Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-11-2011) 21-11-2011, n. 42907

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.S., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 23 marzo 2011 del Tribunale di Reggio Calabria (la quale, decidendo sul riesame della misura applicativa della custodia cautelare in carcere 28 febbraio 2011 del G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, in relazione all’accusa ex art. 416 bis cod. pen., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 ha confermato il provvedimento cautelare), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

Il provvedimento impugnato considera P.S. collocato nella ‘ndrangheta all’interno della Società di Rosarno quale partecipe (pag. 24) e tanto sarebbe stato desunto dalla vicenda del rito dell’affiliazione celebrato l’11 agosto 2009 in un appezzamento sito in contrada Serricella di Rosarno, nei terreni di proprietà di M.M. (padre di M.R.), "mastro di giornata della Società di Rosarno. Tale conclusione ha trovato riscontro in una serie di conversazioni ambientali e dai servizi di Polizia giudiziaria (O.C.P.) presso la contrada in questione.

Con un unico motivo di impugnazione si prospetta sostanzialmente un vizio di motivazione del provvedimento impugnato, peraltro profilato senza neppure l’indicazione di sintesi del vizio e delle norme che si pretendono violate.

Il motivo si incentra in una serie di critiche sulle conclusioni del Tribunale del riesame, circa la presenza del ricorrente alla riunione 11 agosto 2009, in contrada Serricella di Rosarno, nei terreni di proprietà di M.M. (padre di M.R.), nel corso della quale si sarebbe svolto un rito di affiliazione.

In particolare, si rileva: a) che il P.M., pur disponendo degli stessi dati qui utilizzati, non abbia chiesto la misura cautelare in occasione della "prima operazione crimine"; b) che non vi è prova che il figlio di " P.M.", coincida con la persona dell’odierno ricorrente; e che, comunque tale P.M. corrisponda al padre dell’odierno indagato; c) che, in ogni caso, difetterebbe pur sempre la prova che tra i due figli di P. M., S. e F., nella specie si trattasse di S. e non di F.; d) che va considerato "strano se non incredibile" che l’8 e l’11 agosto 2009 un militare abbia potuto riconoscere il F. in compagnia di B.D.; e) che, in relazione alla riunione dell’11 agosto, è segnalata – a seguito di controllo – la presenza di F. nel centro urbano di Rosarno alle ore 20,05, zona ben lontana dalla Contrada Serricella, luogo nel quale e nei cui pressi il ricorrente in quel contesto non fu mai individuato come presente; f) che risulta erronea l’interpretazione – data nel provvedimento – al tenore della conversazione ambientale 14 agosto 2009, tenuto anche conto dell’assenza del B.D. dalla riunione di affiliazione;

g) che non è stato invece apprezzato il favorevole contenuto della conversazione ambientale 16 agosto 2009, e si è attribuito scorretto valore indiziario alla circostanza del rapporto con O. D..

Il motivo è palesemente inammissibile per più profili.

Va subito premesso che per consolidata giurisprudenza in materia di misure cautelari personali, la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientrano tra i compiti istituzionali del giudice di merito e sfuggono al controllo del giudice di legittimità se adeguatamente motivate e immuni da errori logico-giuridici.

Invero a tali scelte e valutazioni non può infatti opporsi, laddove esse risultino, come nella specie, correttamente motivate, un diverso criterio o una diversa interpretazione, anche se dotati di pari dignità (Cass. Penale sez. 6^, 3000/1992, Rv. 192231 Sciortino).

Inoltre va ribadito che il ricorso per cassazione, il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, assenza delle esigenze cautelari è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando -come nella vicenda- propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass. pen. sez. 5^, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro. Massime precedenti Vedi: N. 11 del 2000 Rv. 215828, N. 1786 del 2004 Rv. 227110, N. 22500 del 2007 Rv. 237012, N. 22500 del 2007 Rv. 237012).

Nella fattispecie, nessuna di tali due evenienze -violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – risulta essersi verificata, a fronte di una motivazione che è stata in concreto diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.

Il ricorso è dunque, inammissibile per manifesta infondatezza e, a norma dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Inoltre, non conseguendo dalla decisione la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, ex art. 94 ter disp. att. c.p.p., comma 1, la trasmissione di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, per gli adempimenti di rito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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