Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-11-2011) 21-11-2011, n. 42901

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.F.A., ricorre, a mezzo del suo difensore, deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati, avverso il decreto della Corte d’Appello di Reggio Calabria in data 21 dicembre 2010, con il quale, in parziale riforma del Decreto 21 aprile 2010 del Tribunale di Reggio Calabria, è stata annullata la confisca della "porzione di fabbricato in Siderno" e confermata la confisca degli altri beni.

1.) l’impugnazione del B.F.A..

Con un unico motivo di impugnazione si prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, per essere il decreto impugnato affetto da nullità, in quanto dotato di una motivazione apodittica ed apparente, riguardo alla conferma della disposta confisca; in relazione alla restante porzione di immobile, riportata al foglio 33 particella 802, subalterno 4, di proprietà dell’odierno ricorrente.

Il ricorso sostiene l’apparenza dell’argomentare del decreto, sulla base della considerazione della sostanziale elusione del rappresentato conflitto "teorico" che si è prospettato in seno al medesimo Tribunale Misure di Prevenzione.

Realtà questa che – ad avviso del difensore – si è tradotta nell’adozione di due pronunce di segno "contraddittorio" in riferimento alla medesima operazione economica analizzata, in tempi diversi, dal Tribunale adito, il quale non ha tenuto conto che la compravendita che ha visto acquirenti di un appartamento ciascuno i fratelli B., da un lato, e le sorelle A. e T., quali venditori, dall’altro va collocato nel quadro di "una regolamentazione anticipata dei rapporti di successione ereditaria":

ragionevolmente un negozio simulato, ma non certo una illecita accumulazione.

2.) le conclusioni del Procuratore generale e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Il Procuratore generale osserva nelle sue conclusioni che la Corte d’Appello ha accolto in parte l’appello del B., mantenendo però ferma la confisca dell’immobile in questione, ritenendo che il ricorrente, cui è applicata una misura di prevenzione, non disponesse di redditi sufficienti per l’acquisto.

Il ricorso – rileva sempre il Procuratore generale- si incentra su due punti.

In primo luogo si afferma che la decisione è in contrasto con quella adottata nei caso analogo, concernente il fratello B.M..

L’immobile del ricorrente, infatti, fu oggetto di un negozio in tutto simile a quello contestualmente effettuato dal fratello e riguardante altra parte del medesimo fabbricato.

Mentre per B.M. si è riconosciuta la simulazione dell’atto e la sua riconducibilità a una divisione tra congiunti dei beni dei genitori ante mortem, ciò è stato escluso per B. F.A..

In secondo luogo, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che i redditi del prevenuto fossero insufficienti per l’acquisto, se non simulato, visto che la documentazione relativa a un risarcimento danni, in favore della madre,era successivo alla data dell’acquisto dell’immobile. Non considerava però la Corte – ad avviso della difesa – che il fabbricato era ancora incompleto al momento del negozio di compravendita e che la documentazione prodotta concerneva il completamento dello stesso, avvenuto in epoca successiva.

Su tali premesse la parte pubblica ha escluso che vi sia contrasto tra le due citate decisioni.

Si annota infatti, come risulta dal testo stesso del ricorso, che nella specie non fu affermato il carattere simulato del negozio, ma si è semplicemente accertato che i redditi del B.M., per il quale vi è stata la diversa favorevole decisione, erano idonei e adeguati per sostenere l’impegno dell’acquisto.

Tale favorevole valutazione ha quindi riguardato persona diversa da quello per il quale oggi si procede.

Per il resto, conclude il Procuratore generale, si verte nel campo della correttezza e fondatezza della motivazione, insindacabile in questa sede, una volta escluso che essa possa venire considerata come apparente o assente su di un punto specifico della decisione.

Ritiene la Corte che l’argomentare del Procuratore generale ricostruisca in modo adeguato la situazione oggetto di impugnazione, con la conseguenza che le sue conclusioni non possono che diventare quelle della Corte di legittimità, considerato che nessun errore o difforme risposta giudiziaria è rilevabile nelle due pronunce che hanno riguardato i fratelli B. con due diverse sottese situazioni personali.

In proposito va richiamata la lineare e ragionevole argomentazione del decreto il quale, dopo aver premesso che la natura simulata di un negozio, può essere ritenuta sussistente, conferma che nella specie si trattava di un atto a titolo oneroso e non risulta che nell’anno 1997 o negli anni precedenti, B.F.A. avesse prodotto un reddito lecito che avesse consentito una tesaurizzazione di somme ed un reimpiego nell’acquisto del cespite, per il valore di L. 7.000.000.

Anzi ed al contrario, il B. nel ventennio considerato dagli investigatori, risultava aver presentato una unica dichiarazione dei redditi, attestando per l’anno fiscale 2000, un imponibile di L. 24.561.000, corrispondenti ad Euro 12.685.

La moglie, P.S., nel medesimo periodo, aveva presentato solo due dichiarazioni relative agli anni 1999 e 2000, per un reddito complessivo di L. 14.838.00, pari ad Euro 7.663,00.

Si tratta di redditi – indicati dalla Corte di appello – come insufficienti ad assicurare il normale sostentamento, così considerando che alla data dell’acquisto del bene, anno 1998, il prevenuto non aveva la disponibilità di somme di denaro, derivanti da redditi lecitamente prodotti, per sostenere il pagamento del corrispettivo della compravendita.

Da ciò la naturale conseguente affermazione che tale acquisto, sproporzionato rispetto alla capacità reddituale, pari a zero, del B., è stato pagato con i proventi delle attività illecite cui il B. stesso era dedito.

Conclusione questa, assunta nel provvedimento impugnato, anche considerando la documentazione prodotta dalla difesa ed attestante i redditi erogati in favore della sig.ra D.M., madre del B.: si tratta di somme erogate nell’anno 2003 (prestazioni INPS per un importo di Euro 22.904,00 e nell’anno 2004, risarcimento da sinistro stradale erogato dalla Sai Assicurazioni per un importo di Euro 37.000,00) e, vale a dire in data ampiamente successiva all’acquisto.

Pertanto la Corte di appello, dopo aver puntualmente argomentato pure sulla insufficienza dei redditi dei genitori del B. ha confermato (nel resto) l’impugnato decreto.

Trattasi all’evidenza di una motivazione non censurabile in sede di legittimità, considerato altresì che parte delle critiche formulate nel ricorso riprendono le stesse doglianze, senza tener conto delle risposte sul punto adeguatamente e correttamente date dalla corte distrettuale.

Il ricorso pertanto va dichiarato inammissibile per la sua palese infondatezza, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *