Cons. Stato Sez. III, Sent., 23-12-2011, n. 6810

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La dott.ssa E. I. P., rappresentante legale della Società F. P. e C. S.a.s., aveva presentato all’Amministrazione, in data 26 ottobre 2009, domanda di trasferimento dell’esercizio farmaceutico, operante in Mestre alla Via Terraglio n. 286, in una nuova sede sita alla via Don Tosatto n. 22.

Con provvedimento n. 149 del 4 febbraio 2010 il Direttore Generale della Azienda U.L.S.S. n. 12 Veneziana, preso atto anche del parere contrario espresso dal Comune di Venezia il 19 gennaio 2010, non autorizzava però il trasferimento della sede della F..

Avverso il diniego la F. P. ricorreva al T.A.R. per il Veneto che, con sentenza della Sezione III, n. 2718 del 24 giugno 2010, resa in forma semplificata nella Camera di Consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, accoglieva il ricorso e annullava il diniego impugnato ritenendo già formato, alla data di adozione del provvedimento (il 4 febbraio 2010), il silenzio assenso sulla richiesta di trasferimento, ai sensi del D.P.R. n. 300 del 1992.

2.Il Direttore Generale della U.L.S.S., visto anche il nuovo parere del Comune di Venezia in data 1 ottobre 2010, con la successiva deliberazione n. 906 del 7 ottobre 2010, ha peraltro ritenuto di dover "annullare e/o per quant’occorra revocare in autotutela ai sensi degli artt. 20 e 21 novies della L. n. 241/1990 il provvedimento tacito di assenso dell’Amministrazione sulla domanda di trasferimento presentata in data 26.10.2009 dalla F. P. della dott.ssa E. I. P. & C. s.a.s.".

Secondo l’amministrazione, infatti, il trasferimento di sede della F. avrebbe comportato una grave penalizzazione per le esigenze di assistenza farmaceutica di una quota della popolazione residente in via Terraglio e di numerose famiglie site nelle vie adiacenti; inoltre non risultava richiesta ed accertata, con regolare ispezione preventiva dell’U.L.S.S., ai sensi dell’art. 111 del TULLSS, l’idoneità dei locali nei quali era stato richiesto il trasferimento.

2.1.- Il Comune di Venezia, a sua volta, nel citato parere del 1 ottobre 2010, aveva sottolineato che la richiesta di trasferimento non era stata motivata da una carenza dello spazio della sede farmaceutica, tale da compromettere la qualità e la quantità del servizio offerto, ma dalla carenza di posti auto per i clienti. Per questo non poteva non essere considerato il danno arrecato alla popolazione residente in via Terraglio che sarebbe rimasta sguarnita del servizio farmaceutico offerto dalla F. P..

3.- Il T.A.R. per il Veneto, Sezione III, con la sentenza n. 104 del 26 gennaio 2011, resa anch’essa in forma semplificata nella Camera di Consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, ha tuttavia annullato anche il provvedimento con il quale il Direttore Generale della U.L.S.S. aveva annullato in autotutela l’atto tacito di assenso formatosi sulla domanda di trasferimento della sede della F. P..

Il T.A.R. ha infatti ritenuto che le ragioni ostative al trasferimento indicate dall’amministrazione, riguardanti le esigenze dell’utenza, non attengono alla legittimità del provvedimento ma alla sua opportunità e non potevano quindi giustificare un intervento di annullamento in autotutela.

Secondo il T.A.R. non può avere inoltre rilievo sul rilascio dell’autorizzazione (al trasferimento della sede) la mancata effettuazione dell’ispezione preliminare, prevista dall’art. 9, ultimo comma, del D.P.R. n. 1275 del 1971, tenuto conto che l’ispezione dei locali deve seguire, e non precedere, il rilascio dell’autorizzazione.

4.- L’ U.L.S.S. ha ora appellato l’indicata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.

Per quanto riguarda la questione riguardante il possibile esercizio dei poteri di autotutela per ragioni di opportunità, sostiene l’U.L.S.S. (con il primo motivo) che erroneamente il T.A.R. non ha considerato che, nel caso di silenzio assenso, ai sensi dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, l’amministrazione può assumere determinazioni in via di autotutela e ritirare quindi il provvedimento tacito sia mediante l’annullamento d’ufficio (per vizi di legittimità), sia con una revoca (per ragioni di merito). L’invalidità dell’atto tacito può quindi ben scaturire (anche) dalla sua inopportunità mentre la diversa interpretazione fatta propria dal T.A.R. impedirebbe di eliminare dal mondo del diritto un atto tacito inopportuno.

Con il secondo motivo, strettamente connesso, sostiene l’U.L.S.S. che il T.A.R. ha errato anche in ordine alla pretesa mancata dimostrazione, da parte dell’Azienda, della illegittimità di una valutazione (originaria) nei fatti mai effettuata. Deve essere invece riconosciuto all’amministrazione il potere di compiere, nell’esercizio delle funzioni di autotutela, quelle valutazioni che avrebbe dovuto svolgere nell’esercizio delle funzioni istituzionali assegnate e di avere un ripensamento sulla questione sulla quale è intervenuto il silenzio, sia in presenza di vizi di legittimità sia in presenza di vizi di merito.

Nella fattispecie, secondo l’U.L.S.S. appellante, erroneamente il T.A.R. non ha dato il giusto rilievo alle ragioni di tutela dell’interesse pubblico che sono state espresse nell’articolata motivazione del provvedimento di autotutela. Infatti in tale atto era stato evidenziato che il trasferimento della F. P., nella nuova sede di via Don Tosatto (presso il Centro Auchan), avrebbe privato di un esercizio farmaceutico, e quindi di un presidio sanitario, un quartiere di oltre 2.000 abitanti, arrecando grave disagio agli utenti che avrebbero potuto o utilizzare i servizi di una diversa F., sita a circa 1.300 mt. di distanza (nel diverso Comune di Mogliano Veneto), o utilizzare i servizi della F. P. in una sede più distante, non servita peraltro in modo diretto da collegamenti pubblici e raggiungibile solo con l’uso di un’autovettura o di una bicicletta, ma percorrendo una strada trafficata e pericolosa.

5.- Il Collegio osserva, innanzi tutto, che si deve partire dal dato di fatto che la titolare della F. ha conseguito l’autorizzazione al trasferimento mediante silenzioassenso e che sul punto si è formato il giudicato, non risultando impugnata la sentenza del T.A.R. Veneto, n. 2718/2010, che si è pronunciata proprio sulla formazione del silenzioassenso.

Per vero, l’art. 20 della legge n. 241/1990, che concerne il silenzioassenso, espressamente esclude dalla sua applicazione (e dunque dall’istituto del silenzioassenso) fra l’altro, la materia della tutela della salute. Ora, la distribuzione territoriale degli esercizi farmaceutici, e il relativo sistema di pianificazione, rientrano in questa

materia, come si ricava anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 295/2009, che per questa ragione ha escluso che con legge regionale si possa modificare il rapporto numerico, fissato con legge dello stato, tra popolazione e sedi farmaceutiche (neppure ove la legge regionale abbia l’effetto di incrementare il servizio – come nella fattispecie esaminata allora dalla Corte).

Peraltro la tabella C del D.P.R. n. 300 del 26 aprile 1992, recante il Regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come integrata dall’allegato 1 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 407, include (al n. 52), fra le attività sottoposte alla disciplina dell’art. 20 della legge n. 241/1990, con indicazione del termine di 60 gg. entro cui le relative domande si considerano accolte, i trasferimenti di titolarità, le nuove aperture ed i trasferimenti dell’ubicazione delle farmacie.

Sulla base di tale previsione il T.A.R. Veneto, con la citata sentenza n. 2718/2010, ha ritenuto che, nella fattispecie, sulla domanda di trasferimento della sede della F., presentata dalla dott.ssa Piumelli, si era formato il silenzio assenso e, sul punto (come si è detto) si è formato il giudicato, con la conseguenza che le considerazioni che si svolgeranno nei paragrafi seguenti saranno basate interamente su questo presupposto.

6. – Posto dunque che la fattispecie in esame è quella della revoca di una autorizzazione conseguita mediante silenzioassenso, ci si chiede quali siano i presupposti per il legittimo esercizio del potere di revoca.

In primo luogo, la revoca è astrattamente possibile anche con riferimento ad un atto (non importa se espresso o tacito) dal quale derivi l’acquisto di un titolo duraturo. Ciò si desume dall’art. 21quinquies della legge n. 241/1990, che prevede per tale ipotesi la corresponsione di un indennizzo.

In secondo luogo, la revoca si caratterizza per la sua discrezionalità, la quale non necessariamente deve riguardare fatti sopravvenuti. In questo senso è esplicito l’art. 21quinquies.

La revoca può essere legittimamente motivata anche con le stesse considerazioni di fatto e di diritto che, ove correttamente svolte a tempo debito, avrebbero condotto al diniego dell’atto che poi viene revocato. Questo si dice quando si discute di una revoca in senso stretto e proprio, ossia di un atto di secondo grado che fa seguito ad un atto espresso e motivato, rimuovendone o modificandone gli effetti sulla base di una nuova motivazione; a maggior ragione dunque può essere detto quando si tratta di una revoca impropria, ossia di un atto che rimuove o modifica gli effetti prodottisi ope legis mediante silenzioassenso.

Nel primo caso, invero, l’autorità emanante si pone in contraddizione con se stessa; esprime, cioè, valutazioni contrastanti con quelle espresse originariamente; ed ha pertanto l’onere di dare compiutamente ragione di tale contrasto. Le nuove motivazioni debbono risultare più approfondite e convincenti delle prime. Occorre, in altri termini, una motivazione rafforzata.

E’ intuitivamente diverso il caso nel quale la c.d. revoca faccia sèguito ad un silenzioassenso. Anche volendo accettare la fictio iuris del provvedimento tacito, secondo la quale il silenzio sarebbe il comportamento significativo mediante il quale l’autorità manifesta una volontà consapevole (e non un mero fatto, eventualmente anche non consapevole e/o non intenzionale, da cui la legge fa derivare determinati effetti), non si potrà negare che si tratterebbe comunque di un provvedimento interamente privo di motivazione. Come tale sarebbe un atto, se non illegittimo, di dubbia legittimità; ma anche senza giungere a tanto, l’autorità, nel momento in cui voglia disporre in senso contrario, non avrà bisogno di vincere con nuovi e più forti argomenti quelli sui quali si fondava l’atto da revocare, perché questi ultimi per definizione non sono stati esplicitati.

Concludendo sul punto, nel caso della c.d. revoca del silenzio assenso la motivazione può quindi consistere nell’esposizione di quelle considerazioni e valutazioni che, se correttamente svolte al momento debito, avrebbero legittimamente condotto al diniego. Al più, si può riconoscere un certo aggravamento dell’onere di motivazione, limitatamente al profilo della comparazione degli interessi, rispettivamente pubblico e privato, in quanto sul silenzioassenso (pur immotivato) si sono formati affidamenti che debbono essere tutelati.

7. Passando ora all’esame della motivazione che in questo caso è stata data all’atto di revoca, conviene ricordare innanzi tutto le principali disposizioni che regolano la scelta dell’ubicazione di un esercizio farmaceutico e l’eventuale trasferimento ad una nuova ubicazione.

La materia è regolata dagli artt. 104 eseguenti del t.u. delle leggi sanitarie, approvato con r.d. n. 1265/1934, nonché dalla legge n. 475/1968 e dalla legge n. 362/1991; e, ancora, dal regolamento approvato con d.P.R. n. 1275/1971 (in particolare l’art. 13).

Il quadro essenziale della disciplina, com’è noto, è costituito dal sistema del "numero chiuso" delle farmacie, e dall’attribuzione a ciascuna di una porzione del territorio comunale, delimitata nell’apposito provvedimento di pianificazione, che è la pianta organica delle farmacie.

Questo sistema comporta, fra l’altro, che il titolare della F. è vincolato a collocare il suo esercizio all’interno della zona, il che limita la sua libertà imprenditoriale, ma nello stesso tempo gli garantisce una triplice barriera di protezione contro la concorrenza degli altri esercenti: la prima barriera è il numero chiuso degli esercizi; la seconda il diritto di esclusiva, nel senso che nessun altro esercizio può essere aperto nella stessa zona; la terza, la norma per cui gli altri esercizi farmaceutici, pur se collocati fuori della sua zona, debbono comunque rispettare un limite di distanza (200 metri) dal suo esercizio. Questo insieme di vantaggi, contrastante con i princìpi del libero mercato, appare tanto più rilevante ove si consideri che per loro effetto la titolarità della F., trasmissibile per atto tra vivi e mortis causa, assume la qualità di bene patrimoniale di ingente valore. Cuius commoda illius et incommoda.

8. Posto, dunque, che il titolare è vincolato ad una certa porzione di territorio, altra questione è quella della scelta dell’ubicazione dell’esercizio all’interno di questa zona.

Al riguardo merita di essere ricordato l’art. 1, comma settimo (originariamente comma quarto) della legge n. 475/1968, del seguente tenore: "Ogni nuovo esercizio di F. deve essere situato (…) in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona". E’ chiaro che questa disposizione vale non solo per il primo impianto ma anche per gli eventuali trasferimenti. Infatti il regolamento approvato con d.P.R. n. 1275/1971, art. 13, secondo comma, dispone: "Il locale indicato per il trasferimento della F. deve essere situato (…) in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona".

9. E’ significativo che le disposizioni ora riprodotte non si limitino a prescrivere che l’esercizio farmaceutico sia collocato all’interno della zona ma precisino che lo sia in modo da soddisfare le esigenze degli abitanti della zona. Se ne ricava, anche come esegesi testuale (oltre che dalla evidente ratio legis), che è concepibile che una determinata ubicazione, benché interna alla zona dal punto di vista geografico, sia peraltro inidonea a soddisfare le esigenze degli abitanti della zona. In altre parole, anche volendo supporre che, data la perimetrazione della zona, si debba presumere che qualunque ubicazione al suo interno sia idonea a soddisfare le esigenze della relativa popolazione, tale presunzione non è assoluta ma solo relativa, nel senso che ammette la prova contraria (il che si comprende meglio ove si consideri che l’insieme delle zone assegnate deve coincidere con l’intero territorio comunale, senza spazi vuoti, sicché è inevitabile che ciascuna di esse includa anche porzioni di territorio distanti dai centri abitati).

Su questo punto l’interpretazione della legge è consolidata e costante. Si discute, semmai, se siano più o meno ampi i margini di discrezionalità lasciati all’autorità sanitaria ai fini della relativa valutazione.

10. E’ probabile che sino ad un recente passato le valutazioni discrezionali di cui si parla avessero un modesto rilievo, in quanto era naturale che nella generalità dei casi l’ubicazione di maggior interesse dal punto di vista delle esigenze della popolazione servita coincidesse con quella di maggior interesse dal punto di vista commerciale del titolare della F.. Poteva sembrare solo accademica l’ipotesi di un farmacista che scegliesse locali mal accessibili alla gran parte della popolazione della sua zona.

Questo quadro può apparire invece modificato alla luce di alcune più recenti tendenze economiche e sociologiche. Si può ipotizzare (ed è questa la fattispecie in esame) il caso del grande centro commerciale che richiama un gran numero di avventori, provenienti peraltro non solo (e non tanto) dal territorio immediatamente circostante, bensì da un bacino del raggio di diversi chilometri (anche diecine). L’avventoretipo del grande centro commerciale (ma anche di un semplice ipermercato o supermercato) si reca a fare i propri acquisti con il proprio automezzo e per lui non è tanto importante la brevità della distanza quanto la facilità del percorso e del parcheggio. Il centro commerciale è progettato proprio per soddisfare questo genere di clientela; e la sua ubicazione e la sua strutturazione lo rendono di fatto inaccessibile a chi, pur abitando meno lontano di altri, non può o non vuole spostarsi con un automezzo privato.

11. Ne consegue che se una F. viene collocata presso una di queste grandi strutture di vendita il suo titolare potrà contare su un notevole afflusso di clientela, ma si tratta di una clientela (quasi) interamente diversa da quella che la F. è destinata e vincolata a servire.

E’ questo, dunque, un caso nel quale si realizza proprio quella ipotesi (che in altri contesti poteva apparire solo accademica) della F. che viene situata in un luogo molto vantaggioso per il gestore, ma che la rende inutilizzabile o comunque soverchiamente malagevole proprio per i residenti della zona. Una situazione nella quale è legittimo e, si direbbe, doveroso negare l’autorizzazione.

Questa conclusione appare tanto più evidente, ove si consideri che nel sistema "chiuso" delle farmacie l’esercente, che di fatto abbandona la propria zona per situarsi in una ubicazione periferica inaccessibile o quasi per la relativa popolazione, tuttavia inibisce ope legis (e anche al di là delle proprie intenzioni) a qualunque altro farmacista la possibilità di aprire un nuovo esercizio a servizio di quella zona.

In altre parole, in casi del genere, la popolazione della zona non solo perde la possibilità di servirsi agevolmente presso "quella" F., ma non ha neppure la chance che il vuoto venga riempito da un altro gestore. Ciò quanto meno fino ad una successiva revisione della pianta organica, peraltro non sempre di facile attuazione visto che il numero complessivo delle farmacie è comunque bloccato e pertanto coprire una zona significa scoprirne un’altra – senza contare che, in ogni caso, anche nell’ipotesi di modifica della pianta organica l’autorità sanitaria non ha ordinariamente il potere di imporre il trasferimento di una F. contro la volontà del suo titolare e pertanto il problema potrebbe trovare soluzione solo nell’ipotesi che vi fossero o presupposti per aprire una F. di nuova istituzione..

12. Ora, nel caso in esame si è visto sopra che il provvedimento impugnato in primo grado (la c.d. revoca del silenzioassenso) è motivato, in punto di fatto, con la considerazione che il trasferimento della F. P., nella nuova sede di via Don Tosatto (presso una grande struttura di vendita), ha privato dell’esercizio farmaceutico, e quindi di un presidio sanitario, un quartiere di oltre 2.000 abitanti, arrecando grave disagio agli utenti che a questo punto possono solo scegliere fra recarsi ad una diversa F., sita a circa 1.300 mt. di distanza (nel diverso Comune di Mogliano Veneto), o continuare a servirsi della F. P. ma in una sede più distante, non servita peraltro in modo diretto da collegamenti pubblici e raggiungibile solo con l’uso di un’autovettura o di una bicicletta, comunque percorrendo una strada trafficata e pericolosa.

Tale motivazione – i cui estremi di fatto non risultano efficacemente contraddetti anche se la dettagliata perizia redatta per la F. dall’arch. Ruggero Artico, in data 25 novembre 2009, ne ridimensiona la portata – pare al Collegio del tutto pertinente alle considerazioni svolte sopra, e quindi sufficiente a giustificare il provvedimento impugnato in primo grado.

13. A questo punto si può soprassedere all’esame delle questioni relative all’altro motivo con il quale l’Azienda ha giustificato il suo provvedimento (il quale tuttavia per questo profilo si qualificherebbe più propriamente annullamento d’ufficio, piuttosto che revoca): e cioè quello della mancata visita ispettiva concernente l’idoneità intrinseca dei nuovi locali e del relativo arredamento. Questo punto dell’appello (che comunque probabilmente dovrebbe giudicarsi infondato) perde ormai ogni interesse e rilevanza.

14. In conclusione, l’appello dell’Azienda sanitaria va accolto, con annullamento della sentenza del T.A.R. e il rigetto del ricorso proposto in primo grado.

La complessità della fattispecie induce a compensare le spese per entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, annullata la sentenza appellata, rigetta il ricorso proposto in primo grado.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese del grado di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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