Cons. Stato Sez. III, Sent., 23-12-2011, n. 6806 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso proposto dinanzi al TAR Veneto la sig.a Z. L., assistente di polizia in servizio presso la Questua di Padova, ha impugnato i decreti del Ministero dell’Interno -Capo della Polizia del 25.1.2010 e del 5.3.2010 con i quali veniva irrogata la sanzione della sospensione dal servizio, rispettivamente per mesi due e per mesi uno, conformemente a quanto deliberato dal Consiglio provinciale di disciplina; e ciò per avere rilasciato interviste, riportate o trasmesse dai media, senza la prescritta autorizzazione, le quali "forniscono una immagine della Polizia di Stato quale ambiente sessista, discriminatorio e persecutorio nei confronti di coloro che hanno orientamenti sessuali diversi".

Con sentenza breve 5 maggio 2010, n.1768 il TAR adito respingeva il ricorso rilevando che le dichiarazioni riprese dai media ("sono una poliziotta lesbica: per questo mi vogliono punire"; "nel nostro ambiente siamo discriminati come omosessuali"; "i superiori mi discriminano e mi hanno cambiato incarico da quando hanno scoperto che sono lesbica", ecc…), senza che l’interessata si sia minimamente dissociata da tali dichiarazioni, costituiscono atti contrari ai doveri d’ufficio in quanto denigrano l’Istituzione e arrecano nocumento al prestigio e al decoro della Amministrazione. Né sussiste sproporzione -secondo la sentenza- tra le infrazioni commesse e le sanzioni irrogate (sospensione dal servizio rispettivamente per mesi due e per mesi uno).

Avverso l’anzidetta pronuncia l’interessata ha interposto appello deducendo i seguenti motivi di gravame:

1)I provvedimenti impugnati sono fondati sulla mancata autorizzazione delle dichiarazioni rese dalla ricorrente, ma le Circolari ministeriali richiamate in proposito non contengono alcuna disposizione per il caso in questione, e pertanto deve essere garantito il diritto costituzionale di ma manifestazione del pensiero; in ogni caso le dichiarazioni oggetto di contestazione sono afferenti alla sfera personale e non intaccano l’onore e la dignità di alcuno;

2)L’Amministrazione non ha esternato le ragioni per le quali le dichiarazioni rese dalla ricorrente dovevano essere previamente autorizzate.

3)Con riferimento al provvedimento del 25.1.2010 non è stata consentita l’audizione nel procedimento disciplinare di altro giornalista, come richiesto dalla ricorrente, e non si è tenuto conto delle memorie scritte e dei documenti prodotti dalla interessata.

4)La ricorrente ha solo espresso valutazioni personali prive di contenuto denigratorio, ed i provvedimenti impugnati sono ulteriormente illegittimi per violazione del principio di proporzionalità.

L’Amministrazione appellata, cui il ricorso è stato ritualmente notificato, non si è costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza dell’11.11.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

L’appello è infondato.

Deve anzitutto osservarsi che l’addebito disciplinare mosso nei confronti della odierna appellante ha come suo fulcro, non già la mancata richiesta di autorizzazione a rilasciare dichiarazioni, bensì il tenore delle stesse: ragion per cui è inconferente la censura con la quale si insiste nel contestare la necessità di una preventiva autorizzazione, e il difetto di motivazione in ordine alla stessa.

In ogni caso va sottolineato che le deliberazioni del Consiglio provinciale di disciplina che hanno preceduto i provvedimenti di sospensione dal servizio, laddove fanno riferimento a dichiarazioni rilasciate "senza autorizzazione", non hanno inteso tanto evidenziare il difetto di un formale atto autorizzatorio, quanto il fatto che ad un appartenente alla Polizia di Stato non fosse consentito rilasciare dichiarazioni siffatte alla luce delle circolari ministeriali che disciplinavano i rapporti con la stampa e con gli altri organi di informazione: le quali prescrivevano al personale di "attenersi a rigorosi criteri di correttezza e riservatezza, evitando valutazioni e commenti che possano ingenerare confusione e disorientamento…riverberandosi negativamente sulla Amministrazione; inoltre dovrà essere preventivamente sottoposta all’Ufficio di Gabinetto ogni dichiarazione che…impegni la responsabilità della Amministrazione" (così la Circ. min. 20.9.2009).

Ciò premesso, ritiene il Collegio che in questo caso le dichiarazioni rilasciate ai media non possano essere considerate una legittima manifestazione di pensiero, come tale garantita dall’art.21 della Costituzione, e che invece abbiano un contenuto palesemente denigratorio nei confronti della Istituzione di appartenenza.

Invero anche ad ammettere che la ricorrente non abbia avuto l’intenzione di "intaccare l’onore e la dignità di alcuno", secondo quanto sostenuto nelle sue tesi difensive, ma piuttosto abbia inteso esprimere semplicemente una propria personale opinione, non può essere seriamente contestato che l’aver attribuito ai colleghi e ai superiori atteggiamenti discriminatori e persecutori nei confronti di coloro che hanno orientamenti sessuali diversi, e soprattutto l’avere consentito che siffatte dichiarazioni avessero un così forte risalto nei media, senza intervenire successivamente con dissociazioni o smentite, è un fatto che arreca un evidente discredito all’immagine ed al prestigio della Amministrazione.

D’altra parte, appare evidente che ciò che l’interessata voleva comunicare, e che fosse reso di pubblico dominio, non era il proprio orientamento sessuale; non avrebbe avuto alcuna ragione di farlo, né i media avrebbero avuto a loro volta interesse a farsene tramite con più o meno risalto. In sé, invero, quella notizia aveva carattere strettamente privato, e non consta che l’interessata sia un personaggio tanto celebre da suscitare la (deteriore) curiosità del pubblico anche per le sue tendenze più intime. Che in un gruppo sociale così numeroso come la Polizia di Stato vi sia anche una certa presenza di persone omosessuali rientra nelle probabilità statistiche e non fa notizia. L’informazione che l’agente voleva trasmettere e divulgare, invece, era proprio l’atteggiamento, a suo dire discriminatorio e repressivo, tenuto al riguardo dall’Istituto di appartenenza. Mettere l’Amministrazione in cattiva luce davanti all’opinione pubblica era proprio ciò che l’interessata si proponeva. Questa è l’evidenza dei fatti, e non può essere in alcun modo smentita.

E’ pertanto da condividere la natura intenzionalmente offensiva che a quelle dichiarazioni è stata attribuita in sede disciplinare.

Ove si consideri poi che tra i doveri del personale della Polizia di Stato, sanciti nel Regolamento di servizio della Amministrazione della pubblica sicurezza (approvato con d.p.r. 28 ottobre 1985, n.782) vi è anche il dovere di "non denigrare l’Amministrazione e i suoi appartenenti" (art.12, comma 2), e che a norma dell’art.6 del d.p.r. n.737/2009 (che ha per oggetto le "Sanzioni disciplinari per il personale della Amministrazione della pubblica sicurezza") è punibile con la sospensione "la denigrazione della Amministrazione e dei superiori", non può allora essere messa in discussione né la sussistenza dei presupposti per l’irrogazione delle sanzioni inflitte, né la loro proporzionalità in relazione alla gravità degli addebiti.

Sono infine destituiti di fondamento gli ulteriori motivi di gravame con i quali si lamenta che nel corso del procedimento disciplinare non siano stati sentiti i "testimoni" indicati dalla ricorrente e che non siano state tenute in considerazione le memorie difensive. Invero, quanto ai testimoni, la valutazione in ordine alla necessità della loro audizione non può che essere riservata alla Amministrazione procedente, e la omissione di un siffatto incombente può essere sindacata solo sotto il profilo della sua manifesta illogicità, che peraltro non è dato ravvisare nella fattispecie in esame;e ciò per la decisiva considerazione che, essendo incontestato il contenuto delle dichiarazioni attribuite alla ricorrente, non appariva necessario acquisire ulteriori elementi di prova.

Con riferimento infine alla asserita mancata valutazione degli atti di parte, la doglianza prospettata è smentita dal tenore dei stessi provvedimenti impugnati nei quali si dà espressamente atto di avere considerato le memorie difensive presentate dalla interessata.

Per quanto precede l’appello in esame deve essere respinto.

Non occorre provvedere in ordine alle spese del giudizio stante la mancata costituzione della Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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