Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8784 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 13/1/2000, il Fallimento Costruzioni Raguso s.r.l. agiva in giudizio nei confronti di D. P.P.A., esponendo che con atto notaio Grassano del 18/5/98, la società, dichiarata fallita il (OMISSIS), aveva venduto al convenuto un appartamento, un locale a piano terra e un garage, facenti parte del fabbricato sito in (OMISSIS), nel NCEU al fg. 71, part. 1887 sub 5, per il prezzo di L. 642.500.000, e che il D.P. era consapevole dello stato di insolvenza della società, atteso il deposito di istanza di fallimento in precedenza e viste le iscrizioni di ipoteche giudiziali a favore della Banca Mediterranea s.p.a. sugli immobili compravenduti, menzionate nell’atto pubblico.

Tanto premesso, il Fallimento chiedeva revocarsi l’atto di compravendita L. Fall., ex art. 67, comma 2, con condanna alla restituzione degli immobili, al risarcimento dei danni, sulla base del valore locativo degli stessi, e vittoria di spese.

Il convenuto si costituiva, contestava la sussistenza del requisito soggettivo, avendo sottoscritto il preliminare il 23/3/95 e pagato l’intero prezzo prima del definitivo; deduceva che le ipoteche giudiziali afferivano a crediti contestati dalla fallita e non ammessi allo stato passivo, mentre nessuna conoscenza poteva avere avuto della domanda di fallimento presentata dal Banco di Napoli;

spiegava riconvenzionale, per il credito derivante dai miglioramenti eseguiti, da esigersi in prededuzione, e subordinava il rilascio al soddisfacimento di detto credito.

Il Tribunale di Matera, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava inefficace l’atto di compravendita, condannava il convenuto al rilascio degli immobili ed al pagamento a favore della Curatela degli interessi legali sul valore dei beni ed alle spese, dichiarando improcedibile la domanda riconvenzionale del D.P..

La Corte del merito, con sentenza depositata il 2/7/2010, ha respinto l’appello avanzato dal D.P., ritenendo condivisibile la valutazione del Tribunale in relazione al requisito soggettivo, nella specie, avuto riguardo alle due ipoteche giudiziali di importo complessivo di L. 240.000.000, iscritte il 20/3/98, che costituivano un evidente sintomo della concreta difficoltà della venditrice di adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi normali, non essendo nemmeno ipotizzabile che il D.P., professionista operante in (OMISSIS), nella stessa città di limitate dimensioni, ove aveva sede la società, non si fosse prefigurato, quantomeno come eventualità, lo stato di difficoltà della venditrice.

Le risultanze dei bilanci confermavano lo stato di decozione,1 in particolare, dalla relazione degli amministratori al bilancio dell’esercizio 1996, si evincevano l’assenza di dipendenti e la sostanziale paralisi dell’attività; e tale quadro indiziario non era scardinato dall’assenza di protesti e procedure esecutive. Ricorre il D.P., sulla base di un unico articolato motivo.

Si difende il Fallimento con controricorso.

Motivi della decisione

1.1.- Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la Corte del merito tenuto conto di quanto dalla parte argomentato e fatto valere, in specie, nella comparsa conclusionale. Secondo il D.P., le due garanzie reali di per sè non sono elementi fondamentali ed esaustivi; la Corte del merito non ha considerato che gravavano anche su tutte le altre porzioni dell’immobile, erano state iscritte per L. 240.000.000 a garanzia di un credito di 153.728.438, assolutamente irrisorio rispetto al valore del patrimonio immobiliare della società, ed in forza di decreti ingiuntivi opposti; che nell’atto pubblico, il legale rappresentante della Raguso aveva fatto presente la pendenza di trattative e garantito la cancellazione del vincolo reale entro il 30/9/98, ed effettivamente la controversia era stata definita, tanto che la Banca non era stata ammessa al passivo.

Secondo il ricorrente, la Corte del merito non ha tenuto conto dei "concreti collegamenti" che avrebbero potuto permettere di ritenere effettivamente conosciute le ipoteche; non ha valutato le dichiarazioni dell’appellante, di non essere (OMISSIS), di essere vissuto a (OMISSIS) e di avere cambiato residenza dopo l’atto; ove avesse il D.P. potuto accedere ai bilanci, mai avrebbe potuto valutarli in senso tecnico, atteso che svolge attività di medico odontoiatra; in ogni caso, dai bilanci non risultano indici di insolvenza, e la Corte del merito non ha valutato rilevante la mancanza dei protesti e delle azioni esecutive.

2.1.- Il motivo è infondato ed in parte inammissibile. Va in primis respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata specialità della procura, ex art. 365 c.p.c., atteso l’orientamento che privilegia la collocazione della procura, nel caso a margine del ricorso, idonea a conferire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura in questione al giudizio cui l’atto accede, salvo che non risulti il contrario dal testo della stessa (così tra le tante, le pronunce 29785/2008, 2000/46, 288/1999); nel caso, infine, va valorizzata l’elezione di domicilio in Roma, che costituisce indubbio sintomo della riferibilità al giudizio di cassazione (su tale principio, si richiama la pronuncia 13414/2001).

Ciò posto, si deve concludere nel senso che la Corte del merito ha evidenziato gli elementi indiziari fatti valere dalla Curatela e già valorizzati dal Tribunale (le due ipoteche giudiziali gravanti sull’immobile compravenduto, per l’importo complessivo di L. 240.000.000, iscritte il 20/3/98, menzionate nell’atto pubblico per notaio Grassano del 18/5/1998, le risultanze dei bilanci ed in particolare, la relazione degli amministratori allegata al bilancio di esercizio dell’anno 1996) e, partendo dal normale criterio di diligenza ed avvedutezza gravante sul D.P., tra l’altro professionista operante nella stessa città, di limitate dimensioni, ove aveva sede la società venditrice, ha argomentato ampiamente e congruamente in relazione a detti gravi elementi indiziari, che, anche in assenza di protesti cambiari e di procedure esecutive a carico della società, erano idonei a provare che il D.P. fosse assolutamente consapevole dell’impossibilità della venditrice di adempiere alle obbligazioni contratte e del conseguente depauperamento del patrimonio della stessa per effetto del perfezionamento della compravendita in oggetto.

Nel resto, il ricorrente vorrebbe inammissibilmente operare una diversa interpretazione degli elementi probatori evidenziati dal Giudice del merito; come affermato, tra le altre, nella pronuncia 15489 del 2007.

Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti." (conformi, le pronunce 23929/07 e 18119/08, tra le altre).

2.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto, e il ricorrente va condannato alle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5000,00, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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