Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8767 Concordato preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Su richiesta del commissario giudiziale del concordato preventivo della Lubin società consortile a r.l. – il quale segnalava un accertamento fiscale in corso nei confronti della Millennium s.p.a., incorporata dalla Lubin, e l’impatto negativo del medesimo sulla fattibilità del concordato – il Tribunale di Milano revocò con decreto del 22 maggio 2009, ai sensi della L. Fall., art. 173, l’ammissione al concordato; con sentenza del successivo 29 luglio dichiarò inoltre lo stato di insolvenza della società, preso atto della richiesta del PM e di quanto rappresentato dal commissario liquidatore delle altre società del gruppo cui la Lubin apparteneva, tutte sottoposte a liquidazione coatta amministrativa.

La Corte d’appello ha poi respinto il reclamo della Lubin – cui avevano resistito l’Agenzia delle Entrate, il Ministero dello Sviluppo Economico e il commissario della liquidazione coatta amministrativa della società, nel frattempo disposta, nonchè delle liquidazioni coatte delle altre società del suo gruppo – osservando, in risposta ai motivi di reclamo:

– che non vi era stata violazione dello statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), perchè il verbale di contestazione dell’illecito tributario era, sì, intervenuto prima della scadenza del termine stabilito per le osservazioni difensive del contribuente, ma tale emissione accelerata è prevista dalla legge in talune ipotesi, ricorrenti nella specie, e comunque la stessa società aveva ammesso che le osservazioni erano state presentate;

– che non ricorreva la giurisdizione del giudice… tributario, spettando al giudice ordinario il potere di accertare il credito tributario in via incidentale e avendo il Tribunale esaminato il verbale di contestazione al solo fine di verificare se i fatti ivi menzionati potessero o meno configurare atti di frode in vista della revoca dell’ammissione al concordato;

– che ì rilievi formulati dall’Agenzia delle Entrate erano fondati, risultando dall’avviso di accertamento che la Lubin aveva indebitamente detratto, ai fini IVA, due fatture emesse il 29 dicembre 2006 dalla Mythos Fiduciaria e dalla Fortune Fiduciaria per operazioni inesistenti, riguardanti la cessione di immobili precedentemente effettuata dalla Millennium (incorporata dalla Lubin lo stesso 29 dicembre 2006) in favore della Banca Italease s.p.a. e il cui importo era stato indebitamente e fraudolentemente rifatturato, con le due fatture in questione, dalla Mythos e dalla Fortune alla Lubin, determinando una conseguente evasione dell’IVA per complessivi Euro 7.576.474,00;

– che la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza non era stata emessa d’ufficio, bensì su richiesta del PM (irrilevante essendo che questi avesse fatto riferimnento al fallimento anzichè allo stato di insolvenza) e, comunque, su richiesta del commissario giudiziale;

– che, quanto al parere obbligatorio dell’autorità governativa di vigilanza, la successiva emissione del decreto di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa, "in luogo di risposta interlocutoria", era "dirimente";

– che, infine, la sussistenza dello stato di insolvenza era pienamente provata sia da quanto rappresentato dalla stessa società nella domanda di ammissione alla procedura di concordato; sia, soprattutto, da quanto osservato dal commissario giudiziale a proposito dell’impatto dell’accertamento tributario sulla composizione del passivo e sulla reale consistenza dell’attivo, costituito da due sole voci: un credito verso l’erario di difficile realizzazione immediata e immobili di proprietà non prontamente liquidabili e di incerto valore intrinseco.

La Lubin ha quindi proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura. Hanno resistito, con due distinti controricorsi, il commissario della liquidazione coatta amministrativa della medesima società e di quelle del suo gruppo, nonchè l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dello Sviluppo Economico. Queste ultime autorità hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia escluso l’illegittimità dell’atto di accertamento tributario, emesso prima del deposito delle osservazioni al verbale di contestazione, senza neppure specificare quale delle ipotesi in cui è consentita l’emissione accelerata ricorresse in concreto.

1.1. – Il motivo è inammissibile perchè si basa, in punto di fatto, sul presupposto che l’atto di accertamento sia stato emesso prima del deposito delle osservazioni al verbale di contestazione: presupposto non risultante dalla sentenza impugnata e che non può essere accertato in sede di legittimità. 2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 34 e 37 c.p.c., si censura l’affermazione della Corte d’appello secondo cui correttamente il Tribunale aveva esaminato in via incidentale la questione tributaria. Si osserva che invece il Tribunale non si era limitato a prendere in considerazione i rilievi dell’Agenzia delle Entrate quali indizi di atti fraudolenti, ai sensi della L. Fall., art. 173, compiuti dalla società in concordato preventivo, ma aveva compiuto un vero e proprio accertamento di quei fatti, in contrasto sia con l’art. 34 c.p.c., essendo stata formulata della società l’espressa richiesta che sulla questione fiscale fosse pregiudizialmente assunta una decisione con efficacia di giudicato dal giudice tributario, sia con l’art. 37 c.p.c., essendo a quel giudice riservata ogni decisione al riguardo.

2.1. – Il motivo è infondato perchè – a tacer d’altro – la sommarietà del rito e la connessa esigenza di celerità proprie della procedura di revoca del concordato preventivo e di dichiarazione del fallimento sono incompatibili con qualsiasi ipotesi di sospensione per la definizione di questioni pregiudiziali, che il giudice può in ogni caso risolvere incidenter tantum.

3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 195 e 6, nonchè vizio di motivazione, sì ribadisce l’illegittimità della dichiarazione dello stato di insolvenza (a) per difetto dell’acquisizione del parere dell’autorità governativa di vigilanza e (b) per difetto di domanda da parte di un soggetto legittimato.

3.1. – Il motivo è infondato.

3.1.1. – Quanto al profilo (a), nel ricorso viene giustamente criticata l’argomentazione della Corte d’appello per la quale era sufficiente la successiva emanazione, da parte dell’autorità governativa, del decreto di liquidazione coatta amministrativa.

Tuttavia la stessa ricorrente conferma, riportando un passo della sentenza del Tribunale (secondo cui "in osseguio a quanto previsto dalla L. Fall., art. 195, era stato ritualmente richiesto il parere del Ministero dello Sviluppo economico"), quanto già evincibile dalla sentenza di appello, e cioè che l’autorità governativa era stata interpellata ma non aveva dato risposta. La ricorrente non smentisce la richiesta del parere, ma sottolinea che il Ministero non l’aveva reso.

La tesi giuridica, implicita nella posizione dalla ricorrente, per cui è necessario che un parere sia effettivamente reso dall’autorità governativa e non basti il solo interpello della stessa, non può essere accolta.

La L. Fall., art. 195, comma 3, dispone che "prima di provvedere il tribunale deve sentire il debitore, con le modalità di cui all’art. 15, e l’autorità governativa che ha la vigilanza sull’impresa".

Tale disposizione non può essere intesa se non nel senso che, mentre è obbligo del giudice sentire l’autorità governativa, per quest’ultima invece il farsi sentire è una mera facoltà. E ciò sia perchè il verbo "sentire" ha riferimento, nella disposizione in esame, sia all’autorità governativa che al debitore, della facoltatività della cui partecipazione alla procedura nessuno dubita; sia perchè non potrebbe ammettersi un indefinito protrarsi del procedimento in attesa che la predetta autorità renda il parere richiestole.

Per concludere sul punto, premesso che soltanto per l’audizione dell’impresa debitrice la norma in esame richiama le modalità di cui alla L. Fall., art. 15, in considerazione della qualità di parte rivestita dalla stessa a differenza dell’autorità governativa di vigilanza (per l’esclusione della qualità di parte in capo all’autorità cfr. Cass. 11085/1992), la partecipazione di quest’ultima può realizzarsi con qualsiasi modalità adeguata alla sua funzione essenzialmente i-struttoria e al carattere sommario del rito. Non è dunque escluso l’interpello ad opera del giudice, cui è in facoltà dell’interpellata rispondere o meno.

3.1.2. – Quanto al profilo (b), basti considerare la sufficienza della richiesta – pure evidenziata dalla Corte d’appello – del commissario giudiziale, legittimato ai sensi della L. Fall., art. 195, comma 7. 4. – Con il quarto motivo, denunciando violazione della L. Fall., artt. 173 e 6, e vizi di motivazione, vengono contestati il carattere fraudolento della rifatturazione della Mythos e della Fortune alla Lubin e la sussistenza dello stato di insolvenza.

Sotto il primo profilo, la ricorrente deduce che la rifatturazione censurata dai giudici di merito era del tutto regolare. Infatti la Lubin era una società consortile, come si ricava dal suo atto costitutivo e statuto, e dunque era tenuta a ribaltare costi e ricavi sui soci consorziati. I suoi soci effettivi (fiducianti) avevano intestato le rispettive quote alla Mythos e alla Fortune, alle quali avevano poi dato istruzione di emettere fatture a carico della Lubin, cosicchè quest’ultima potesse ribaltare sui propri soci i ricavi realizzati; e avevano in pari data emesso fatture nei confronti delle medesime Mythos e Fortune, loro fiduciarie, per venire legittimamente in possesso del risultato economico dell’operazione.

Sotto il secondo profilo, la ricorrente osserva che lo stato di insolvenza non sussisteva, perchè la Lubin aveva deciso di cessare l’attività prevedendo il pagamento integrale di tutti i debiti (salvo quelli in-fragruppo, da saldare al 90 %), e non vi erano bilanci o situazioni patrimoniali della società da cui emergesse l’insolvenza, anzi il bilancio al 30 giugno 2008 si era chiuso con un utile di Euro 380.474,71, sicchè l’unico debito era quello, "eventuale" secondo la definizione della stessa Corte d’appello, derivante dall’improbabile rigetto del ricorso avverso l’avviso di accertamento tributario.

4.1 – Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili, sostanziandosi in pure e semplici censure di merito.

5. – Il ricorso va in conclusione respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 2.200,00, di cui 2.000,00 per onorari, in favore del controricorrente avv. P., nella qualità indicata in epigrafe, e in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito in favore dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dello Sviluppo Economico; spese tutte maggiorate del rimborso forfetario per spese generali e degli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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