e art. 6, accertati in (OMISSIS), revocando la sospensione condizionale della pena concessa all’imputato con sentenza 9 maggio 2008 del Tribunale di Forlì – sezione distaccata di Cesena.

2. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato personalmente deducendo vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena ed alla revoca della sospensione condizionale della pena concessa con precedente sentenza.

Motivi della decisione

1.- La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, ancorchè per motivi diversi da quelli dedotti in ricorso che sono evidentemente inammissibili. 2.- Riguardo al reato di cui alla lettera A9 della rubrica di imputazione rileva il Collegio che n data 28 aprile 2011 è stata depositata la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nel procedimento C-61/11 PPU, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento nell’ambito del procedimento a carico di H.E.D., imputato del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, in relazione alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante "norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare". 2.1.- Con la richiamata pronuncia la Corte Europea ha affermato l’incompatibilità del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, che puniva la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento dal territorio dello stato emesso dalla competente autorità, emesso nella specie dopo la scadenza dei termini previsti per il recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2008/115/CE analoga a quella di cui al successivo comma 5 quater ascritta al ricorrente, con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare nei giudizi di cognizione che il fatto non è previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione, per via di interpretazione estensiva, alla previsione dell’art. 673 ce.p.p. (cfr. Sez. 1, sent.

28.4.2011, n. 22105; Sez. 1., sent. 29.4.2011, n. 20130).

2.2.- La nuova formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 quater, – introdotta con il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni con la L. 2 agosto 2011, n. 129 – ha modificato, con ciò confermando nella sostanza l’intervenuta abolitio criminis, la fattispecie incriminatrice per cui non può ritenersi realizzata una continuità normativa con la precedente disposizione, non solo per lo iato temporale ma, soprattutto, per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta. Basti evidenziare che in base alla nuova normativa l’intimazione di allontanamento può essere emanata solo l’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria e allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (CIE).

Si tratta, all’evidenza, di una nuova norma incriminatrice che può dispiegare i suoi effetti solo con riguardo ai fatti verificatisi in epoca successiva alla sua entrata in vigore.

3.- Con riferimento al reato di cui al capo b) dell’imputazione deve essere rilevato che, dopo alcune incertezze interpretative in relazione alla effettiva portata della nuova formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, quale introdotta con la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. H, ed in particolare circa il contenuto abrogativo nei confronti dello straniero non regolarmente presente sul territorio dello stato – in senso contrario rispetto alla intervenuta abolitio criminis Sez. 1, Sentenza 23.9.2009, n. 44157, Rv. 245555, Calmus e Sez. 3, Sentenza 3.12.2010, n. 1857, Rv. 249310, Ben Ali – la sentenza S.U. del 24 febbraio 2011, n. 16453, ha definitivamente stabilito il principio secondo cui: "il reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell’attestazione della regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, e non anche degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della modifica del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, recata dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), che ha comportato una abolitio criminis, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare".

Ne consegue che la fattispecie di cui al cit. D.Lgs., art. 6, comma 3, quale attualmente vigente, esclude come soggetto attivo lo straniero in posizione irregolare. Nel caso di specie l’imputato A.A., al quale è stato contestato anche il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 quater, era sicuramente in posizione irregolare sul territorio dello stato e, pertanto, il fatto di non aver esibito il (OMISSIS) a richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso di soggiorno o altro documento equipollente, non costituisce reato.

4.- L’evidente inammissibilità del ricorso – trattandosi di gravame avverso sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato resa con motivazione adeguata ai parametri richiesti in riferimento alla particolare specie di decisione – non è incompatibile con la pronuncia di annullamento che deve conseguire alla abolizione del reato. Infatti resistono alla non consentita rilevabilità delle cause di non punibilità in presenza di ricorso inammissibile, le ipotesi di successione di leggi nel tempo di cui all’art. 2 c.p., ciò in quanto le definizioni di sentenza irrevocabile e di condanna, ricavabili dalla norma devono essere ricondotte alla nozione di giudicato formale, secondo una lettura combinata con quanto previsto dall’art. 673 c.p.p.. Ne consegue che fin tanto che la sentenza non è pervenuta alla definitività, non essendosi ancora realizzato il giudicato formale, spetta al giudice della cognizione prendere atto della avvenuta abolitio criminis ed annullare la condanna per il fatto divenuto privo di rilevanza penale.

5.- Per le ragioni sopra esposte la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in relazione ad entrambi i fatti contestati ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2 e dell’art. 129 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *