T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 22-12-2011, n. 3349

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Svolgimento del processo

Con il gravame in oggetto, ritualmente proposto, i ricorrenti hanno impugnato l’atto in epigrafe specificato recante il rigetto della richiesta di emersione dal lavoro irregolare, presentata dal sig. A.M. in favore del cittadino extracomunitario S.M., e ciò a cagione dell’esistenza, a carico di quest’ultimo, di una condanna ex art.14, comma 5 ter del D.Lgs. n.286 del 1998.

Gli istanti hanno sostenuto che l’atto impugnato sarebbe inficiato dai vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto alcuni profili ed hanno concluso chiedendone l’annullamento, previa sospensione.

Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione dell’Interno contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone la reiezione.

Con ordinanza 27.8.2010 n.918 questo T.A.R. ha accolto la formulata domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 5.12.2011, sentiti i patroni delle parti, la causa è stata assunta in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato alla stregua della motivazione della sentenza n. 8 resa dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria il 10 maggio 2011.

Nella pronuncia succitata, il giudice di appello ricorda, in primo luogo, che il decorso del termine (il 24 dicembre 2010) per il recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008 n. 2008/115/CE (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare) aveva già reso immediatamente applicabili le prescrizioni della stessa, trattandosi di una sopravvenienza normativa di matrice comunitaria nella materia de qua, le cui disposizioni risultavano sufficientemente precise e incondizionate, e, come tali, suscettibili di immediata applicazione negli Stati membri, secondo i principi ormai consolidati del diritto comunitario, potendone derivare il venir meno dell’efficacia dei precetti della corrispondente disciplina dettata dalla legge nazionale italiana sull’immigrazione, in quanto non compatibili con gli artt. 15 e 16 della Direttiva, e segnatamente dell’art. 14, comma 5ter del d.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998.

Il Collegio richiama, poi, la pronuncia della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011 in causa C61/11 PPU, la quale, premettendo la sussistenza delle condizioni per ritenere l’immediata applicabilità della Direttiva 2008/115, posto che è inutilmente decorso il termine fissato per il recepimento da parte dello Stato Italiano, e che le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 si presentano sufficientemente precise ed incondizionate, così conclude: "… la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo".

La suddetta Adunanza Plenaria, premettendo che il legislatore italiano, nell’esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva n. 115 del 2008 (art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli), ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo (art. 1ter, comma 11, l. n. 102 del 2009), a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico e che tale misura non può, tuttavia, essere concretamente accordata dall’Amministrazione ove sia stata emessa condanna dello straniero interessato per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, del d.lgs. n. 286/98 – che punisce lo straniero che non abbia osservato l’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato – afferma, poi, che la previsione di tale fattispecie penale, e le conseguenti condanne, non sono più compatibili con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio.

In conformità all’orientamento costantemente seguito dalla Corte di Lussemburgo (a partire dalla sentenza Simmenthal in causa 106/77), e dalla stessa Corte costituzionale italiana (con la sent. n. 170 del 1984 e successive), anche la suddetta sentenza del giudice comunitario del 28 aprile 2011 afferma che è compito del giudice nazionale assicurare la "piena efficacia" del diritto dell’Unione, negando l’applicazione, nella specie, dell’art. 14, comma 5ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla Direttiva n. 115 del 2008, suscettibile di diretta applicazione.

"L’effetto di tale diretta applicazione- ha puntualizzato la Corte – non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest’ultima da parte del giudice nazionale al caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario." (Corte Cost. n. 168 del 1991).

Il supremo consesso amministrativo conclude affermando che l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali, non potendo tale retroattività non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato.

Né, a parere del Collegio di secondo grado, tale conclusione sarebbe ostacolata in modo persuasivo dalla tesi, prospettata dall’ordinanza di rimessione, secondo cui, per il principio tempus regit actum, sarebbero da ritenere comunque legittimi gli atti amministrativi adottati antecedentemente al mutamento della normativa.

Il principio tempus regit actum esplica, infatti, la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento, mentre tale circostanza non si verifica ove, come nella specie, siano stati esperiti gli idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato.

Si legge, infatti, nella pronuncia succitata che: "Non diversamente da quanto accade a seguito dell’accoglimento della questione incidentale di legittimità costituzionale, benché sulla base di una differente ricostruzione dei rapporti tra le diverse fonti coinvolte, è da ritenere che le disposizioni espunte dall’ordinamento per effetto della diretta applicabilità di norme comunitarie non possano più essere oggetto di applicazione, anche indiretta, nella definizione di rapporti ancora sub judice ".

Alla luce delle suesposte considerazioni, alle quali il Collegio si riporta integralmente, il ricorso deve essere accolto, disponendosi il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Sussistono, tuttavia, in considerazione della peculiarità della controversia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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