Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-05-2012, n. 8751 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.S. con atto di citazione del 12 ottobre 1994, convocava in giudizio davanti al Tribunale di Roma, il Consorzio Casalpalocco e, premesso di aver acquistato con atto notarile del 26 gennaio 1994 tutti i beni residui di proprietà della Sogene, Società Generale immobiliare spa., facenti parte del Comprensorio di Casalpalocco e che tra essi esistevano i terreni distinti in catasto ai fogli n. 1074, particelle 29 e 911 e 1114 particelle 3267, 3258, 3262, 3264, 3265, sui quali il Consorzio Casalpalocco aveva scavato alcuni pozzi da cui estraeva l’acqua per l’irrigazione convogliata in un vascone sito nello stesso terreno ed immessa poi nella rete di distribuzione, assumendo che il consorzio non aveva diritto al prelevamento dell’acqua, chiedeva che fosse accertata l’inesistenza della servitù o diritti personali in favore del medesimo.

In subordine chiedeva, ove si ritenessero sussistere tali diritti, che venissero determinati il corrispettivo in favore dell’attore e le modalità di estrazione.

Si costituiva il Consorzio, eccependo che i pozzi erano stati trivellati intorno al 1970 dalla Sogene per far fronte al fabbisogno idrico per l’irrigazione del verde del Comprensorio quale impianto dell’acquedotto irriguo predisposto dalla medesima Sogene al servizio degli immobile in adempimento della convenzione stipulata con il comune di Roma in data 2 novembre 1990. Che essendo il Consorzio ente di gestione custode dei beni in questione per conto dei proprietari de lotti di terreno del comprensorio non era dotato di legittimazione passiva per l’azione proposta da C., in quanto titolari dei dritti reali su detti beni erano i proprietari. Il Consorzio provvedeva a chiamare in garanzia la società Sogene.

Si costituiva la società Sogene, contestando la domanda attorea.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 32 467 del 2003, rigettava la domanda dell’attore e quella di garanzia del convenuto.

Avverso questa sentenza proponeva appello C.S. chiedendone la riforma per sentire accertare che il Consorzio non avesse il diritto di estrarre l’acqua dal fondo dell’attore e in subordine la determinazione della modalità ; di esercizio del diritto ed il corrispettivo dovuto con condanna alla demolizione del vascone.

Si costituiva il Consorzio di Casalpalocco resistendo al gravame.

Restava contumace la società Sogene.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 141 del 2009, rigettava l’appello. A sostegno d questa decisione la Corte romana osservava:

a) che il Consorzio di Casalpalocco era titolare di un diritto dovere di gestire gli impianti per incarico dei consorziati nei confronti di tutti i lottisti e della Sogene, fino a quando essa era proprietaria delle aree non vendute del Comprensorio, essendo diventata titolare di detto diritto dovere anche nei confronti del C.. D’altra parte la Sogene ha provveduto a richiamare nei singoli atti di vendita la Convenzione del 2 novembre 1960. Per altro con espressa previsione nell’atto di vendita del 26 gennaio 1994 erano state indicate tutte le strutture necessarie all’estrazione, raccolta e distribuzione dell’acqua (pozzi, vascone, centrale di pompaggio) ed era stato fatto esplicito riferimento all’assunzione da parte dell’acquirente degli obblighi derivanti dalla Convenzione del 1960 nella quale la Sogene e chi le succedeva si era obbligato a provvedere a sue spese al servizio di erogazione d’acqua ed alla conoscenza da parte dell’acquirente dello stato dei terreni che egli acquistava nella situazione in cui si trovavano con ciò accettando espressamente che essi fossero gravati dalla servitù risultante dall’utilizzo per tutti i lottisti delle infrastrutture indicate. La servitù di cui si dice era, comunque, preesistente all’atto di vendita in quanto già costituita per destinazione del padre di famiglia dalla stessa Sogene.

B) Quanto alle modalità di esercizio della servitù valevano le disposizione del libro terzo titolo sesto capo quinto del codice civile, salvo eventuali accordi tra le parti interessate.

C) Non vi era dimostrazione che il vascone fosse irregolare e/o pericoloso.

La cassazione della sentenza della Corte romana è stata chiesta da C.S. con atto di ricorso affidato a sette motivi, illustrati con memoria. Il Consorzio Casalpalocco ha resistito con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati con memoria.

C., a sua volta ha resistito al ricorso incidentale con autonomo controricorso.

Motivi della decisione

A. Ricorso principale.

1.= Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 2. Avrebbe errato la Corte romana, secondo il ricorrente, nell’aver affermato che i lottisti hanno il diritto di utilizzare i servizi che il lottizzante si è obbligato a porre in essere in sede di convenzione con il Comune di Roma, considerato che la Convenzione ha natura contrattuale ed intercorre tra il lottizzante e il Comune e prevede l’assunzione di obblighi reciproci. In particolare, specifica il ricorrente, la Convenzione, di cui si dice, ha una duplice natura: ha natura di accordo contrattuale ed ha natura amministrativa. In quanto accordo contrattuale, intercorre tra i lottizzanti e il Comune e prevede obblighi reciproci; in quanto l’atto amministrativo identifica uno strumento urbanistico diretto a disciplinare l’assetto del territorio in ordine all’ius edificandi, e tali vincoli e obblighi;

gravano sui lotti non solo quando questi sono in proprietà del lottizzante ma anche in capo agli aventi causa di questi. Si tratta di obblighi propter rem, l’ambulatorietà dei quali è rinforzata sia dalla trascrizione della convenzione, sia dall’obbligo assunto dal lottizzante di imporre, anche, contrattualmente ai propri aventi causa il rispetto dei vincoli stessi, richiamando la convenzione in ogni successiva vendita. In ragione di quanto detto, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: dica la Corte se da una Convenzione di lottizzazione stipulata nel 1960 possono essere derivati diritti a favore degli acquirenti dei singoli lotti e/o del consorzio che li riunisce oltre al diritto di edificare nei limiti e alle condizioni previste.

1.1= Il motivo è infondato e non può essere accolto, non solo perchè la sentenza impugnata non sembra che abbia affermato che dalla convenzione di lottizzazione possano derivare diritti a favore dei futuri lottisti, ma, soprattutto perchè la sentenza impugnata ha correttamente interpretato la Convenzione intercorsa tra il Comune di Roma e la Sogene, ed, ad un tempo, ha correttamente identificato la posizione giuridica, nonchè i diritti e gli obblighi dei lottisti, e del C. quale acquirente della proprietà di alcuni lotti, del Comprensorio Casalpalocco.

1.1.a) Va osservato che la Sogene in forza di una Convenzione di lottizzazione si è impegnata con il Comune di Roma a realizzare a sue spese gli impianti di urbanizzazione a servizio dei lottisti del Comprensorio; di realizzare un impianto di distribuzione di acqua per irrigazione da utilizzare a mezzo di un Consorzio; di erogare acqua irrigua nelle quantità stabilite nell’art. 4, comma 2 della Convenzione. Per adempiere all’obbligazione assunta, la Sogene ha costruito su terreno di sua proprietà, tra l’altro, alcuni pozzi per l’estrazione dell’acqua, un vascone per la raccolta e una rete di distribuzione. A sua volta, con atto costitutivo del 21 ottobre 1960, la Sogene ha dato vita al Consorzio obbligatorio tra i lottisti per la gestione degli impianti relativi, tra cui quello di irrigazione.

1.1.b).= Ora appare necessario chiarire che la Sogene in forza della Convenzione si è impegnata a costruire un impianto di irrigazione e rispetto alle opere necessarie per l’impianto comprensivo del terreno ove le stesse sono collocate, si è costituita un’obbligazione propter rem a vantaggio del Comune di Roma. Separatamente la Sogene ha ritenuto di erogare l’acqua irrigua mediante l’estrazione di acqua dal terreno stesso appartenete al Comprensorio ed a tal fine ha costruito dei pozzi, delle vasche di raccolta collegate con l’impianto di irrigazione.

1.1.c).= Ciò posto non vi è dubbio che quando la Sogene ha trasferito i singoli lotti ad altrettanti soggetti, i nuovi proprietari hanno assunto: a) ex lege, l’obbigazione propter rem relativa all’impianto di irrigazione nei confronti del Comune di Roma, con l’impegno di mantenere quell’impianto nella piena efficienza, e b) contrattualmente anche l’obbligo di conservare e mantenere nella piena efficienza le modalità di erogazione dell’acqua irrigua e, cioè, mantenere nella piena efficienza l’impianto di estrazione dell’acqua e le stesse vasche di raccolta dell’acqua estratta. Questi ultimi obblighi come ha specificato la Corte romana sono stati espressamente richiamati nei singoli atti di vendita e sono stati fatti propri, per la loro parte, dai lottisti.

1.1.d).= Di qui, l’ulteriore osservazione che i lottisti per mantenergli impegni assunti con il Comune di Roma hanno liberamente scelto (per scelta originaria della Sogene dagli stessi accettata con il contratto) di provvedere ad erogare l’acqua irrigua, mediante un’estrazione diretta dal terreno del Comprensorio, localizzando anche le parti del terreno da dove avrebbero provveduto ad estrarre l’acqua e tali modalità dovevano essere rispettate almeno fin quando unanimemente tutti i lottisti non avessero deciso di mutare modalità di acquisizione dell’acqua irrigua, per consentire la relativa erogazione. Per la verità, rimane ininfluente verificare se gli stessi impianti di estrazione dell’acqua (pozzi e vasche di raccolta), in quanto strumentali per assicurarci l’irrigazione, identificano altrettante obbligazioni propter rem a vantaggio del Comune di Roma, anche se è ragionevole pensare che l’impegno assunto dalla Sogene con il Comune di Roma fosse semplicemente quello dell’erogazione dell’acqua irrigua, ma non anche quello di assicurare quel servizio con una modalità specifica e cioè mediante l’estrazione dell’acqua diretta dal fondo del Comprensorio.

1.1.e) Pertanto, appare pienamente convincente l’affermazione della Corte romana, censurata dal ricorrente, di ritenere: a) che i lottisti e, dunque, anche il C., quale ultimo tra gli acquirenti di lotti facenti parte del Comprensorio Casalpalocco, godano del diritto di usufruire dei servizi realizzati dalla Sogene in attuazione degli obblighi che la stessa Sogene aveva assunto con il comune di Roma, ed ad un tempo, b) che i lottisti, debbano soggiacere agli obblighi derivanti dall’esigenza di gestire tali servizi.

2 = Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 81 c.p.c..

Avrebbe errato la Corte romana, secondo il ricorrente, nell’aver attribuito in sentenza al Consorzio il diritto di esercitare la servitù oggetto del giudizio, ovvero nell’aver attribuito al Consorzio la legittimazione ad esercitare un diritto altrui, considerato che rispetto alla servitù di cui si dice il Consorzio sarebbe terzo.

2.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la sentenza impugnata non ha attribuito al Consorzio la legittimazione a far valere a nome proprio un diritto di servitù dei consorziati, nè il Consorzio ha fatto valere in nome proprio tale diritto.

2.1.a).= Piuttosto,il Consorzio sorto con atto costitutivo del 21 ottobre 1960, – come afferma la Corte romana – in base allo Statuto, era ed è titolare del diritto dovere di gestire gli impianti e, dunque, di curare l’estrazione dell’acqua e di convogliarla nella vasche a ciò destinate, per incarico dei consorziati nei confronti di tutti i lottisti e della Sogene, fino a quando essa fosse proprietaria della aree non vendute del Comprensorio. Per la stessa ragione, è divenuta titolare di detto diritto dovere anche nei confronti di C. attuale proprietario dei terreni residui del Comprensorio cedutogli dalla Sogene.

2.1.b).= Pertanto, il Consorzio convocato in giudizio dal C. per far accertare l’inesistenza del diritto all’estrazione dell’acqua irrigua, legittimamente poteva – come ha fatto – difendersi sostenendo l’infondatezza della domanda: a) perchè sussisteva in capo al C. un’obbligazione propter rem, cioè l’obbligo di contribuire a mantenere tutti gli impianti che la Sogene si era obbligata a costruire nel rispetto della Convenzione di lottizzazione con il comune di Roma, b) che l’estrazione dell’acqua veniva effettuata nell’adempimento delle proprie funzioni istituzionali e per mandato conferito da tutti i consorziati, i quali avevano delegato in qualità di beneficiari del servizio e avendo, quale presupposto, la titolarità del diritto di servitù per destinazione del padre di famiglia che nella presente causa poteva essere accertato incidenter tantum senza effetto di giudicato perchè mancava la domanda delle parti in tal senso e, comunque, non proponibile e, non proposta, nei confronti del Consorzio. Insomma, il Consorzio nel sostenere l’infondatezza della domanda ha legittimamente chiarito che il proprio mandato istituzionale fosse legittimo perchè proveniva da soggetti, beneficiari di un’obbligazione, e titolari di un diritto di servitù. 3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta carenza di motivazione.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata avrebbe affermato che la Sogene, con la convenzione del 1960 si fosse obbligata, obbligando anche chi le sarebbe successo nella proprietà del bene, a provvedere a sue spese alla erogazione dell’acqua, e il fatto sarebbe ritenuto sufficientemente provato con il richiamo all’art. 4 della Convenzione, mentre, sempre secondo il ricorrente – la lettura dell’art. 4 non consentirebbe di comprendere il ragionamento in base al quale la Corte di merito avrebbe accertato che la Sogene si fosse obbligata a provvedere a proprie spese al servizio di erogazione dell’acqua. In realtà la SGI si obbligò a tutt’altro e fu anche inadempiente all’obbligo assunto, costruì infatti due impianti uno per l’acqua potabile, poi regolarmente fornito dall’ACEA e un secondo per l’acqua irrigua. Per questo secondo non si è avvalsa come avrebbe dovuto della costosa fornitura dell’ACEA e scavò alcuni pozzi sul terreno di cui è causa.

3.1.= Il motivo è infondato perchè generico, considerato che si limita semplicemente ad affermare che la lettura dell’art. 4 della Convenzione (più volte richiamata) che, tuttavia, non trascrive, non consentirebbe di aver conto del ragionamento in forza del quale la sentenza impugnata avrebbe accertato che la Sogene si era obbligata a provvedere a sue spese al servizio di erogazione dell’acqua, tanto più che la sentenza impugnata fa riferimento oltre che all’art. 4 di cui si dice, all’intera Convenzione di che trattasi.

4.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta carenza di motivazione.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe carente di motivazione in relazione ad altro punto diverso da quello appena esaminato. In particolare secondo il ricorrente la sentenza impugnata, dopo aver affermato la costituzione del diritto di servitù per destinazione del padre di famiglia non avrebbe spiegato per quale motivo abbia ritenuto visibili le opere destinate a quella servitù senza lo svolgimento di qualsiasi attività istruttoria.

4.1.= Anche questo motivo è inammissibile per le stesse ragioni di cui abbiamo appena detto, considerato che si limita ad affermare che la sentenza non spiega per quali ragioni avrebbe ritenuto visibili le opere, oggetto di causa, dato che, secondo il ricorrente – non risulterebbe svolta alcuna attività istruttoria al riguardo e dato che pozzi, vascone e centrale di pompaggio non sono opere necessariamente visibili. Epperò il motivo non indica le circostanze o gli elementi ritenuti trascurati o insufficientemente valutati che avrebbero consentito di giungere ad una decisione diversa da quella assunta.

Come è stato affermato da questa Corte (sent. N. 6323 del 2004) "altro è l’eventuale carenza di motivazione della sentenza; altro l’insufficienza della relativa censura: questa insufficienza rende irrilevante quella carenza.

5.= Con il quinto motivo il ricorrente lamenta l’ulteriore carenza di motivazione. Secondo C. l’affermata esistenza di un diritto di servitù ex art. 1062 cod. civ. a favore di tutti i consorziati appare un’affermazione apodittica, non spiegata e, comunque, non giustificata o motivata in alcun modo considerato che nel corso del processo non sarebbe stata svolta alcuna attività istruttoria nè per accertare la data di costruzione dell’impianto nè quella dei singoli allacci, nè quella delle singole alienazioni.

5.1.= Il motivo è inammissibile perchè la questione sollevata non integra gli estremi di un punto decisivo della controversia ma, al contrario, la relativa soluzione, quale che questa fosse, non spiegherebbe alcuna influenza sulla decisione impugnata, considerato che questa è basata su una ratio decidendi del tutto indipendente dalla questione denunciata.

5.1.= A ben vedere il C. ha convocato in giudizio il Consorzio Casalpalocco per far accertare l’inesistenza del diritto del Consorzio ad estrarre l’acqua dai pozzi e ad utilizzare il vascone di raccolta dell’acqua irrigua. La sentenza impugnata, con accertamento incidentale privo di effetti di giudicato nei confronti dei singoli consorziati, ha affermato che il Consorzio ha il diritto di estrarre l’acqua perchè tale diritto spetterebbe ai consorziati in virtù della servitù per destinazione del padre di famiglia costituita dalla Sogene a carico del fondo del C. e a vantaggio di tutti gli altri lotti. Ora, ammesso pure che quel diritto di servitù non fosse a vantaggio di tutti i consorziati, ma soltanto a vantaggio di una parte di essi (più o meno estesa), la decisione cui è pervenuta la Corte di Roma non avrebbe motivo di mutare. Piuttosto, ove il C. dovesse ritenere che qualcuno dei consorziati, per una ragione qualunque, sia essa rappresentata dal fatto che uno dei consorziati avrebbe acquistato la proprietà del lotto in un tempo precedente a quello nel quale la Sogene ha realizzato le opere di estrazione dell’acqua, avrebbe facoltà di esperire l’azione di negatoria servitutis nei confronti dei singoli consorziati, per far accertare l’inesistenza della servitù di cui si dice.

6.= Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1350 c.c. e dell’art. 1372 c.c.. Avrebbe errato la Corte romana nell’avere affermato che la servitù di cui si dice sarebbe stata costituita mediante il contratto di compravendita, per il semplice fatto che l’acquirente avrebbe acquistato i terreni oggetto di causa nella situazione in cui si trovavano, considerato che la mera dichiarazione di accettare lo stato dei luoghi non sarebbe idonea ad esprimere una volontà di costituire la servitù di cui si dice.

Piuttosto, chiarisce il ricorrente "non è configurabile la costituzione convenzionale di una servitù se, oltre alla forma scritta per l’estrinsecazione della precisa volontà di costituire la servitù, non risultino determinati nel titolo tutti gli elementi atti ad individuarla quale il fondo servente, il fondo dominante, il peso e le loro estensioni". Nè sarebbe possibile identificare con il titolo voluto dalla legge una clausola di stile di generico riferimento ad un preesistente stato di fatto.

6.1= Anche questo motivo non ha ragion d’essere e non può essere accolto, perchè riferisce alla sentenza impugnata un significato diverso da quello che realmente ha ed ad un tempo propone una lettura della sentenza impugnata frammentaria e parziale.

6.1.a).= A ben vedere, la sentenza impugnata ha acclarato, indicidenter tantum, cioè al solo fine di accertare l’esistenza o meno del diritto del Consorzio ad estrarre l’acqua utilizzando i pozzi e il vascone, di cui si dice, l’esistenza della servitù oggetto della controversia ritenendolo costituito per destinazione del padre di famiglia, e, non già per atto negoziale. E di più, la sentenza: a) indica adeguatamente il ragionamento seguito dalla Corte romana, ovvero, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione, b) ed in particolare, ha accertato la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 1062 cod. civ.: 1) l’esistenza di due o più fondi appartenenti allo stesso proprietario tra cui, con opere visibili, si sia costituito un rapporto obiettivo di servizio tale da manifestare l’esistenza di una servitù se i due fondi o le due parti del fondo appartenessero a distinti proprietari; 2) la separazione dei due fondi o delle due parti del fondo per effetto di una atto di alienazione volontaria.

7= Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1063 cod. civ. nonchè la falsa applicazione degli artt. 1064 e 1069 cod. civ.. Avrebbe errato la Corte romana nel non aver accolto la domanda subordinata dell’attuale ricorrente di regolamentazione del preteso diritto di servitù del Consorzio.

Specifica il ricorrente che aveva chiesto alla Corte di chiarire se il diritto di servitù ammesso che fosse configurabile – fosse a titolo gratuito o fosse dovuto un corrispettivo, se il diritto in questione comprendesse i soli pozzi scavati dalla SGI, ovvero anche i pozzi che il Consorzio aveva scavato sul fondo de quo nonchè il vascone che il Consorzio aveva ivi collocato dopo aver ottenuto il consenso della SGI e ci si chiedeva se il diritto comprendesse anche la possibilità di scavare altri pozzi e di estrarre acqua senza limiti, epperò la Corte romana non è stata in grado di fornire altro che risposte generiche disattendendo la prescrizione di cui all’art. 1063 cod. civ. che fa riferimento prioritario appunto al titolo al fine di determinare l’estensione e l’esercizio della servitù. 7.1.= Anche questo motivo è infondato e non può essere accolto perchè la sentenza impugnata, preso atto della servitù di cui si dice costituita per destinazione del padre di famiglia, ha adeguatamente chiarito che la regolamentazione della servitù oggetto della controversia trovava la sua regolamentazione, o nelle pattuizioni delle parti, o nella normativa e nei principi di cui all’art. 1063 c.c. e segg.. E di più la sentenza ha avuto modo di specificare che in mancanza di elementi indicanti l’esistenza di specifiche violazioni non sarebbe stato possibile fornire alcuna altra concreta risposta.

B:= Ricorso incidentale.

8.= il Consorzio Casalpalocco lamenta:

A.= con il primo motivo del ricorso incidentale subordinato, la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., per omesso esame di un motivo di impugnazione o in via subordinata art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Secondo il ricorrente la corte romana non avrebbe esaminato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Consorzio in relazione ad entrambe le domande proposte da C., considerato che il fatto che sia il Consorzio ad estrarre materialmente l’acqua irrigua dai pozzi e a convogliarla verso il vascone non è sufficiente a configurare una legittimazione passiva nè in relazione alla domanda di accertamento dell’inesistenza del diritto all’estrazione dell’acqua, nè con riguardo alle modalità di esercizio di tale diritto, atteso che gli unici eventuali contraddittori del C. sarebbero il Comune di Roma (soggetto attivo del rapporto obbligatorio) ed i singoli consorziati beneficiari dell’obbligazione propter rem di cui è causa o in alternativa, titolari del diritto di servitù.

B.= Con il secondo motivo del ricorso incidentale il Consorzio Casalpalocco, lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. E’ evidente secondo il ricorrente che l’esame dell’eccezione relativa al difetto di legittimazione passiva del Consorzio assuma carattere decisivo per la decisione e tale punto non è stato in alcun modo esaminato.

8.1= Questo ricorso incidentale presentato in forma condizionata in caso di accoglimento del ricorso principale, pertanto, rimane assorbito dal rigetto del ricorso principale.

In definitiva, va rigettato il ricorso principale e dichiarato assorbito il ricorso incidentale. Il ricorrente va condannato, pertanto, in ragione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;

condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese giudiziali che liquida in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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