Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8771 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 12/10/94 dal Presidente del Tribunale di Napoli a favore del Credito Italiano S.P.A. nei confronti della Società R.2 srl e dei fideiussori L.M. e R.E. per scoperto bancario di conto corrente, per l’importo di L. 223.064.288, proponeva opposizione L.M., affermando che il credito non sussisteva nella misura richiesta e che comunque essa doveva ritenersi liberata dalla fideiussione.

Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la Banca chiedeva rigettarsi l’opposizione.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 30/09 -12/12/2005 accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo.

Con citazione ritualmente notificata, proponeva appello la UNICREDIT Banca S.p.A. successore del Credito Italiano. Costituitosi il contraddittorio, la L. ne chiedeva il rigetto. Interveniva la UNICREDIT Banca d’impresa S.p.A., successore a titolo particolare.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza 12 -26/11/2009, dichiarava legittimo l’intervento di UNICREDIT Banca di impresa ed estrometteva dal giudizio l’UNICREDIT Banca; in riforma dell’impugnata sentenza rigettava l’opposizione proposta.

Ricorre per cassazione L.M..

Resiste con controricorso ERIS FINANCE srl, cessionaria dei crediti di UNICREDIT Banca e UNICREDIT Banca d’Impresa.

Le parti depositano memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

Preliminarmente, appare inammissibile l’eccezione, proposta dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso, asseritamente in violazione dell’art. 360 bis c.p.c.: tale eccezione non viene adeguatamente sviluppata, non si chiarisce esattamente a quali orientamenti giurisprudenziali ci si riferisca, e si può comunque affermare che, semmai, la ricorrente sollecita una diversa valutazione di orientamenti consolidati della giurisprudenza di questa Corte.

Parimenti inammissibile è l’eccezione di improcedibilità dell’opposizione per tardiva costituzione dell’attore: la questione, ancorchè rilevabile d’ufficio, è comunque proposta per la prima volta davanti a questa Corte; trattandosi di questione pregiudiziale ed essendosi il giudice a quo pronunciato nel merito, essa appare coperta da giudicato implicito (al riguardo, Cass. n. 25573/09).

Venendo all’esame del ricorso, con il primo motivo, la L. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, avendo la controparte sollevato solo nel giudizio di appello questione relativa alla definizione del contratto tra le parti non come fideiussione, ma come contratto autonomo di garanzia. Si tratterebbe dunque di domanda nuova, e, come tale, inammissibile.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Come chiarisce il giudice a quo ( ed emerge dagli atti di causa), la questione della qualificazione non è stata prospettata per la prima volta nel giudizio di appello, in quanto il CREDITO ITALIANO, già nel ricorso monitorio, aveva precisato che i fideiussori, con gli atti di garanzia, si erano obbligati a pagare immediatamente a semplice richiesta scritta, quanto dovuto; la questione della natura della fideiussione, in ragione di tale clausola, apparteneva fin dall’inizio del giudizio al thema disputandum.

Non si tratta dunque, come è evidente (e come invece afferma la ricorrente), di domanda "nuova", ma di specificazione e chiarimento, con l’attribuzione di un diverso nomen iuris, basato sui medesimi fatti dedotti in primo grado, rimanendo dunque inalterati petitum e causa petendi (al riguardo, Cass. S.u. 17767 del 2000; Cass. 24055 del 2008).

Con il secondo e terzo motivo, trattati congiuntamente in ricorso, la L. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè assenza ovvero insufficienza e incongruità della motivazione; violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., sulla interpretazione dei contratti, e degli artt. 1936, 1939, 1941 e 1945, in tema di contratti fideiussori e relative deroghe.

Come è noto, secondo giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte, Cass. N. 5702 del 2004), caratteristica fondamentale del contratto autonomo di garanzia rispetto alla fideiussione è l’assenza dell’elemento dell’accessorietà: il garante si impegna a pagare al beneficiario, senza opporre di regola eccezioni in ordine alla validità, all’efficacia del rapporto di base o alla sua estinzione, profili tutti in genere risultanti dall’impiego di espressioni quali "a semplice richiesta" o "a prima domanda".

Tuttavia tale contratto, pur non essendo accessorio al rapporto debitorio principale, ha una propria causa che pur sempre si trova in relazione con quella propria del debito principale, e dunque il divieto di opporre eccezioni non va inteso in senso assoluto: il contratto è caratterizzato da autonomia, ma non da astrattezza della causa. Dunque, ai fini della distinzione rispetto alla fideiussione, non è sempre e comunque decisivo l’impiego delle espressioni suindicate, ma piuttosto la relazione di piena autonomia in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia: il garante, in particolare, potrebbe contestare al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, in quanto dipendente da contrarietà a norme imperative o dall’illiceità della causa, ove, mediante il contratto autonomo, si intendesse raggiungere il risultato vietato dall’ordinamento (al riguardo, Cass. N. 5044 del 2009).

Come è noto, per giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 4917/2011) la qualificazione del contratto è valutazione spettante al giudice di merito, insuscettibile di controllo in questa sede, se accompagnata da una motivazione adeguata e non illogica. Nella specie, il giudice a quo esamina il contratto, richiamando varie clausole: il pagamento a prima richiesta, l’estensione automatica al fideiussore della decadenza del debitore dal beneficio del termine, l’inopponibilità dell’invalidità dell’obbligazione principale, l’assenza di eccezione in relazione alla facoltà di recesso dai rapporti con il debitore, l’impossibilità di esercitare azione di recesso o surroga nei confronti del debitore sino all’estinzione di ogni ragione di credito da parte della banca, l’obbligo del garante di rimborsare alla banca somme incassate in pagamento di obbligazioni che dovevano restituirsi, in seguito ad annullamento o revoca dei presupposti, ecc. Facendo buon uso delle regole di ermeneutica contrattuale, il giudice a quo esamina il tenore letterale, il significato logico e la relazione tra le diverse clausole e, sulla base di tale analisi, precisa trattarsi di contratto autonomo di garanzia, benchè le parti abbiano usato il termine di fideiussione, pervenendo peraltro ad una totale esclusione dell’elemento dell’accessorietà, che caratterizza appunto quest’ultima.

Ovviamente rimangono assorbite tutte le argomentazioni relative alla fideiussione (e segnatamente alla fideiussione omnibus) estranee al contratto autonomo di garanzia (in ogni caso, chiarisce la sentenza impugnata che, con l’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, la Banca provvide a far sottoscrivere all’odierna ricorrente un nuovo atto che, senza novazione di quello precedente, limitava l’importo garantito).

Con il quarto motivo la L. lamenta violazione degli artt. 1936, 1939, 1941, 1945, 1375, 1175, 1283, 1284 c.c., in ordine agli interessi di piazza, anatocistici e usurari.

Si è detto che il garante potrebbe opporre eccezioni fondate sul contrasto con norme imperative (e dunque il divieto di interessi usurari, ma pure di regola di quelli anatocistici nonchè ultralegali, in mancanza di esplicita convenzione). In tal senso andrebbe corretta la motivazione della sentenza impugnata. E tuttavia, il motivo va dichiarato inammissibile per la sua genericità e non autosufficienza: avrebbe dovuto la ricorrente chiarire e specificare esattamente, con riferimento alla fattispecie dedotta, come e in che misura operassero gli interessi ultralegali, anatocistici ed eventualmente usurari. Essa non fornisce invece alcuna indicazione nè fattuale nè documentale.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.600,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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