Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-11-2011) 21-11-2011, n. 42899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti C.R., F.L. e M.L.1 impugnano la sentenza di cui in epigrafe, che ha:

– quanto al C., confermato la condanna alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed Euro 5000 di multa inflitta in primo grado per due reati D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5;

– quanto al F., confermato la responsabilità per otto episodi in materia di droga, riconoscendo peraltro l’attenuante di cui al cit. art. 73, comma 5 e irrogando la pena di anni due e mesi tre di reclusione ed Euro 5000 di multa (p.b. a.3 e m. 9 ed Euro 9000 – 1/3 ex art. 62 bis c.p., aum. ex cpv. art. 81 c.p. ad a.3 e m. 4 gg. 15 ed Euro 7500, dim. di 1/3 per il rito);

– quanto al M., assolto il medesimo per insussistenza del fatto dal reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, e confermato la responsabilità per 38 reati ex art. 73 citato D.P.R., con condanna dello stesso alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 60000 di multa (p.b. a.9 ed Euro 90000 – 1/3 ex art. 62 bis c.p., aum. ex cpv. art. 81 c.p. ad a.9 ed Euro 90000, dim. di 1/3 per il rito).

C. deduce il vizio di motivazione sul riconoscimento di responsabilità.

F. deduce che:

– non sono stati evidenziati elementi sufficienti per escludere la destinazione della droga all’esclusivo uso personale dell’imputato;

– nella determinazione della pena detentiva la Corte d’appello è immotivatamente partita da una pena base superiore alla metà del massimo edittale, diversificandola completamente, sotto tale profilo, dalla pena pecuniaria.

M. deduce che nella determinazione della pena detentiva la Corte d’appello è immotivatamente partita da una pena base superiore della metà rispetto al minimo edittale ed ha immotivatamente applicato un aumento di tre anni per la continuazione, superando in tal modo anche l’aumento di due anni applicato a tale titolo dal primo giudice.

Motivi della decisione

Il ricorso del C. è inammissibile, in quanto del tutto generico e manifestamente infondato a fronte della motivazione rinvenibile nella sentenza impugnata.

Inammissibile è anche il ricorso del F., in quanto:

– la tesi sostenuta col primo motivo è ampiamente smentita dalla motivazione resa nella sentenza impugnata, donde si evince non la mera intenzione ma la effettiva destinazione della droga a terzi;

– relativamente al secondo motivo, dal complessivo tenore delle motivazioni delle sentenze di merito emergono chiaramente le ragioni della commisurazione della pena (v. il riferimento, contenuto nella prima pronuncia, alle condanne precedenti, e quello, recato dalla sentenza impugnata, alla pluralità delle cessioni, che, solo perchè limitata, ha consentito il riconoscimento dell’attenuante speciale), in ordine alla quale peraltro non si adducono nel ricorso specifici elementi giustificativi di un trattamento più favorevole, fatta eccezione della deduzione, del tutto irrilevante (Cass. sent.

02.05.2001, Frascogna), di una diversa misura percentuale della pena detentiva rispetto a quella pecuniaria in riferimento ai rispettivi massimi edittali.

Alla inammissibilità dei predetti ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del C. e del F. al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione della causa di inammissibilità, si stima equo determinare per ciascuno in Euro 1000. Venendo al ricorso del M., si osserva che, in ordine alla pena base, vi è, nella sentenza impugnata, il riferimento alla gravità complessiva dei fatti, che costituisce un parametro giustificativo dell’uso del potere discrezionale riconosciuto in materia al giudice di merito, tenuto anche conto della prossimità della pena individuata al minimo edittale. Illegale, invece, è l’aumento di tre anni a titolo di continuazione, in quanto superiore a quello, di due anni, applicato allo stesso titolo nella sentenza di primo grado in riferimento, per di più a un numero di reati satelliti superiore di una unità a quello residuato (dopo l’assoluzione dal reato associativo e l’assunzione a reato base di uno dei reati D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73). La sentenza impugnata deve, pertanto essere, nei confronti del M., annullata con rinvio sull’aumento di pena a titolo di continuazione. Va da sè che la stessa acquista da oggi autorità di cosa giudicata in ordine alla pena per il reato base, pari ad anni quattro di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti del M. in ordine all’aumento di pena a titolo di continuazione e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta nel resto il ricorso del M..

Dichiara inammissibile i ricorsi del C. e del F., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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