Cass. civ. VI – 1, Sent., 31-05-2012, n. 8792

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con distinti ricorsi depositati nel 2008 presso la Corte d’appello di Roma, E.G. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di altrettanti giudizi che ciascuno di essi aveva introdotto dinnanzi al TAR del Lazio con ricorsi depositati nel mese di febbraio 2000, non ancora definiti alla data di presentazione della domanda.

L’adita Corte d’appello, riuniti i giudizi, detratta la durata ragionevole di tre anni dei giudizi presupposti, ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per cinque anni e ha liquidato in favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 2.500,00, computata sulla base di un importo di Euro 500,00 per anno di ritardo, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo.

Per la cassazione di questo decreto E.G. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; l’intimata amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 cod. proc. civ. dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia disposto la riunione dei giudizi proposti individualmente da ciascuno di essi ricorrenti in relazione al giudizio da ciascuno di essi proposto dinnanzi al TAR; giudizi definiti con distinte sentenze depositate il 21 luglio 2009. La Corte d’appello avrebbe errato nel disporre la riunione atteso che, nel caso di specie, non vi era alcun medesimo processo presupposto e mancando del tutto il requisito della connessione.

Il motivo è inammissibile.

E’ noto che i provvedimenti di riunione e separazione di cause costituiscono esercizio del potere discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera opportunità, con la conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di legittimità e non comportano, per gli effetti che ne discendono sullo svolgimento dei processi (riunione o separazione degli stessi), alcuna nullità (Cass. n. 11187 del 2007; Cass. n. 9336 del 2004).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, nonchè violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, lamentando la violazione dei parametri individuati dalla giurisprudenza della Corte europea e dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla determinazione dell’indennizzo per anno di ritardo, che non può essere inferiore a 1.000,00 Euro per anno. I ricorrenti sostengono altresì la inidoneità delle argomentazioni esposte dalla Corte d’appello al fine di ridurre il detto importo (istanza di prelievo;

accoglimento istanza cautelare).

Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai principio acquisito quello per cui il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16036 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un1interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 16036 del 2009; Cass. n. 819 del 2010).

Le argomentazioni adottate dalla Corte d’appello a sostegno della riduzione della liquidazione dell’indennizzo non appaiono idonee a sostenere la decisione, essendo comunque assai rilevante lo scostamento dagli indicati parametri. In particolare, l’eventuale ritardo nella presentazione della istanza di prelievo, non incide sul diritto della parte alla ragionevole durata del giudizio presupposto e alla configurabilità del relativo pregiudizio; così come l’accoglimento di una istanza cautelare – peraltro parziale, secondo quanto dedotto in proposito dai ricorrenti – non è di per sè idoneo a ridurre in misura così significativa l’importo dell’indennizzo.

L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del terzo, con il quale i ricorrenti si dolgono della insufficiente liquidazione delle spese del procedimento, per effetto della indebita riunione disposta dalla Corte d’appello in assenza dei presupposti.

Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in cinque anni, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve riconoscere a ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo di Euro 4.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), confermandosi, in mancanza di ricorso incidentale, la statuizione dettata per il giudizio di merito dalla Corte d’appello, atteso che, escluso che possa essere posto in discussione il provvedimento di riunione, stante la dichiarata inammissibilità del primo motivo di ricorso, la somma liquidata per spese, diritti e onorari dal giudice di merito è di gran lunga superiore a quella spettante ai ricorrenti in relazione al valore della causa (Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi), anche nel caso in cui a detto importo si applichi la maggiorazione fino al 20% per ciascuna delle parti ricorrenti oltre alla prima e sino alla decima e del 5% per le parti oltre la decima e sino alla ventesima ( D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4). Sulle spese del giudizio di legittimità si ritiene di applicare una maggiorazione del 20% per le parti ulteriori rispetto alla prima e sino alla decima e del 5% per le parti ulteriori (Euro 565,00 per onorari + Euro 1.328,00 a titolo di maggiorazione). Le spese, come liquidate, devono essere distratte, quanto a quelle di primo grado, in favore dei difensori Ugo, Massimiliano e Andrea Sgueglia e, quanto al giudizio di legittimità, in favore degli Avvocati Ugo e Andrea Sgueglia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 4.450,00, di cui Euro 2.650,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.893,00, per onorari, oltre ad Euro 100,00 per esborsi e alle spese generali e agli accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese, quanto a quelle di primo grado, in favore dei difensori Ugo, Massimiliano e Andrea Sgueglia e, quanto a quelle del giudizio di legittimità, in favore degli Avvocati Ugo e Andrea Sgueglia.

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