Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-11-2011) 21-11-2011, n. 42900

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore della Repubblica impugna – nelle forme dell’appello – la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. pronunciata dal G.U.P. dello stesso Tribunale nei confronti di S. A., moglie divorziata di R.M., e M. R., attuale compagno della S., perchè il fatto non sussiste, sia in relazione alla falsa incolpazione in danno di R.M., zio paterno del minore R.L., di violenza sessuale in danno del minore stesso, sia per la contestata diffamazione in danno della nonna paterna del minore, G.A..

I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un unico motivo di impugnazione, il Procuratore della Repubblica (nelle forme dell’appello, qualificato come ricorso dalla corte distrettuale di Genova) prospetta erronea valutazione delle risultanze in atti, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, violazione di legge.

L’assunto di base del ricorrente è che non può essere condiviso il ragionamento posto dal G.U.P. a fondamento della propria decisione, ed in particolare, l’affermazione per cui, essendosi il procedimento 9180/04/21 concluso in una generalizzata incertezza e non essendovi stati nel presente giudizio ulteriori atti di indagine, quella presunta incertezza non autorizzerebbe a formulare le accuse ipotizzate a carico degli imputati.

Ad avviso dell’impugnante invece, un diverso complessivo apprezzamento della vicenda, che è stata oggetto del procedimento instaurato a carico di R.M., consentirebbe di cogliere in maniera inequivocabile il filo conduttore della vicenda medesima e di rendersi conto di come, da quel giudizio, siano emersi elementi tutt’altro che incerti a sostegno delle accuse formulate a carico della S. e del M..

Su tali premesse, il ricorso propone una serie di difformi valutazioni della realtà processuale rispetto alle valutazioni del G.U.P. : a) sulla ritenuta attendibilità del minore all’atto della ritrattazione delle accuse allo zio paterno; b) sulla "calliditas" della S., la sua personalità ed i suoi precedenti di vita;

c) sulla ricorrenza del reato di diffamazione; d) sul valore suggestivo della circostanza che la S. avesse a suo tempo formalizzato una richiesta di applicazione della pena poi rinunciata.

L’impugnazione del P.M., nata come "appello" qualificato dalla corte distrettuale genovese come ricorso per cassazione, palesemente non risponde agli standars critici imposti dalla impugnazione per cassazione.

Il ricorso della parte pubblica infatti si risolve in una sequela di richieste di rivalutazione della prova e di diversa interpretazione e lettura degli atti processuali non consentita in sede di legittimità.

Il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d) ed e), non può infatti avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero, ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti (Cass. Pen. sez. 4, 2652 /2009 Rv. 242500).

Il ricorso quindi va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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