Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-05-2012, n. 8763 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Potenza, con decreto in data 9 gennaio 2009, ha rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, la domanda di equa riparazione proposta da P.O. per l’irragionevole durata di un processo penale a suo carico svoltosi dinanzi al Tribunale di Taranto e alla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto.

La Corte territoriale ha escluso la denunciata violazione del termine di durata ragionevole, essendosi protratto il processo penale nei due gradi di merito per cinque anni, decorrenti dal 21 gennaio 2003 (data della notifica del decreto di citazione a giudizio) e fino al 3 dicembre 2007, con cui in appello è stata pronunciata sentenza.

Per la cassazione di questo decreto il P. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

Disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso – originariamente eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato – il Ministero intimato non ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Preliminare in ordine logico è l’esame del secondo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU, nonchè vizio di motivazione. Il mezzo si conclude con i quesiti: se "la fase delle indagini preliminari, a partire da quando la notitia criminis perviene alla procura ed il soggetto viene iscritto nel registro degli indagati, è esclusa dall’ambito di tutela previsto dall’art. 6, par. 1, della CEDU e nel nostro ordinamento nazionale dalla L. n. 89 del 2001"; e se "il periodo di sospensione del processo della L. n. 134 del 2003, ex art. 5, va detratto dal computo del termine di ragionevole durata del processo trattandosi di mezzo processuale legittimo, esternazione del proprio diritto di difesa".

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, il quesito di diritto relativo alla fase delle indagini preliminari non coglie la ratio decidendi. La Corte territoriale non ha escluso, in assoluto, la rilevanza della fase delle indagini preliminari ai fini del computo della ragionevole durata, ma ha rilevato che solo con la notifica del decreto di citazione a giudizio il P. è venuto a conoscenza del fatto a lui contestato.

Il conclusivo quesito di diritto (richiesto, ratione temporis, ex art. 366 bis cod. proc. civ.) avrebbe dovuto censurare la statuizione della Corte d’appello mettendo in rilievo che il P. è venuto a conoscenza delle indagini a suo carico in un momento anteriore alla conclusione delle indagini.

Ma il quesito non è così formulato, ed anzi con esso si chiede di calcolare tutta la fase delle indagini preliminari, da quando la notitia criminis perviene alla procura ed il soggetto è iscritto nel registro degli indagati.

Nella sua assolutezza questo principio non è condivisibile. E’ esatto che, in tema di equa riparazione, la nozione di causa, o di processo, considerata dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui ha riguardo la L. n. 89 del 2001, art. 2, si identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca, in tale novero comprendendosi anche quello relativo alla fase delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione penale, la quale perciò, ove irragionevolmente si sia protratta nel tempo, ben può assumere rilievo ai fini dell’equa riparazione (tra le tante, Cass. , Sez. 1^, 15 settembre 2005, n. 18266).

Sennonchè, occorre considerare che il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del procedimento decorre dal momento in cui l’indagato ha conoscenza diretta dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (Cass., Sez. 1^, 8 novembre 2010, n. 22682;

Cass., Sez. 1^, 27 ottobre 2011, n. 22461) , e ciò non avviene con la semplice iscrizione del soggetto al quale la notltia criminis si riferisce nel registro degli indagati. Nella valutazione della durata del processo penale si deve tener conto, cioè, della fase delle indagini preliminari solo dal momento in cui l’indagato abbia avuto concreta notizia della pendenza del procedimento nei suoi confronti.

Quanto, poi, alla detrazione – operata dalla Corte territoriale dal termine di durata complessivo – del periodo di sei mesi conseguente al rinvio dell’udienza disposto a seguito della richiesta di sospensione del processo della L. 12 giugno 2003, n. 134, ex art. 5 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), al fine di permettere all’imputato di valutare se formulare richiesta di patteggiamento, va rilevato che la censura è, sotto questo profilo, inammissibile per difetto di interesse .

A prescindere, infatti, dall’indagine se lo spatium deliberandi accordato all’imputato per valutare l’opportunità di formulare richiesta di patteggiamento alla luce della nuova disciplina, con decorrenza dalla prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2003, sia o meno addebitatale alla parte che ne abbia fatto richiesta e quindi se sia o meno scomputabile dalla durata complessiva del processo, è decisivo rilevare che la Corte territoriale ha nella specie affermato – con valutazione assorbente – che il processo presupposto è durato (anche comprendendo il periodo di detta sospensione del dibattimento) per meno di cinque anni nei due gradi di merito (dal 21 gennaio 2003 al 3 dicembre 2007): un periodo, questo, conforme, per un processo di media complessità, ai parametri tendenzialmente fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (tre anni per il giudizio di primo grado e due per il giudizio di appello) (Cass., Sez. 1^, 5 dicembre 2011, n. 25955).

Per effetto dell’inammissibilità del secondo motivo, e resistendo alle censure del ricorrente la statuizione con cui è stata esclusa la violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, resta assorbito l’esame del primo mezzo, che prospetta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo.

Il terzo motivo, relativo alle spese, è infondato, perchè nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, trova applicazione la disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese. Tale principio non è in contrasto con l’art. 34 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali (Cass., Sez. 1^, 15 luglio 2009, n. 16542). Il ricorso è rigettato.

Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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