Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-05-2012, n. 8749

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 26 novembre 2003 il signor I.G. M., quale proprietario e possessore di un appezzamento sito in (OMISSIS), confinante per due lati con beni di proprietà di I.A. e di I.C. al quale si accedeva direttamente da un viale che si originava dalla strada provinciale che collegava (OMISSIS) munito di cancello posto al suo ingresso, chiedeva al Tribunale di Torre Annunziata-sez. dist. di Gragnano di essere reintegrato nel possesso dei propri beni, ordinando alla predetta I.A. ed al consorte P.A. di eseguire quanto necessario (con l’eliminazione degli ostacoli posti in essere che avevano impedito l’esercizio del passaggio sul suddetto viale) al fine di consentirgli di accedere al proprio fondo, disponendo la completa riduzione in pristino dello stato dei luoghi. Nella costituzione dei resistenti e riunito all’instaurato procedimento altro procedimento possessorio connesso (intentato da P.A. nei confronti di I. G.M.), il giudice designato, all’esito della fase a cognizione sommaria, con ordinanza n. 20 del 2004, ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova di una situazione possessoria tutelabile nè in capo all’ I.G.M. nè in capo al P.A., rigettava entrambe le domande possessorie e compensava integralmente le spese di lite. Interposto distintamente appello avverso tale ordinanza decisoria da parte degli eredi legittimi di I.G.M. (in persona dei sigg. A. G., I.A.M., Ir.Al., I. V.M. ed I.F.) e ad istanza di P. A., previa riunione dei gravami e con la costituzione – con riferimento all’impugnazione proposta dal P. – degli stessi eredi di I.G.M., la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1726 del 2010 (depositata il 10 maggio 2010), così provvedeva: 1) in accoglimento, per quanto di ragione del gravame formulato nell’interesse degli eredi di I.G.M., dichiarava che gli stessi andavano reintegrati nel possesso del viale principale mediante la riapertura, a cura e spese della controparte, dei varchi nel muretto di recinzione del viale dal fondo latistante;

2) disponeva, inoltre, la reintegrazione dei predetti eredi nel possesso del fondo di loro proprietà attraverso l’eliminazione, a cura e spese della controparte, della grossa tubazione in cemento apposta in detto fondo e mediante il ripristino dell’originaria linea di confine tra le particelle 532 e 536, secondo la planimetria prodotta in primo grado da I.G.M. attraverso l’arretramento del muretto in v blocchi cementizi; c) rigettava l’appello proposto da P.A.; 4) dichiarava compensate tra tutte le parti anche le spese del grado di appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale, previa rilevazione – in via pregiudiziale – dell’appellabilità dell’impugnata ordinanza emessa all’esito del procedimento possessorio siccome munita di natura decisoria, osservava che, alla stregua dell’ampiezza della richiesta possessoria originariamente avanzata dall’ I.G.M., poteva affermarsi, sulla scorta delle complessive prove orali espletate e del conforto "ad colorandam" della documentazione prodotta, che era stata raggiunta la prova del possesso esercitato sul viale di accesso dedotto in giudizio e della condotta spoliativa ascritta ai resistenti anche con riguardo alla posa in opera della tubazione in cemento ostativa sul terreno ricadente nella comproprietà degli eredi dello stesso I.G.M.; quanto al gravame del P., con il quale il medesimo si era lamentato dell’erronea valutazione delle risultanze delle prove testimoniali, la Corte distrettuale riconfermava, sul presupposto che lo stesso non fosse comproprietario del fondo rustico del cui possesso assumeva che era stato spogliato, che i comportamenti dallo stesso posti in essere potevano essere ricondotti nell’ambito della "tolleranza" dell’affine I.G. M., situazione inidonea a fondare, ai sensi dell’art. 1144 c.c., la tutela possessoria.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione P.A. e I.A., articolato in quattordici motivi (i primi 13 riguardanti l’annullamento delle statuizioni di accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto dagli eredi di I.G.M. ed il 14 concernente l’annullamento della statuizione di rigetto dell’appello proposto dallo stesso P.A.), al quale hanno resistito con controricorso gli intimati A.G., I.A. M., Ir.Al., I.V.M. e I. F..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di extra ed ultrapetizione con riferimento all’art. 112 c.p.c., sul presupposto che la Corte di appello fosse incorsa nella violazione di quest’ultima norma per aver accolto la domanda possessoria di I. G.M. (e, in sua sostituzione, dei suoi subentrati eredi) malgrado egli non avesse chiesto di essere reintegrato nel possesso di un accesso al suo terreno mediante diretto ingresso allo stesso dalla confinante strada pubblica.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Diversamente dalla prospettazione dei ricorrenti e sulla scorta dell’esame diretto degli atti di causa (e, in particolare, del ricorso possessorio introduttivo del procedimento in primo grado da parte di I.G.M.), ammesso anche in questa sede alla stregua della natura processuale del vizio denunciato, è emerso che, in effetti, l’ I.G.M. aveva invocato un’ampia tutela possessoria dei suoi beni, insistendo affinchè venisse ordinato ai resistenti-convenuti tutto quanto necessario per accedere al suo fondo ed adottando, altresì, ogni altro provvedimento opportuno idoneo a tutelare la sue ragioni, con la completa riduzione in pristino dello stato dei luoghi come compiutamente descritti e documentato anche fotograficamente. Sulla scorta di tale complessiva domanda la Corte di secondo grado, nell’esaminare i vari capi dell’istanza possessoria, ha ritenuto, in virtù delle prove valutate, di accogliere quello inerente alla chiusura dei varchi mediante la loro riapertura nel muretto di recinzione del viale dal fondo latrante oltre che attraverso l’eliminazione della tubazione in cemento ed il ripristino dell’originaria linea di confine, in tal limitato senso accedendo alla domanda proposta dal suddetto ricorrente, respingendola nel resto. In virtù di tale "decisum", perciò, la Corte distrettuale, in dipendenza dell’ampiezza della formulata domanda possessoria, si è mantenuta nei limiti del "petitum" effettivamente dedotto, senza incorrere in alcuna violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

2. Con il secondo motivo (formulato subordinatamente al mancato accoglimento del primo) i ricorrenti hanno denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione art. 2697 c.c., comma 1, e dell’art. 115 c.p.c., nonchè – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, assumendo che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto esistente in capo al resistente il possesso del viale pur in difetto di idonei elementi probatori e per aver considerato irrilevante la questione relativa alla funzione dei varchi nel muro di delimitazione del viale del contiguo fondo di essi resistenti.

2.1. La doglianza è inammissibile perchè essa si risolve nella richiesta di una rivalutazione di merito (secondo una diversa prospettazione soggettiva) delle risultanze fattuali attinenti alla vicenda possessoria dedotta in giudizio che non è consentita nella presente sede di legittimità risultando, invero, la sentenza impugnata (cfr. pag. 22) basata su una complessiva valorizzazione degli elementi istruttori acquisiti (scaturiti dagli esiti della prova orale e, "ad colorandam", dai documenti prodotti in causa) ispirata ai necessari principi di logicità ed adeguatezza con riferimento alla raggiunta prova dello spoglio consumatosi attraverso l’occlusione dei predetti varchi. Del resto, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – per violazione o falsa applicazione art. 2697 c.c., comma 1, e degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè-con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi, avuto riguardo alla mancata valutazione della circostanza che la funzione dei varchi provvisoriamente aperti tra il viale ed il fondo di proprietà di essi resistenti era quella di permettere il transito dello stesso P. e non quella dell’attraversamento da parte dell’ l.

G.M..

3.1. Pure questo motivo si profila inammissibile perchè inerisce una valutazione di fatto rimessa al giudice del merito che, in base alla prove complessivamente acquisite ed a prescindere dalla natura e dalla funzione dei varchi, ha ritenuto, con l’impugnata sentenza, che l’originario ricorrente aveva sufficientemente esercitato il dedotto possesso anche mediante l’accesso al viale assicurato dai tre varchi realizzati sul muro di recinzione esistenti tra il medesimo viale ed il suo fondo agricolo (v., specialmente, pagg. 18 e 19 della sentenza della Corte napoletana).

4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 2712, 2704 c.c., art. 2697 c.c., comma 1, e art. 115 c.p.c. congiuntamente al vizio di motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riguardo alla valutazione di irritevanza dell’epoca di costruzione dei varchi e alla ravvisata valenza della prodotta documentazione fotografica relativa allo stato dei luoghi.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno inteso far valere la violazione o falsa applicazione degli artt. 2712, 2727, 2729 c.c. e art. 2697 c.c., comma 1, oltre che dell’art. 115 c.p.c., per aver la Corte territoriale attribuito alle fotografie allegate dall’originario ricorrente un idoneo valore dimostrativo di un’antecedente chiusura recente dei varchi, nonostante difettassero i presupposti propri per inferire una tale presunzione.

5.1. I motivi quarto e quinto – che possono essere trattati insieme in quanto strettamente connessi – sono destituiti di fondamento perchè, oltre ad involgere la rivalutazione di squisiti aspetti di merito, la Corte territoriale (v. pag. 19 della sentenza impugnata) – diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti – ha ritenuto, nell’esercizio del suo prudente apprezzamento adeguatamente motivato, che le fotografie riproduttive dello stato dei luoghi (datate e non idoneamente contestate ai sensi dell’art. 2712 c.c.: cfr. Cass. n. 8682 del 2009), nel contesto delle risultanze emergenti dalla espletata prova orale ed avuto riguardo alle circostanze raffigurate in tali documenti, comprovassero idoneamente (e non in base ad un mera opinione di tipo congetturale) che l’occlusione dei varchi di accesso era risalente ad un periodo ricompreso nel segmento temporale annuale imposto dagli artt. 1168 e 1170 c.c. ai fini dell’ammissibilità della tutela possessoria invocata dall’ I. G.M..

6. Con il sesto motivo i ricorrenti hanno dedotto la supposta sussistenza – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – di un "error in procedendo" concernente l’omesso esame e la mancata decisione della questione di presunzione della continuità del possesso ai sensi degli artt. 1142 e 1143 c.c..

6.1. La doglianza è inammissibile perchè investe una questione nuova che non risulta dedotta ritualmente e tempestivamente nel giudizio di appello ma – come riconosciuto dai medesimi ricorrenti – solo nella comparsa conclusionale (come noto, avente funzione meramente illustrativa delle pregresse difese del grado) del 12 febbraio 2010, senza, peraltro, trascurare che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato (v. pagg. 16-17 della sentenza oggetto di ricorso) sulla inesistenza di un possesso esclusivo del viale in capo alla I.A. anche alla stregua delle risultanze ascrivibili alla scrittura privata del 17 novembre 1968 contenente disposizioni in favore della stessa.

7. Con il settimo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per supposto "error in procedendo" riconducibile all’omesso esame e alla mancata decisione sull’eccepita decadenza dall’azione di spoglio o di manutenzione per decorso del termine di proponibilità di cui all’art. 1168 c.c., comma 1 e art. 1170 c.c., comma 1. 7.1. Il motivo è palesemente privo di pregio poichè – per quanto già rilevato con riferimento al quarto e quinto motivo – la Corte di appello di Napoli ha preso in considerazione la predetta eccezione decadenziale statuendo che lo spoglio ricollegabile alla chiusura dei varchi di accesso era collocabile "all’interno del segmento temporale annuale richiesto dagli artt. 1168 e 1170 c.c." (v. pag. 19 della sentenza impugnata), ragion per cui non sussiste alcun vizio di omessa pronuncia sul punto.

8. Con l’ottavo motivo (articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) i ricorrenti hanno denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 669 septies, 669 octies e 669 novies c.p.c. e dei principi che regolano la diversità di "causa petendi" e di "petitum" tra il giudizio possessorio e quello petitorio, nonchè dell’art. 345 c.p.c., oltre al vizio di omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione, sul presupposto che la Corte territoriale aveva emesso una non consentita pronuncia dichiarativa sul piano petitorio del diritto dell’ I.G.M., per titolo dominicale, a ricevere la consegna della chiave del cancello e di aver dato ingresso ad una domanda nuova attinente alla declaratoria del diritto degli appellanti (quali eredi dello stesso I.G.M.) di accedere al viale del quale erano comproprietari.

8.1. Anche questo motivo non merita accoglimento poichè nella sentenza impugnata non emerge alcuna frammistione tra il procedimento possessorio e il giudizio petitorio, essendosi la Corte territoriale limitata alla cognizione della vicenda possessoria come dedotta in primo grado, riconoscendo la fondatezza dell’esperita azione di reintegrazione nei sensi richiamati in narrativa, senza adottare alcuna espressa pronuncia attinente alle reciproche ragioni petitorie controverse tra le parti, sancendo, anzi, in proposito, che le stesse avrebbero dovuto costituire oggetto di azione (petitoria, per l’appunto) da definire in separata sede (v. pag. 21 della sentenza impugnata proprio con riguardo all’aspetto sulla sussistenza o meno del "diritto" degli appellanti ad ottenere la consegna di un esemplare delle chiavi del cancello dedotto in causa).

9. Con il nono motivo del ricorso i ricorrenti hanno prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la sussistenza di un ulteriore "error in procedendo" in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. avuto riguardo al fatto che la Corte di secondo grado aveva dichiarato improponibile un’eccezione riconvenzionale di usucapione, in realtà mai proposta, giacchè il preteso possesso esclusivo ultraventennale era stato opposto dai medesimi ricorrenti a sostegno della formulata eccezione di decadenza riferita all’esperimento dell’avversa azione possessoria.

9.1. Questa doglianza è inammissibile perchè non supportata dalla prospettazione di un effettivo interesse a ricorrere, considerata la natura dell’azione instaurata, ed anche perchè, in ogni caso, la Corte distrettuale non è pervenuta propriamente (per come desumibile dal comando complessivamente statuito in dispositivo) alla supposta declaratoria di improponibilità della suddetta eccezione ma si è limitata ad evidenziare -peraltro incidentalmente (v. pag. 13 della sentenza impugnata) – che la stessa non avrebbe potuto trovare ingresso nell’instaurato giudizio possessorio, proprio in dipendenza del suo oggetto, potendo, tutt’al più, i relativi profili fattuali essere esaminati in funzione unicamente della valutazione della fondatezza o meno del ricorso possessorio e della correttezza od erroneità della sentenza di primo grado.

10. Con il decimo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) i ricorrenti hanno dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 1140 c.c. e dei principi che regolano la prova del possesso nel giudizio di reintegrazione nel possesso, nonchè il vizio di omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione, perchè la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere del tutto inconferente ed irrilevante in sede possessoria l’esistenza o meno, per l’ I.G.M., di un titolo non potendo questo sopperire, di per sè, all’inesistenza, per impossidenza della chiave del cancello del viale, dell’esercizio di fatto del preteso possesso di un accesso dalla strada pubblica.

10.1. Anche questo motivo è inammissibile perchè attiene a valutazioni di merito congruamente e logicamente motivate dalla Corte territoriale, la quale ha provveduto a considerare la fondatezza o meno della domanda possessoria dell’ I.G.M. sulla scorta delle prove complessivamente acquisite, limitandosi a prendere in esame eventuali titoli petitori solo "ad colorandam", senza adottare alcuna pronuncia che inerisse propriamente il piano petitorio.

11. Con l’undicesimo motivo i ricorrenti hanno prospettato (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la sussistenza di un ennesimo " error in procedendo" in relazione all’art. 112 c.p.c. e con riferimento all’esame e alla decisione di questioni ed eccezioni in diritto mai proposte, come quelle relative all’acquisto della proprietà esclusiva del viale da parte dell’ I.A. e alla rinuncia alla comproprietà di I.G.M. in relazione allo stesso bene.

11.1. Anche questa censura non coglie nel segno perchè, al di là della mancata manifestazione di un concreto interesse a dedurla, la Corte partenopea non ha affatto pronunciato su questioni petitorie (come quelle indicate con la doglianza in esame), avendo soltanto valorizzato alcuni profili che potevano attenere alla sfera petitoria "ad colorandam possessionem". 12. Con il dodicesimo motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) i ricorrenti hanno dedotto un supposto "error in procedendo" (in ordine all’art. 112 c.p.c.) per aver la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che le parti appellanti avevano sostenuto che l’utilizzazione del viale da parte dell’ I.G.M. si fosse realizzata per mera tolleranza mentre il riferimento alla tolleranza si sarebbe dovuto considerare come una mera deduzione operata dagli appellati in via subordinata.

12.1. Anche questa doglianza è priva di pregio perchè, in effetti, il richiamo alla tolleranza viene fatto dalla Corte territoriale soltanto con funzione meramente argomentativa poichè, dopo aver dato conto degli elementi di prova acquisiti riguardanti il possesso del diritto di passaggio sul viale controverso in capo all’ I. G.M., il giudice di secondo grado ha escluso che l’origine di tale possesso potesse ricondursi ad atti di tolleranza da parte dei 7 coniugi P. (appellati), anche in considerazione della qualità di comproprietario del viale dell’originario ricorrente in primo grado.

13. Con il tredicesimo motivo (invero articolato in due distinte doglianze) i ricorrenti hanno inteso dedurre: – per un verso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la supposta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, dell’art. 115 c.p.c., nonchè dei principi che regolano la prova processuale e degli artt. 1168 e 1170 c.c., congiuntamente al vizio di omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento alla ravvisata sussistenza del possesso del diritto di passaggio sul viale da parte dell’ I.G.M. (ancorchè egli non avesse fornito la prova del possesso della chiave del cancello di accesso);

– per altro verso, in relazione alla medesima violazione di legge e a vizio di motivazione, l’illegittimità della statuizione della Corte territoriale nella parte in cui aveva affermato la sussistenza, in capo all ‘.G.M., di una situazione soggettiva possessoria relativa al terreno di sua proprietà esclusiva con motivazione inappagante e con rinvio a considerazione già operate con riferimento (in ordine al lamentato sconfinamento) ad una mera planimetria non confortata da accertamento tecnico.

13.1. Entrambe queste doglianze sono prive di pregio. La prima, invero, involge un inammissibile riesame delle valutazioni di merito delle circostanze fattuali acquisite al giudizio con riguardo all’esperita azione possessoria attinente al passaggio sul viale da parte dell’ I.G.M., in considerazione della più volte rilevata adeguatezza del percorso logico osservato dalla Corte di merito sul piano motivazionale. La seconda si prospetta infondata perchè la Corte distrettuale, dando conto "per relationem" (v. pag.

22 della sentenza impugnata) delle risultanze complessivamente acquisite e della loro correlazione anche alla tutela del possesso del fondo di proprietà esclusiva dell’ I.G.M., dopo aver accertato la situazione possessoria di quest’ultimo anche con riferimento al suo terreno, ha ritenuto sussistente lo spoglio ai suoi danni consumato anche mediante l’apposizione di tubazione in cemento e lo sconfinamento attuato dal P. con la costruzione di un muro, in tal modo pervenendo, anche per questo verso, all’inerente ordine di reintegrazione nel possesso (come specificato nel dispositivo).

14. Con il quattordicesimo ed ultimo motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e relativo alla richiesta di annullamento della statuizione di rigetto dell’appello proposto dal P.A. nel giudizio riunito iscritto al N.R.G. 315/2006), risulta dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1144, 1168 e 1170 c.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., comma 2 e art. 115 c.p.c., con la prospettazione congiunta del vizio di motivazione, avuto riguardo all’intervenuta conferma, da parte della Corte di appello di Napoli, della pronuncia di primo grado di rigetto del ricorso proposto dal P. che aveva richiesto di essere reintegrato nel possesso del terreno di proprietà dell’ I.G.M. (latistante il viale), omettendo di valorizzare adeguatamente le risultanze scaturite dalle prove testimoniali.

14.1. Quest’ultima censura si palesa inammissibile perchè con essa il P. ripropone una differente valutazione soggettiva delle risultanze istruttorie acquisite in giudizio e contesta la selezione operata dalla Corte di merito (non indicando peraltro compiutamente, in base al principio di autosufficienza, le diverse prove non esaminate), la quale, però, ha dato sufficiente contezza degli elementi probatori valutati (v. pagg. 23 e 24 della sentenza impugnata) per escludere la sussistenza del possesso preteso dal P., essendo piuttosto i comportamenti ascritti a quest’ultimo ascrivibili a tolleranza dell’ I.G.M. e, come tali, inidonei a fondare, in considerazione anche dei rapporti intercorrenti tra le parti (v. Cass. n. 18360 del 2004) e della saltuarietà degli interventi dello stesso P., l’acquisto di un possesso tutelabile con l’azione di reintegrazione. Del resto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 8194 del 2001 e Cass. n. 18651 del 2004), gli atti di tolleranza, che secondo l’art. 1144 c.c. non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso, sono quelli che ) implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali mentre "a priori" ingenerano e giustificano la "permissio", conducono per converso ad escludere nella valutazione "a posteriori" la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone.

15. In definitiva, alla luce dei complessivi argomenti esposti, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrenti soccombenti al pagamento, in solido, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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