Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8777 Ricognizione di debito e promessa di pagamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 29.5.1999 la società Marmifera Pugliese s.r.l. in persona del suo legale rappresentante in carica ed i sigg.

N.G. e N.R. citavano in giudizio innanzi al Tribunale di Trani la Banca Commerciale Italiana s.p.a. per sentir dichiarare la nullità in relazione agli artt. 1469 bis e 1419 c.c. dell’atto pubblico per notaio Labriola del 24.10.95, avente ad oggetto ricognizione del debito di L. 644.696.127 per saldo relativo al contratto d’apertura di credito in c/c n. (OMISSIS) e 14 effetti cambiari insoluti, posto in essere nell’ambito di una situazione di ripianamento della pregressa esposizione debitoria nei confronti anche di altri istituti di credito, maturata in danno della società Marmifera e già garantita con fideiussione dei sigg. N., i quali si erano in quella sede riconosciuti debitori ed avevano concesso ipoteca sui loro beni. In subordine, chiedevano dichiararsi l’annullabilità dell’atto menzionato, la nullità delle clausole ivi contenute di commissione di massimo scoperto e di rinvio agli usi per la determinazione degli interessi trimestrali ed in ogni caso la clausola che prevedeva gli interessi anatocistici, già tutte contenute nel contratto di conto corrente; dichiarare infondato il corrispondente credito della banca, determinando il loro debito in L. 34.515.306 ovvero nella misura da accertarsi sulla base di c.t.u., da opporsi in compensazione, con condanna della banca al pagamento del supero; disporre la cancellazione dell’ipoteca e dichiarare inefficace la fideiussione rilasciata da N.G..

Si costituiva la Banca Commerciale per contestare la domanda. In seguito si costituivano la Intesa Gestione Crediti s.p.a., successore universale dell’anzìdetta originaria convenuta da essa incorporata, indi Intesa Gestione Crediti s.p.a., cessionaria del credito controverso, che ne condividevano le difese. Il Tribunale adito, ritenuta la natura novativa dell’atto controverso, con sentenza n. 148/2004 rigettava le domande e la decisione veniva impugnata da G. e N.R. innanzi alla Corte d’appello di Bari.

La società Marmifera, nelle more dichiarata fallita, non proponeva gravame nè, ritualmente citata, spiegava difesa. Si costituiva invece per resistere all’appello la Intesa Gestione Crediti s.p.a. nell’indicata qualità per chiedere il rigetto del gravame.

La Corte distrettuale accoglieva l’appello con sentenza non definitiva n. 586 depositata il 28 giugno 2006, e ritenendo necessario ricostruire il rapporto di conto corrente applicando gli interessi al tasso legale, con coeva ordinanza, rimetteva gli atti in istruttoria per l’espletamento di c.t.u..

Avverso questa decisione Italfondiario s.p.a. nella qualità di procuratore di Castello Finance s.r.l. e di Banca Intesa s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui R. e N.G. hanno resistito con controricorso.

Il curatore del fallimento della società Marmifera s.r.l. non ha invece spiegato difese.

Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il ricorrente col primo motivo, denunciando vizio di motivazione, censura l’impugnata statuizione nella parte in cui ha escluso il carattere novativo della transazione conclusa con l’atto per notaio Labriola del 24.10.95 per cui è causa, fondando siffatta conclusione su illogico ed insufficiente percorso argomentativo. La denunciata incoerenza del tessuto motivazionale risiederebbe nell’aver premesso l’esigenza che la novazione preveda il mutamento sostanziale e radicale dell’obbligazione originaria quanto ad oggetto e titolo, fatto questo accaduto nella specie, per poi illogicamente ritenere che nella specie siano rimaste immutate validità ed efficacia dell’originario assetto contrattuale e del quantum delle prestazioni fondamentali ancora dovute, essendo le restanti modifiche solo secondarie, desumendone la volontà delle parti di mantener fermi i precedenti impegni. Ciò senza considerare gli aspetti essenziali del contenuto dell’atto, segnatamente il nuovo tasso d’interesse, l’applicazione di un periodo di preammortamento per il loro pagamento, la decadenza dei debitori dal beneficio del termine e l’iscrizione dell’ipoteca, fatti tutti che avrebbero di contro palesemente innovato l’assetto del pregresso rapporto, omesso altresì il doveroso rilievo circa l’espressa qualificazione attribuita dalle parti all’atto, valorizzando di contro la volontà di mantener fermo l’impegno pregresso.

I contro ricorrenti deducono l’infondatezza delle riferite censure.

La decisione impugnata sostiene, per quel che rileva in relazione al mezzo in esame, che l’atto controverso rappresenta transazione semplice, con dilazione dei pagamenti relativa a pregressa esposizione debitoria relativa al saldo del conto corrente e dei titoli rimasti insoluti, a fronte di garanzia concessa mediante l’iscrizione dell’ipoteca volontaria sugli immobili dei fideiussori, ed esclude in logica coerenza che sia intervenuta novazione delle precedenti obbligazioni, rimaste ferme, poste a fondamento dell’accordo, qualificando le intervenute modifiche solo secondarie siccome aventi ad oggetto obbligazioni aggiuntive ed integrative. La censura d’incongruità di questo percorso argomentativo propone la ricostruzione della vicenda contrattuale nei termini in essa esposti contrapponendo all’interpretazione del contenuto del contratto in discussione, il cui schema causale la Corte del merito ha ricondotto all’archetipo della transazione confermativa, diversa lettura della funzione impressavi dalle parti, in tesi corretta, alla stregua del contenuto delle clausole riferite, che il giudice d’appello ha tenuto ben presenti ed ha quindi apprezzato traendone la sintesi ora censurata. L’articolata complessiva critica investe il percorso logico che sorregge la decisione conclusiva, che risulta invero logicamente e puntualmente argomentato, muovendo da una personale rivisitazione dei fatti che, sottoposta all’esame di questa Corte, non può essere ammessa, mirando al nuovo apprezzamento del merito che, stante la completezza del tessuto motivazionale, non è censurabile in questa sede. Non essendo assistito dal richiamo ai canoni esegetici che la Corte del merito avrebbe violato ovvero disatteso nel suo percorso ermeneutico, nè tanto meno dalla sintesi conclusiva prescritta in relazione al vizio di motivazione dall’art. 366 bis c.p.c. applicabile al ricorso in esame, il motivo devesi dichiarare inammissibile.

Col 2 mezzo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1343, 1418, 1939, 1965 e 1972 c.c. e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. La censura investe: la qualificazione dell’atto in termini di transazione semplice pur in assenza di previsione di rinuncia da parte della banca ai propri diritti e di qualsiasi riferimento a controversia in atto; la declaratoria di nullità delle tre clausole controverse per contrarietà a norme imperative, asseritamente priva di adeguato sostegno motivazionale;

l’estensione ai sensi dell’art. 1972 c.c. della nullità, che ha attinto non già il contratto di conto corrente sottostante bensì le clausole ivi previste, all’intero rapporto di conto corrente e quindi all’accordo transattivo, basata sull’omologazione della contrarietà a norma imperativa all’ipotesi dell’illiceità contemplata dall’art. 1972 c.c.;

la violazione del principio di conservazione dell’atto sancito nell’art. 1419 c.c.. Si conclude con quesito di diritto con cui si chiede se possa configurarsi transazione in difetto di reciproche concessioni per porre fine ad una lite iniziata ovvero potenziale; se possa configurarsi nullità della transazione a causa dell’invalidità di singole clausole. In relazione ai plurimi riferiti profili, appare meritevole d’accoglimento la censura che si conclude con l’ultimo quesito. La decisione impugnata dichiara nulle, in quanto illecite per contrarietà a norma imperativa ex art. 1343 c.c., le clausole di commissione di massimo scoperto, di rinvio agli usi di piazza per la determinazione degli interessi convenzionali e degli interessi anatocistici contenute nel contratto di conto corrente oggetto della ricognizione di debito, ed estende tout court il vizio, ai sensi dell’art. 1972 c.c., alla stessa transazione, con effetto riflesso sulle obbligazioni accessorie assunte dai due fideiussori nelle clausole che rimandano ai contratti di apertura di credito, dichiarando altresì travolta la garanzia reale prestata a favore della banca mediante iscrizione di ipoteca volontaria dei fideiussori. Il motivo in esame, nel mentre affaccia la questione posta conclusivamente col primo quesito investendo in sostanza inammissibilmente la qualificazione dell’atto senza neppure denunciare violazione dei canoni esegetici che presidiano l’interpretazione dei contratti, nel resto denuncia fondatamente erronea soluzione da parte della Corte del merito della questione agitata in relazione all’estensione del vizio al contratto di transazione, che merita di essere risolta nei sensi auspicati dal ricorrente. Insindacabile, nonchè secondo quanto rilevato ormai inoppugnabile è la qualificazione dell’atto controverso nei termini di una transazione semplice con dilazione dei pagamenti relativa a pregressa esposizione debitoria relativa al saldo del conto corrente e dei titoli rimasti insoluti a fronte di garanzia concessa mediante l’iscrizione dell’ipoteca volontaria sugli immobili dei fideiussori priva di carattere novativo.

Correttamente assunta la declaratoria di nullità delle clausole – di commissione di massimo scoperto, di rinvio agli usi di piazza per la determinazione degli interessi convenzionali e degli interessi anatocistici – già contenute nel contratto di conto corrente oggetto della ricognizione di debito, l’estensione di tale pronuncia alla stessa transazione, con gli effetti riflessi su tutte le obbligazioni accessorie di garanzia, reale e personali, incorre nel denunciato vizio, avendo la Corte del merito fatto malgoverno del disposto dell’art. 1972 c.c.. Secondo quanto emerge dal diffuso percorso argomentativo in cui si articola la decisione in parte qua, il giudice d’appello ha arrestato la sua disamina, condotta in maniera approfondita, in ordine alla sola validità di quelle clausole senza dar seguito all’ulteriore necessaria verifica circa la preminenza di quei patti, risultati affetti da nullità, nell’economia della stessa transazione, che ebbe a recepirle nella concordata previsione di dilazione dei pagamenti, e prima ancora nel contratto di conto corrente che nella transazione ebbe a confluire. Il corollario dell’indiscutibile configurabilità della ravvisata natura conservativa della transazione, la cui funzione non mirava all’estinzione del rapporto sottostante nè tanto meno alla sua sostituzione ma piuttosto alla sua regolamentazione mediante le reciproche concessioni trasfuse nell’atto (per tutte Cass, n. 11632/2010, 15980/2010, 15444/2011 in materia di transazione non novativa), ha comportato il recepimento del contenuto del preesistente contratto d’apertura di credito, seppur nei termini concordati nell’atto per regolarlo diversamente quanto al saldo ed ai termini del pagamento. In logica consecuzione, ha consentito al giudice del merito di verificare la validità delle clausole che regolavano gli accessori del credito, secondo quanto premesso trasfuse anch’esse nella regolamentazione del rapporto di credito attuata in via transattiva, legittimandone la declaratoria di nullità ma non per ciò solo la sua automatica trasposizione all’intero contratto transattivo, il cui presupposto indefettibile, secondo il disposto dell’art. 1972 c.c., comma 1 che prevede che "è nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, ancorchè le parti abbiano trattato della nullità in questione", è rappresentato dalla verifica dell’illiceità del contratto sottostante, ovviamente scrutinata in relazione al suo intero contenuto. Solo in tal caso opera infatti il divieto di transigere anche se la nullità abbia rappresentato il "caput controversum", con ripristino dello stato anteriore alla stipula del negozio transattivo e correlata conservazione del precedente assetto negoziale. Nell’ipotesi, qual è quella di specie, in cui la nullità ha attinto le clausole che accedono al contratto base, era d’uopo verificare l’estensione di tale vizio allo stesso contratto a lume del disposto dell’art. 1419 c.c. che stabilisce che nel caso indicato, nonchè in caso di nullità parziale, il vizio "importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità".

Consacrando il principio di conservazione degli atti negoziali, che rappresenta regola generale sintetizzata nel brocardo utile per inutile non vitiatur, rispetto alla quale l’estensione della nullità rappresenta eccezione – v. per tutte Cass. n. n. 10690/2005, 16017/2008-, il dettato normativo, correttamente applicato, avrebbe dunque dovuto orientare l’indagine del giudice del merito nel senso della verifica del nesso tra le parti viziate del negozio, risultanti componenti essenziali, ed il negozio stesso, che le ponesse in rapporto di funzionalità inscindibile con tutte le altre pattuizioni ivi contenute, sì da poter logicamente e fondatamente ritenere che l’atto stesso non si sarebbe concluso senza quelle parti in quanto il suo contenuto dispositivo, privo di esse, non avrebbe realizzato la finalità cui era preordinata la sua stessa conclusione. A questa doverosa indagine, fondamento imprescindibile del complessivo meccanismo estensivo, si è sottratta la Corte del merito che con un vero e proprio salto logico ha trasfuso l’illiceità delle sole clausole regolatrici degli interessi del credito nell’intero contenuto del contratto transattivo che, recependole dal contratto di conto corrente, le ha previste nel medesimo rapporto d’accessorietà rispetto al credito per capitale originato dal contratto fonte. Il sillogismo fondante siffatto percorso difetta della premessa rappresentata dallo scrutinio indeclinabile circa la sussistenza di quell’inscindibile ed imprescindibile collegamento tra la previsione di quelle clausole ed il contratto di conto corrente, secondo la funzione loro attribuita dai contraenti nell’economia della complessiva contrattazione, che solo avrebbe legittimato l’estensione dell’asserita illiceità delle pattuizioni accessorie all’intero contratto base ai sensi dell’art. 1419 c.c., e, in caso affermativo ed in logica consecuzione, l’estensione a mente dell’art. 1972 c.c. dell’illiceità di tale negozio fonte alla transazione, che il suo assetto ebbe a diversamente regolamentare. L’omissione si è risolta in un’errata applicazione di legge che inficia la correttezza dell’approdo in parte qua, con evidenti riflessi sulla consequenziale dichiarazione di nullità dell’iscrizione ipotecaria, a sua volta erroneamente assunta.

Il terzo motivo denuncia infine l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia che risiederebbe nell’immotivata dichiarazione di nullità di alcune clausole contenute nelle fidejussioni prestate dai resistenti in favore della banca creditrice. Nella motivazione la sentenza afferma che la nullità delle clausole del contratto d’apertura di credito si riflette sulle anzidette prestazioni di garanzia data la loro natura accessoria, per poi esprimere in dispositivo statuizione diversa con cui si dichiara la nullità delle fidejussioni nelle clausole che rimandano a quelle del contratto d’apertura di credito.

La decisione impugnata, articolata nel suo percorso argomentativo nei sensi riferiti, manifesta il denunciato vizio siccome risulta incongruente nella parte in cui invalida le garanzie personali, che data la loro natura accessoria sono evidentemente destinate ad operare nei limiti del credito che verrà accertato definitivamente nel giudizio di cui è stata disposta la prosecuzione.

In relazione ai motivi accolti la decisione deve pertanto essere cassata con rinvio al giudice d’appello che, stante la validità del contratto di transazione, accerterà il credito spettante all’odierno ricorrente espungendo dalla sorte capitale cui si riferisce l’accordo transattivo gli importi calcolati sulla base delle clausole accessorie al contratto stesso dichiarate nulle, e provvedere altresì alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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