Cons. Stato Sez. III, Sent., 23-12-2011, n. 6809 Appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze del T.A.R

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società per azioni J. C. aveva impugnato davanti al T.a.r. Lombardia il bando di gara del 10 agosto 2010, articolato in 500 lotti, indetto da L. I. nella sua qualità di centrale acquisti della Regione Lombardia, relativo a una procedura aperta per la fornitura di farmaci in favore degli enti del servizio sanitario regionale. La gara prevedeva che l’assegnatario di ciascun lotto sottoscrivesse una convenzione in forza della quale si obbligava a fornire le prestazioni oggetto di gara in favore degli Enti che avessero stipulato con esso i relativi contratti.

Contro il bando e la lex specialis J. C. (ancora prima della conclusione del procedimento di gara) presentava ricorso e motivi aggiunti non condividendo la scelta di mettere a confronto concorrenziale nel medesimo lotto farmaci "c.d. originator" e farmaci biosimilari commercializzati da altre ditte.

Con la sentenza appellata il Tar respingeva i motivi dedotti ritenendo tuttavia illegittima la lex specialis nella parte in cui imponeva agli aggiudicatari di versare all’esponente la c.d. "commissione di transazione"; per l’effetto accoglieva in parte qua il ricorso. Avverso la sentenza la società ha proposto appello reiterando le censure respinte dal Tar.

Si è costituita L. I. chiedendo una pronunzia di infondatezza dell’appello

Si è costituita anche la società S., risultata aggiudicataria della gara, eccependo la inammissibilità dell’appello e nel merito la sua infondatezza.

Sono state depositate ulteriori memorie difensive.

Alla pubblica udienza del 4 novembre 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. La causa all’esame del Collegio è in parte simile a quella già presentata dalla stessa società avverso l’analogo bando della Regione Toscana, decisa dalla medesima Sezione con la sentenza n. 3572/2011 del 13 giugno 2011, alcuni passaggi della quale appare utile riportare testualmente perché rappresentano l’antecedente logico e fattuale anche della presente azione giurisdizionale:

"J. C., grazie alle sue ricerche, ha elaborato e messo in produzione un importante gruppo di farmaci di nuova concezione, le epoetine; e fra queste la epoetina alfa, che ha brevettato e commercializzato con il marchio Eprex. Quando poi il brevetto è scaduto, altre case farmaceutiche hanno (legittimamente) avviato la produzione di epoetina alfa, ed hanno superato le verifiche tecniche del caso, ottenendo così l’autorizzazione a commercializzare i rispettivi prodotti. Gergalmente il prodotto di J. C., cioè l’Eprex, viene detto anche "originator" (alludendo al fatto che è stato il primo ad essere elaborato), e gli altri vengono detti "similari".

In questa situazione, J. C. sostiene che i prodotti similari, benché legalmente approvati ed autorizzati, non si possono considerare pienamente equivalenti, dal punto di vista scientifico e terapeutico, al prodotto "originator".

Si oppone pertanto a che gli enti del servizio sanitario pubblico, dovendo fornirsi di epoetina alfa, bandiscano gare rivolte indistintamente a tutti i produttori e basate soltanto sul confronto del prezzo. J. C. sostiene, in pratica, che l’"originator" dovrebbe essere considerato tuttora, a questi fini, un prodotto unico ed essere quindi acquistato a trattativa diretta, fuori gara.

Il problema si pone perché la epoetina alfa (al pari delle altre epoetine, e di ulteriori farmaci) si caratterizza perché viene prodotta attraverso raffinati processi biotecnologici e non (meramente) chimici.

Nel caso dei farmaci chimici, ogni prodotto è pienamente equivalente all’altro ("originator" o meno) sempreché sia accertata l’identità del composto chimico (molecola). In effetti in questi casi si parla correntemente di farmaci "equivalenti" o "generici"; e com’è noto il servizio sanitario pubblico si rivolge naturalmente al prodotto di minor prezzo, lasciando ai pazienti (e per essi ai medici curanti) la libertà di sceglierne altri, purché assumano a proprio carico la differenza di prezzo.

I farmaci biotecnologici, invece, proprio per la complessità e la natura dei processi di produzione, non sono mai pienamente identici, ancorché si basino su un medesimo principio attivo (nella specie, la epoetina alfa) ed abbiano le stesse indicazioni terapeutiche. Infatti nel loro caso non si usa il termine "equivalente" (o "generico"), bensì "similare" o "biosimilare". Le differenze che residuano fra l’"originator" e i similari, e anche fra similare e l’altro non sono del tutto irrilevanti.

E’ infatti opinione comune e consolidata, in tutte le sedi scientifiche, che qualora un paziente abbia già iniziato il trattamento con un prodotto basato su un certo principio attivo biotecnologico sia necessario proseguirlo sempre con lo stesso prodotto, e non con altri pur basati sul medesimo principio attivo; a meno che non siano emersi specifici inconvenienti che richiedano un cambiamento.

Nel caso invece di pazienti che ancora non abbiano iniziato il trattamento, in genere è indifferente che usino un prodotto invece di un altro (fermo restando che poi il trattamento dovrà proseguire sempre con lo stesso prodotto). E’ tuttavia ipotizzabile che anche nel caso di un paziente sinora mai sottoposto al trattamento concorrano speciali condizioni cliniche che consiglino l’impiego di un prodotto specifico a preferenza degli altri similari.

Riassumendo, i vari prodotti ("originator" e similari) basati sullo stesso principio attivo, benché in qualche misura differenti fra loro a motivo della complessità dei rispettivi processi produttivi (e dunque non "equivalenti" in senso stretto) possono essere usati come se fossero equivalenti, nella generalità dei casi e salvo eccezioni; sempreché si osservi la cautela, una volta iniziato il trattamento con un prodotto (non importa quale), di proseguirlo sempre con lo stesso prodotto, di nuovo salvo eccezioni.

Non risultano elementi da cui si possa desumere la superiorità qualitativa di un prodotto rispetto all’altro, a parte le suddette ipotesi nelle quali la particolarità del caso fa preferire un prodotto rispetto all’altro. Ciò vale tanto per l’"originator" quanto per i similari. In effetti l’"originator" ha il merito storico di essere stato, a suo tempo, il risultato di una ricerca originale ed innovativa, e ne è stato ricompensato con il diritto di esclusiva per la durata prevista dalla legge; ma al di là di questo non vi sono basi razionali per presumere che l’"originator", solo perché tale, sia qualitativamente superiore ai prodotti elaborati successivamente, che mettono a frutto (legittimamente) le stesse acquisizioni ed esperienze."

3. Venendo al caso in esame il bando di gara impugnato da J. C., così come l’analoga gara indetta dalla Regione Toscana di cui alla sentenza n. 3572 del 2011, contempla la fornitura della epoetina alfa, senza distinguere fra il prodotto della J. C. e quelli delle ditte concorrenti venendo quindi messi in competizione farmaci biotech e biosimilari.

Secondo la appellante, la scelta di mettere in competizione farmaci non sovrapponibili sarebbe contraria ai principi di libertà di prescrizione medica e della continuità terapeutica, perché l’Ente sanitario sarebbe costretto ad approvvigionarsi esclusivamente del prodotto della società aggiudicataria rendendo quindi impossibile ai medici di scegliere tra più prodotti e di continuare a prescrivere il prodotto già in corso di somministrazione rispettando le sopra evidenziate esigenze di continuità terapeutica.

Il Tar L. ha ritenuto infondata tale censura richiamando l’art. 3, punto 7 dello schema di convenzione che rende possibile l’acquisto del prodotto "originator" anche in caso di mancata aggiudicazione del relativo lotto a favore della società che lo produce qualora ne insorga la esigenza.

4. La J. deduce che tale capo della sentenza è errato in quanto i prodotti "originator" e biosimilari, non sarebbero sovrapponibili e in quanto le singole Asl Lombarde sarebbero giuridicamente impossibilitate a acquistare farmaci diversi da quello aggiudicato, se non previa indizione di una ulteriore procedura a evidenza pubblica, tanto più tenendo conto della necessità di una quantità ingente di farmaci "originator" in quanto volti a garantire il rispetto della c.d. continuità terapeutica.

5. La doglianza non merita accoglimento.

Come rilevato dal precedente specifico della Sezione (n. 1372/2011) tutti i prodotti a base di epoetina alfa, rispondono alle stesse esigenze terapeutiche e sono parimenti efficaci, avendo superato le prove della procedura centralizzata presso l’EMA, che certificano in Europa che il farmaco utilizza un principio attivo del tutto simile, anche se non equivalente a quello "originator", di talché non è possibile affermare la superiorità qualitativa di un prodotto, "originator" incluso, rispetto agli altri.

Si aggiunga poi che la gara non è fittizia, come sostenuto dall’appellante, bensì destinata alla sottoscrizione di convenzioni quadro mediante le quali l’aggiudicatario si obbliga a fornire, al prezzo offerto, l’epoetina alfa in virtù di una indicazione quantitativa determinata preventivamente dagli enti interessati, elaborata tenendo conto dei dati storici di consumo dei singoli ospedali o di altre strutture.

L’assunto dell’appellante J. che il 95% del fabbisogno totale dovrebbe essere acquisito fuori dalla convenzione quadro e in violazione delle regole della evidenza pubblica, ricadendo sul farmaco Eprex di sua produzione e non sul farmaco similare, è privo di supporto probatorio non avendo la società fornito gli elementi necessari per verificare la fondatezza della affermazione.

La disciplina di gara, contrariamente alle tesi sostenute, non diversamente dalla fattispecie esaminata dalla Sezione nella sentenza n. 3572/2011, non preclude la possibilità di prescrivere il farmaco più costoso "originator" per esigenza di continuità terapeutica.

La lex specialis, al punto 3.7. della Convenzione, nega la esclusività della fornitura, facendo salva la possibilità che le stesse forniture, nel rispetto della normativa vigente, possano essere affidate "..a soggetti terzi diversi dal medesimo Fornitore" e cioè diversi dall’aggiudicatario della gara; in sostanza è consentito che il medico prescriva, in ossequio al principio della libertà prescrittiva e della continuità terapeutica, un farmaco diverso di quello prodotto dalla aggiudicataria qualora si debbano assicurare esigenze terapeutiche a favore di un paziente che abbia già in corso un trattamento.

Tale possibilità si rinviene anche nella fonte istitutiva della Centrale Acquisti della Regione Lombardia creata con la finalità di razionalizzare e contenere la spesa pubblica, sempre che ne ricorrano i presupposti di legge rinvenibili nella continuità terapeutica, nella libertà prescrittiva e nelle ipotesi indicate nell’art. 57 co. 2 lett. b) del codice degli appalti quando per ragioni di natura tecnica "….il contratto possa essere affidato solo a un operatore economico determinato".

Né smentiscono quanto sopra le linee guida regionali in ordine alla gestione del servizio sociosanitario per l’anno 2011, che prevedono che le Aziende Sanitarie siano tenute "in via prioritaria" a aderire alle convenzioni attivate dalla centrale acquisti regionale: l’uso della espressione "in via prioritaria" evidenzia che in presenza di particolari esigenze le Aziende possono acquistare beni da soggetti non titolari di convenzione con la Centrale.

Risulta quindi conclusivamente infondato il primo e fondamentale motivo dedotto.

6. Con il secondo motivo la appellante reitera le censure già dedotte avverso l’art. 5.3 del disciplinare nella parte in cui prevede, pena l’esclusione dalla gara, l’accettazione integrale da parte delle concorrenti di una pluralità di clausole, che sarebbero vessatorie e contrastanti con i principi di proporzionalità e correttezza dell’azione amministrativa. Si tratterebbe di prescrizioni in grado di incidere in modo diretto e immediato sull’interesse alla partecipazione alla gara imponendo oneri gravosi e completamente sproporzionati per l’operatore economico, tali da rendere problematica e condizionata la partecipazione alla procedura concorsuale in violazione dei principi di imparzialità, par condicio e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Costituzione nonché in carenza istruttoria: ne conseguirebbe un’obiettiva indeterminatezza dell’oggetto del contratto con un significativo squilibrio a danno delle imprese aggiudicatarie con alterazione delle valutazioni imprenditoriali di convenienza economica connesse alla partecipazione alla procedura.

In particolare J. ha contestato (a pag. 22 e ss. dell’appello) la legittimità delle seguenti clausole:

a) l’art. 1 del capitolato tecnico e l’art. 1.1 del disciplinare che prevedono la possibilità da parte degli enti di rifornirsi presso altre aziende in corso di esecuzione del contratto;

b) l’art. 3 dello schema di convenzione nella parte in cui prevede che il fornitore dovrà prestare servizi connessi alla fornitura a titolo gratuito quali il trasporto e la consegna di prodotti, la gestione dei resi, la gestione della indisponibilità, l’assistenza alla fornitura;

c) l’art. 15 dello schema di convenzione nella parte in cui prevede l’applicazione di penali nella misura del 3% della fornitura per ogni giorno lavorativo di ritardo nella consegna e del 5% per ogni giorno di ritardo riferito a consegne richieste con priorità;

d) l’art. 18 dello schema di convenzione nella parte in cui riconosce all’Amministrazione il diritto di recesso unilaterale da ciascun contratto di fornitura in qualsiasi momento e senza preavviso quando venga meno il rapporto di fiducia sottostante la convenzione sarebbe palesemente arbitrario.

Il Tar si è soffermato con motivazione puntuale su ognuno dei punti messi in evidenza dalla società Jansen argomentando in maniera analitica le ragioni per le quali le clausole de qua non potrebbero configurarsi come vessatorie o sproporzionate bensì:

in quanto limitate a ipotesi eccezionali, coerenti con i principi generali di continuità terapeutica e libertà prescrittiva da parte dei medici (punto sub a);

– in quanto accessorie, ma strettamente connesse all’oggetto della prestazione principale, giustificate in relazione alla specificità dell’oggetto della fornitura (punto sub b);

in quanto connesse al verificarsi di eventi di obiettiva gravità quali ritardi, difformità gravi del prodotto, gravi inosservanze ecc., e dunque rispondenti ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità (punti sub c) e comunque non in via di principio arbitrarie imponendosi la motivazione del recesso dal parte della stazione appaltante sottoposta al controllo giurisdizionale (punto sub d).

La Sezione ritiene persuasive le motivazioni del Tar rilevando tuttavia, ancor prima, che la società appellante, nell’enfatizzare il carattere vessatorio di dette clausole, non ha sottoposto a critica, nel merito, le pur specifiche argomentazioni del primo giudice, essendosi limitata a ribadire, con evidente petizione di principio, che lo stesso avrebbe errato atteso il carattere vessatorio di dette clausole.

E’ il caso al riguardo di ricordare che nel processo amministrativo la specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logicogiuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto è necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con specificità, da correlare con la motivazione della sentenza impugnata (Consiglio Stato, sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8932).

Il motivo pertanto ancor prima che infondato è inammissibile.

7. Con il terzo motivo la appellante si duole che l’amministrazione, dopo che le imprese avevano già presentato la propria offerta, avrebbe modificato, nel corso della procedura di gara, le basi d’asta dei singoli lotti e che sul punto il Tar non si sarebbe pronunziato.

La doglianza non merita accoglimento per carenza di interesse non avendo la appellante evidenziato in concreto il vulnus che da tale correzione sarebbe derivato alla propria posizione non emergendo la violazione in concreto dei principi di correttezza, trasparenza, segretezza, par condicio o confronto competitivo. Premesso che la lamentata modifica delle basi d’asta si è resa necessaria per errori materiali della stazione appaltante e dunque era giustificata non potendo in generale essere precluso, in determinate fasi della procedura, alla amministrazione di emendare un bando erroneo, tuttavia ai concorrenti veniva concesso un congruo lasso temporale per rimodulare l’offerta già presentata con proroga anche dei termini intermedi, come risulta dall’avviso di rettifica depositato.

Non emerge quindi il pregiudizio che tale rettifica concretamente è venuta a determinare a danno della società.

8. In conclusione l’appello non merita accoglimento mentre le spese seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate a favore delle parti costituite, come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società appellante alle spese nella misura complessiva di euro 6.000,00 (seimila), 3.000,00 (tremila) a favore della L. I. s.p.a. e 3.000,00 (tremila) a favore di S. s.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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