Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8786 Variazioni del lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- L’impresa Frasson Lodovico s.r.l., in esecuzione di un contratto di appalto stipulato il 15 novembre 1990, effettuò lavori di miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie della caserma (OMISSIS). Sul presupposto che dal prezzo già corrisposto era stato detratto, nel certificato di collaudo e nel conto finale di liquidazione, quanto dovutole per il riempimento degli scavi effettuato con materiale (sabbione e moniglio) più costoso rispetto al materiale di risulta pattuito, l’impresa chiedeva che le fosse accreditato l’intero importo richiesto, che fosse dichiarata nulla o inefficace la detrazione applicata e che il Ministero della difesa fosse condannato a pagare il saldo dei lavori, pari a L. 2.182.157, oltre interessi; in subordine, chiedeva la condanna del Ministero a titolo di indebito arricchimento. Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 14 febbraio 2005, in accoglimento della domanda principale, condannò il Ministero della difesa a pagare all’appaltatrice l’importo sopra indicato.

2.. Il Ministero propose appello, deducendo che nulla era dovuto all’impresa, la quale aveva introdotto una variazione al lavoro assunto non autorizzata per iscritto nè indispensabile o necessaria, in violazione del R.D. 17 marzo 1932, n. 366, art. 18, u.c., non essendo ammessa un’autorizzazione verbale del direttore dei lavori, neppure approvata dall’Amministrazione committente.

3.- La Corte di appello di Venezia lo rigettò con sentenza del 21 luglio 2010, osservando che l’appellante non aveva sollevato censure all’accertamento del tribunale in merito alla decisione assunta dal direttore dei lavori, con ordine verbale, di modificare, per motivi di sicurezza, la sezione degli scavi e di utilizzare un materiale migliore di quello pattuito in contratto; che il richiamato art. 18 doveva essere interpretato nel senso che l’ordine scritto del direttore dei lavori era richiesto solo per le varianti suggerite e/o attuate dall’appaltatore, non per quelle eseguite su iniziativa della stessa committente per il tramite della direzione dei lavori; che tale interpretazione era confermata dal medesimo art. 18 che attribuiva al direttore dei lavori la facoltà di ordinare la demolizione delle opere eseguite dall’appaltatore senza un’autorizzazione scritta, oppure di conservarle contabilizzandone l’importo; che, nella specie, il direttore dei lavori aveva deciso di non chiedere la demolizione dell’opera e di contabilizzarne nello stato finale il maggior costo, così riconoscendo come dovuta la somma richiesta dall’impresa a saldo del prezzo.

4.- Il Ministero della difesa propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’impresa Frasson resiste con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. n. 366 del 1932, art. 18 che vieta all’appaltatore di realizzare varianti ai lavori deliberati in contratto senza un ordine scritto del direttore dei lavori approvato dalla stazione appaltante, secondo una regola generale in materia di appalti di opere pubbliche.

2.- Il secondo motivo denuncia contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere desunto la fondatezza della richiesta di pagamento dell’impresa dalla circostanza che la committente non aveva disposto la rimozione dell’opera eseguita arbitrariamente dall’appaltatore, mentre ciò era giustificato poichè sarebbe stato eccessivamente oneroso e contrastante con il principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica. La ricorrente contesta anche l’affermazione dei giudici di appello di non avere essa sollevato censure alla sentenza di primo grado in merito, tra l’altro, all’uso del diverso materiale da parte dell’appaltatore, avendo invece escluso (nell’atto di appello e in comparsa conclusionale) che il direttore dei lavori e il collaudatore avessero mai espresso un giudizio di opportunità tecnica a proposito della variante in questione.

3.- I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.

Il R.D. n. 366 del 1932, art. 18, u.c., (condizioni generali di appalto dei lavori del Genio Militare) prevede espressamente che "nessuna variazione ai lavori può essere eseguita dall’appaltatore di sua iniziativa e senza ordine scritto dell’Amministrazione".

L’interpretazione di tale norma offerta dalla sentenza impugnata nel senso che un ordine scritto non sarebbe necessario per le variazioni eseguite su iniziativa della stessa committente, ma solo per quelle attuate e/o suggerite direttamente dall’appaltatore, non è condivisibile. Infatti, anche le variazioni disposte dall’Amministrazione (che "l’appaltatore è obbligato ad eseguire", sempre che "non mutino essenzialmente la natura del complesso delle opere e non accrescano o riducano di oltre un quinto l’importo dell’appalto": art. 18, comma 1) devono essere ordinate "per iscritto" dal direttore dei lavori ed è comunque escluso che per esse "l’appaltatore possa pretendere alcun indennizzo o compenso" (art. 18, comma 2).

La giurisprudenza della Corte in materia di appalti di opere pubbliche è nel senso che l’ordine scritto non è neppure sufficiente a giustificare il pagamento del maggiore compenso richiesto dall’appaltatore in mancanza dell’approvazione che dev’essere data dalla stazione appaltante nelle forme di legge (Cass. n. 11365/1999) e i cui estremi devono essere preventivamente e specificamente indicati nell’ordine scritto (Cass. n. 5278/2007, n. 9701/1990). I lavori addizionali possono essere "sanati" soltanto se espressamente riconosciuti dall’amministrazione in sede di collaudo (Cass. n. 10726/1992) o "riassunti in una c.d. perizia di variante successivamente approvata" (Cass. n. 6470/1998, n. 5172/1994); anche le variazioni disposte dal direttore dei lavori in via d’urgenza, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità amministrativa, devono essere riconosciute nel verbale di collaudo (approvato) come indispensabili alla realizzazione dell’opera (Cass. n. 5278/2007 cit., n. 5792/1982, n. 745/1979, n. 4430/1977).

E’ una giurisprudenza che, pur non riguardando specificamente gli appalti delle opere militari, esprime principi di carattere generale in materia di opere pubbliche sulla base di disposizioni normative chiare nel senso che "nessuna variazione o addizione potrà essere eseguita dall’appaltatore senza l’ordine scritto dell’ingegnere direttore, nel quale sia citata la intervenuta approvazione superiore…." (R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 20, comma 7; v. anche il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 13, commi 1 e 2); ogni variazione o aggiunta a un progetto già in corso non prevista in contratto, che dia luogo ad alterazione dei prezzi di appalto, è consentita solo mediante presentazione di una perizia suppletiva da parte del direttore dei lavori all’Amministrazione cui spetta decidere se accordarla o meno (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 343 abrogato dal D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 358); "Non può l’appaltatore sotto verun pretesto introdurre variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere direttore, nel qual ordine sia citata la intervenuta superiore approvazione" (L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 342, comma 1, abrogato dal D.P.R. n. 207 del 2010 cit.);

"Nessuna variazione o addizione al progetto approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante" (D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 134, comma 1, abrogato dal D.P.R. n. 207 del 2010, ma riprodotto nel D.P.R., da ultimo citato, art. 161, comma 1).

Non vale richiamare in senso contrario l’art. 1661 c.c., il quale non richiede la forma scritta dell’ordine del committente su iniziativa del quale la variazione è disposta, o l’art. 1659 c.c., secondo cui l’autorizzazione del committente alle variazioni del progetto concordate deve essere data per atto scritto soltanto ad probationem.

Tale normativa in materia di appalti tra privati, infatti, non trova applicazione agli appalti di opere pubbliche, nei quali le variazioni in corso di esecuzione e i lavori aggiuntivi richiedono la forma scritta ad substantim (Cass. n. 3455/1971), e quindi nemmeno agli appalti per le opere militari, disciplinati dalla lex specialis di cui al R.D. n. 366 del 1932.

La sentenza impugnata ha fatto erronea applicazione dei suddetti principi, avendo ritenuto che un ordine scritto non fosse necessario e che non fosse necessaria l’approvazione nelle forme di legge da parte dell’Amministrazione (la quale, nella, specie, la rifiutò, avendo il collaudatore, come si da atto nella sentenza impugnata, disposto la correzione del certificato di collaudo e del conto di liquidazione). Nè è possibile ritenere che, non avendo provveduto alla demolizione, l’Amministrazione avrebbe accettato l’opera eseguita indebitamente, in quanto utile, trattandosi di formalità (quelle concernenti l’ordine scritto e l’approvazione nei modi previsti dalla legge) non surrogabili da una postuma (ipotetica) accettazione tacita da parte dell’Amministrazione (v. Cass. n. 3953/1982).

4.- Il ricorso va quindi accolto e conseguentemente va cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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