Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-09-2011) 21-11-2011, n. 42932

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.S. e Pi.Al. furono rinviati a giudizio per rispondere del delitto ex artt. 110 e 56 c.p. art. 624 bis c.p., commi 1 e 3, art. 625 c.p., n. 2, art. 61 c.p., n. 5, per avere, in concorso tra loro, spaccando la catena e i lucchetti posti a chiusura della serranda di un negozio di oreficeria, forzando la porta blindata e infrangendone i vetri, compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a introdursi all’interno dell’esercizio commerciale per impossessarsi degli oggetti di valore nello stesso custoditi, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà, con l’aggravante di aver commesso il fatto in tempo di notte e con violenza sulle cose.

La sentenza di primo grado ha affermato la responsabilità di entrambi gli imputati, riqualificando il fatto (con sostituzione dell’art. 624 c.p. all’art. 624 bis c.p.).

La CdA di Genova, con la sentenza di cui in epigrafe, su impugnazione del PG e degli imputati, ripristinata l’originaria imputazione, ha rideterminato, aggravandola, la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione ed Euro 500 di multa ciascuno, previa esclusione delle attenuanti ex art. 62 bis c.p.;

ha dichiarato il P. delinquente abituale e gli ha applicato la misura di sicurezza della assegnazione a colonia agricola per anni 2, confermando nel resto.

Ricorrono per cassazione gli imputati.

P. deduce violazione degli artt. 62 bis, 99 e 635 c.p. e carenze dell’apparato motivazionale. La Cda non ha chiarito per qual motivo non ha ritenuto sussistente il delitto di danneggiamento in luogo del tentato furto aggravato. Le attenuanti generiche sono state escluse con apodittica motivazione, che ha fatto riferimento unicamente alla personalità dell’imputato, nulla osservando sugli elementi concreti del fatto. La corretta applicazione dell’art. 62 bis c.p. avrebbe comportato la esclusione della recidiva ( art. 99 c.p., comma 4).

Pi. deduce: 1) violazione dell’art. 516 c.p.p. art. 521 c.p., comma 11, artt. 649 e 529 c.p.p., atteso che per il medesimo fatto, contestato con data errata, egli fu rinviato a giudizio e assolto.

Trattasi di una decisione viziata da errore in quanto si doveva procedere alla rettifica in udienza della imputazione.

La giurisprudenza ha chiarito che, in un caso come quello descritto, il giudice non può assolvere l’imputato rimettendo gli atti al PM. Avendo però così agito il giudicante, si è formata la res judicata sul fatto contestato al Pi. e quindi ha costituito violazione del ne bis in idem la celebrazione di nuovo processo per il medesimo fatto, con diversa data di consumazione del reato; 2) carenza di adeguata motivazione sulla problematica appena illustrata. La Corte di merito non ha fornito alcuna replica argomentativa, limitandosi ad affermare la insussistenza del giudicato; 3) violazione dell’art. 62 bis c.p., dell’art. 69 c.p., dell’art. 99 c.p., comma 4, e carenza dell’apparato motivazionale, atteso che questo imputato, poco più che maggiorenne, all’epoca dei fatti non era recidivo.

D’altra parte, poichè il primo giudice non ha ritenuto di applicare la recidiva, la difesa non ha potuto argomentare sul punto nei motivi di appello. Per altro, la sentenza non chiarisce quali sarebbero gli altri delitti addebitati al Pi., che hanno determinato la contestazione della recidiva. E’ evidente che tale erroneo modus procedendi si è riverberato sul diniego della concessione di attenuanti generiche, negate mediante il solo riferimento ai precedenti.

Motivi della decisione

La censura del P., nella parte in cui si duole della omessa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 635 c.p. è inammissibile per genericità.

Invero i giudici del merito, ricostruita la condotta degli imputati, hanno interpretata sulla base del comuni buon senso e dell’id quod plerumque accidit. E invero, poichè le azioni di una persona compos sui, mirano al raggiungimento di un risultato, è stato ritenuto che l’azione demolitoria portata a esecuzione dagli imputati contro i sistemi di chiusura di una gioielleria, in ora notturna, fosse finalizzata a penetrare nel negozio e che questo non fosse un intento fine a sè stesso, ma che fosse condizione necessaria per l’impossessamento dei preziosi. Il P., assumendo che in realtà ricorre il delitto di danneggiamento, sostiene che l’azione era fine a sè stessa. Sarebbe stato però suo onere contrapporre alla coerente tesi di accusa un tesi almeno compiuta sul piano logico, vale a dire avrebbe dovuto indicare il motivo per il quale egli e il Pi., quella notte, avevano deciso di forzare catene e lucchetti, infrangere vetrine, scardinare porte ecc. Nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, la censura è infondata, atteso che, da un lato, il diniego di attenuanti generiche ben può essere fondato sulla valutazione dei precedenti penali dell’imputato (che possono essere sintomatici della sua personalità), dall’altro, che è proprio la esistenza dei precedenti che – oggettivamente – determina la integrazione della recidiva.

La prima e la seconda censura del Pi. sono manifestamente infondate. Come egli stesso afferma, fu rinviato a giudizio per rispondere di un episodio di furto tentato, che presentava le medesime modalità, ma diversa (ed errata) data. Certamente, una volta accertato l’errore, avrebbe dovuto trovare applicazione il dettato dell’art. 516 c.p., cosa che non avvenne, ma l’error judicis in quel processo non può riflettersi sulla corretta procedura seguita nel corso di altro dibattimento.

Trattasi di un assunto di palmare evidenza, in relazione al quale la CdA non aveva obbligo di motivare, atteso che, comunque, quella di fatto adottata, nel giudizio correttamente instaurato, era la soluzione esatta.

La terza censura è infondata per i medesimi motivi per i quali è infondata analoga censura del P.. E’ appena il caso di aggiungere che i precedenti (attestati dal certificato penale) esistono, a prescindere dalla loro formale contestazione. Dal certificato penale, invero, si evincono le pregresse condanne e il difensore, se lo ritiene opportuno, nel lumeggiare la personalità del suo assistito, ben può tenerne conto e farne oggetto di considerazioni innanzi al giudice.

Conclusivamente i due ricorsi meritano rigetto e i ricorrenti vanno condannati alle spese del grado.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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