Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-09-2011) 21-11-2011, n. 42951 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza del 25 gennaio 2011 il Tribunale del riesame di Napoli ha respinto il ricorso di I.T. e P.F. avverso il provvedimento, emesso in data 2 novembre 2010 dal Giudice per le Indagini preliminari del locale Tribunale, di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, di una serie di rapporti finanziari loro facenti capo, nell’ambito di un procedimento che vede lo I. raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere per i delitti di partecipazione al clan camorristico dei casalesi, di turbativa d’asta e riciclaggio finalizzati ad agevolare la predetta consorteria criminale.

Nel caso, l’imputazione a carico di I. riguarda la sua ipotizzata attività di appoggio quale imprenditore dell’attività del clan camorristico nella realizzazione del suo progetto di controllo del sistema degli appalti sul territorio.

I ricorrenti deducono nullità dell’ordinanza per violazione di legge e vizi della motivazione non avendo il Tribunale motivato sul valore della documentazione, compresa la dichiarazione di apertura della successione della P. alla madre, avente ad oggetto una cospicua eredità immobiliare, prodotta all’udienza e tesa a dimostrare la lecita provenienza dei beni dei coniugi. Si lamenta in particolare che l’esame del fumus da parte del giudice del riesame, che aveva riguardato la posizione del marito I.T., era giunto poi per presunzioni alla conclusione che anche i beni della moglie erano di provenienza illecita.

Non sarebbe stato anche esaminato un estratto di consulenza tecnica depositato dalla difesa da cui sarebbe emersa la proporzione tra le risorse finanziarie della coppia ed i loro investimenti.

Il ricorso è inammissibile.

Come rilevato sopra il ricorso è incentrato principalmente su di un preteso difetto di motivazione sulla sproporzione fra il valore dei beni accumulati e le possibilità economiche del prevenuto e del suo nucleo famigliare; al proposito occorre rilevare preliminarmente che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non altri difetti di motivazione o l’illogicità manifesta, che possono denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) (cfr. Sez. U, sent. n. 5876, del 28/1/2004, Rv. 226710, ric. P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua). La Corte deve quindi esaminare se la motivazione del provvedimento impugnato manchi del tutto o sia priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero se le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. Il vizio appare in tal caso qualificabile come inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

Così non è, in quanto il provvedimento del Tribunale, sul fumus commissi delicti, fa adeguato riferimento all’ordinanza custodiale a carico dello I., confermata dal Tribunale del riesame e resa definitiva con sentenza della prima sezione di questa Corte n. 45846 del 21/12/2010, ed in ogni caso individua la gravità indiziaria nei collegamenti fra il prevenuto ed il clan camorristico Schiavone sulla base delle risultanze di intercettazioni telefoniche e dichiarazioni di collaboratori di giustizia dal cui complesso sarebbe emersa la condizione dell’azienda del prevenuto quale azienda del clan, con ciò adeguatamente motivando sulla probabilità che all’esito del procedimento possa intervenire una condanna legittimante la confisca.

Quanto al periculum in mora – nel caso, alla confiscabilità dei beni – il giudice del riesame ha evidenziato analiticamente l’esito degli accertamenti patrimoniali relativi allo I. ed alla P. giungendo alla conclusione dell’esistenza di quella sproporzione fra il compendio patrimoniale riferibile ai predetti coniugi ed i redditi da costoro dichiarati, sintomatica della illecita provenienza di tutti i beni, anche quelli della moglie, la cui riferibilità all’indagato dei delitti per cui si procede è legittimamente presunta; ha, al proposito, rilevato come i redditi leciti riferibili alla coppia non potessero consentire, oltre alle spese per la normale sopravvivenza del nucleo famigliare, di sostenere anche gli investimenti ed i costi dell’attività d’impresa, nonchè di acquisire numerosi immobili, beni strumentali e di accantonare risparmi, quali quelli oggetto del provvedimento, se non riferendoli all’utilizzo di proventi diversi da quelli lecitamente conseguiti e dichiarati.

Ha poi espressamente valutato, sia la dichiarazione di successione della P., sia l’estratto di perizia contabile prodotti, rilevando l’insufficienza di tale documentazione non rappresentativa di quanto poi in concreto pervenuto, anche sotto forma di reddito, alla P.; in ogni caso non dimostrate come riferibili alle disponibilità accertate nel 2010.

Quanto alla perizia, il Tribunale ha rilevato che la produzione parziale non consentiva di valutare la congruenza delle conclusioni con i dati in possesso del Tribunale, osservando poi i limiti temporali (2007) di quell’accertamento ed in ogni caso che le conclusioni peritali, se correttamente valutate, potevano ulteriormente confermare l’impossibilità che le disponibilità individuate nel corso dell’indagine potessero riferirsi a proventi leciti.

A fronte di tale motivazione adeguata, completa nell’esame delle doglianze dei ricorrenti, priva di vizi logici e correttamente riferita a dati di fatto, il ricorso deduce, peraltro in modo generico, pretesi vizi di motivazione che non possono avere ingresso nel giudizio di legittimità in tema di misure cautelari reali.

All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1,000,00= per ognuno.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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